Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32839 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 28597 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto da:

C.G., (C.F.: *****), rappresentato e difeso dall’avvocato Claudio Defilippi, (C.F.: DFL CLD 68L23 E4633);

– ricorrente –

nei confronti di:

FALLIMENTO ***** S.r.l., (C.F.: *****), in persona del Curatore fallimentare;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano n. 3239/2019, pubblicata in data 19 luglio 2019 (e notificata in pari data);

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio in data 17 giugno 2021 dal consigliere Augusto Tatangelo.

FATTI DI CAUSA

C.G. ha proposto opposizione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., avverso il precetto di pagamento intimatogli dal Fallimento ***** S.r.l..

L’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Busto Arsizio La Corte di Appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre il C., sulla base di tre motivi.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede la curatela intimata.

E’ stata disposta la trattazione in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

Esso, in primo luogo, non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Tale requisito è considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso e deve consistere in una esposizione sufficiente a garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770 – 01; conf.: Sez. 3, Ordinanza n. 22385 del 19/10/2006, Rv. 592918 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15478 del 08/07/2014, Rv. 631745 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016, Rv. 641493 – 01). La prescrizione del requisito in questione non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. U, Sentenza n. 2602 del 20/02/2003, Rv. 560622 – 01; Sez. L, Sentenza n. 12761 del 09/07/2004, Rv. 575401 – 01). Stante tale funzione, per soddisfare il suddetto requisito è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

Il ricorso in esame, nell’esposizione del fatto, non presenta tale contenuto minimo.

Il ricorrente non illustra in modo adeguatamente specifico né il credito oggetto dell’atto di precetto opposto, né il titolo esecutivo su cui lo stesso era fondato, né le ragioni poste a base dell’opposizione, né le difese della curatela opposta, né le ragioni del rigetto dell’opposizione da parte del tribunale, né gli specifici motivi di appello avanzati avverso tale decisione.

La lacunosa esposizione dei fatti di causa non consente una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, elementi necessari per la valutazione nel merito delle censure proposte nella presente sede.

In ogni caso, per quanto è possibile evincere da tale lacunosa esposizione, si tratta di censure che non potrebbero trovare accoglimento, come sarà di seguito chiarito.

2.1 Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Sulla violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, c.p.c., comma 1, n. 3, per vizio di motivazione (art. 111 Cost., artt. 132 e 161 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c.)”.

Il motivo è manifestamente infondato.

Contrariamente a quanto pare sostenere (in modo del tutto generico, peraltro) il ricorrente, la decisione impugnata risulta sostenuta da motivazione del tutto adeguata, certamente non apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede, con riguardo alla questione della persistenza del diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, in mancanza di prova dell’avvenuto deposito da parte del debitore in stato di sovraindebitamento di una proposta di accordo ai sensi della L. n. 3 del 2012, e di un provvedimento del giudice, ai sensi della predetta L., art. 10, comma 3, di sospensione dell’inizio e della prosecuzione delle procedure esecutive individuali.

2.2 Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione di legge ex art. 36, c.p.c., n. 3, in relazione alla L. n. 3 del 2012, art. 10”.

Il motivo è inammissibile.

La censura non coglie l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, sul punto in contestazione ed è comunque formulata in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

La corte di appello ha infatti affermato che l’opponente non aveva neanche dimostrato di aver depositato una proposta di accordo ai sensi della L. n. 3 del 2012 (e, tanto meno, che fosse intervenuto un provvedimento del giudice, ai sensi della predetta L., art. 10, comma 3, di sospensione dell’inizio e della prosecuzione delle procedure esecutive individuali).

Il ricorrente deduce semplicemente di avere depositato tale istanza e (sia pure in termini generici) pare sostenere che sarebbe stato nominato l’organismo di composizione della crisi, ma non chiarisce in che data, né precisa se (ed eventualmente in che data) era intervenuto il provvedimento di sospensione delle procedure esecutive individuali; soprattutto, in evidente violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non chiarisce in modo sufficientemente specifico se ed in che modo aveva documentato tutto ciò nel corso del giudizio di merito.

2.3 Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato sulla erronea condanna al pagamento delle spese processuali, ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c.”.

Il motivo è manifestamente infondato.

La corte di appello ha correttamente applicato il disposto dell’art. 91 c.p.c., secondo il quale la parte soccombente va condannata al rimborso delle spese in favore di quella vittoriosa (cd. principio di soccombenza): non vi è dubbio infatti che la soccombenza della parte opponente (attuale ricorrente) sia stata integrale, essendo stata rigettata la sua opposizione.

Del resto, la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 – 01; conf., in precedenza: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 851 del 01/03/1977, Rv. 384463 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1898 del 11/02/2002, Rv. 552178 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10861 del 24/07/2002, Rv. 556171 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003, Rv. 572524 – 01; successivamente: Sez. 3, Sentenza n. 22541 del 20/10/2006, Rv. 592581 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 28492 del 22/12/2005, Rv. 585748 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7607 del 31/03/2006, Rv. 590664 – 01), tanto meno, quindi, sotto il profilo della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (la cui pretesa violazione nella specie non risulta neanche argomentata in modo sufficientemente comprensibile, in verità).

3. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Nulla è a dirsi con riguardo alle spese del giudizio non avendo la parte intimata svolto attività difensiva nella presente sede. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– nulla per le spese.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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