Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32841 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 35565 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto da:

TALETE S.p.A., (C.F.: *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Nuzzo, (C.F.: NZZ MRA 42L23 H501C), e Giuseppe Di Pietro, (C.F.: DPT GPP 75M29 H501N);

– ricorrente –

nei confronti di:

A.M., (C.F.: *****);

C.A., (C.F.: *****);

D.S.A.R., (C.F.: *****), rappresentati e difesi dall’avvocato Massimo Pistilli (C.F.; PST MSM 65P02 M082V);

REGIONE LAZIO, (C.F.: *****), in persona del Presidente della Giunta Regionale, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Ferraguto, (C.F.: FRR NDR 62R26 C351H);

– controricorrenti-

nonché

AUTORITA’ D’AMBITO TERRITORIALE OTTIMALE N. 1 LAZIO NORD-VITERBO, (C.F.: *****), in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Viterbo n. 530/2019, pubblicata in data 17 aprile 2019;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio in data 17 giugno 2021 dal consigliere Augusto Tatangelo.

FATTI DI CAUSA

A.M., C.A. ed D.S.A.R. hanno agito in giudizio nei confronti della Talete S.p.A., gestore del locale servizio idrico integrato per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla somministrazione di acqua potabile con presenza di arsenico e/o fluoruri in misura superiore ai limiti massimi consentiti dalla legge. La società convenuta ha chiamato in causa la Regione Lazio e l’Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale n. 1 Lazio Nord Viterbo.

La domanda degli attori è stata accolta dal Giudice di Pace di Viterbo, che ha condannato la Talete S.p.A. alla restituzione del 50% del canone acqua potabile dal 1 gennaio 2013 alla data della domanda giudiziale, per Euro 250,00, in favore dell’ A. e della D.S., e per Euro 335,00 in favore del C.. E’ stata invece respinta la domanda di manleva della società convenuta.

Il Tribunale di Viterbo ha dichiarato inammissibile, per tardività, l’appello della Talete S.p.A..

Ricorre Talete S.p.A., sulla base di quattro motivi.

Resistono, con due distinti controricorsi: l’ A., il C. e la D.S.; la Regione Lazio.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altro ente intimato.

E’ stata disposta la trattazione in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione degli artt. 115 e 133 c.p.c., art. 2719 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il secondo motivo si denunzia “violazione dell’art. 101 c.p.c., violazione del diritto di difesa – omesso contraddittorio e termini a difesa su di una questione non sollevata formalmente dalle parti e rilevata d’ufficio”.

Con il terzo motivo si denunzia “Violazione degli artt. 115,116,133 c.p.c., art. 2719 c.c., art. 2712, D.Lqs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 2, e art. 23 quater (C.a.d.), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il quarto motivo si denunzia “Omesso esame di un fatto circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

1.1 Secondo la società ricorrente, in base alla prassi dell’ufficio del Giudice di Pace di Viterbo, la pubblicazione della sentenza di primo grado sarebbe avvenuta solo con il suo inserimento nel registro cronologico (nonché con la sua comunicazione, formalità avvenute in data 27 novembre 2014) e non con il suo deposito in cancelleria (attestato in data 11 novembre 2014), come invece ritenuto dal tribunale, in contrasto (secondo la ricorrente) con i principi desumibili dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e di questa stessa Corte (vengono richiamate la sentenza della Corte Costituzionale 21 gennaio 2015 n. 3, nonché Cass., Sez. U, Sentenza n. 18569 del 22/09/2016, Rv. 641078 – 01) sulla scissione tra data di deposito e data di pubblicazione della sentenza.

1.2 La decisione impugnata sul punto sarebbe del resto nulla, in quanto fondata su una questione rilevata d’ufficio, senza previa assegnazione alle parti di un termine per presentare osservazioni in proposito.

1.3 In ogni caso, il tribunale avrebbe dovuto ritenere provato il fatto che il procedimento di pubblicazione si era completato solo con l’inserimento della sentenza oggetto di deposito nell’elenco cronologico esistente presso la cancelleria e con l’assegnazione del numero identificativo, non avendo gli appellati sollevato alcuna eccezione in ordine alla tempestività dell’atto d’appello, e non avendo essi contestato la documentazione prodotta a supporto dell’assunto.

1.4 In proposito sarebbe stato omesso l’esame del fatto decisivo e controverso rappresentato dall’inserimento dell’atto oggetto di deposito nell’elenco cronologico delle sentenze esistente presso la cancelleria solo nella data del 27 novembre 2014.

2. Le questioni poste con il ricorso in esame, come sopra specificamente illustrate, sono state già affrontate da questa Corte, in controversie aventi identico oggetto e riguardanti la medesima società ricorrente (nonché la medesima Regione Lazio, anche se relative a domande proposte da altri utenti del servizio idrico).

Tutte le censure sono state ritenute manifestamente infondate, avendo la Corte (cfr. Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4206 del 19/02/2020; Sez. 6 – 3, Ordinanze n. 12978 e n. 12979 del 30/06/2020) ritenuto quanto di seguito sintetizzato.

2.1 Con riguardo al primo ed al quarto motivo del ricorso:

– il riferimento alla giurisprudenza in tema di scissione tra data di deposito e data di pubblicazione della sentenza è inconferente, dal momento che, come chiaramente affermato nella sentenza impugnata, nel caso di specie si è in presenza di un’unica data, quella di deposito della sentenza, attestata in calce al provvedimento medesimo e fidefaciente fino a querela di falso;

– il principio affermato nell’arresto richiamato nel ricorso (Cass., Sez. U. n. 18569 del 2016), viene in rilievo solo nella “sciagurata” ipotesi in cui in calce alla sentenza siano apposte due diverse date: una di “deposito” della sentenza, l’altra di “pubblicazione”, mentre l’apposizione da parte del cancelliere di un’unica data impone di ritenere fino a querela di falso che la sentenza è “venuta ad esistenza” in quella data, con ogni relativo presupposto e conseguenza;

– l’accertamento in ordine al momento in cui la sentenza è divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria comportante l’inserimento di essa nell’elenco cronologico delle sentenze e l’attribuzione del relativo numero identificativo, diviene necessario (solo) “nel caso in cui risulti realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione attraverso l’apposizione in calce alla sentenza di due diverse date”;

– non è pertanto, nella specie, rilevante il riferimento in ricorso alla certificazione attestante la data di inserimento della sentenza nel registro cronologico; tanto meno poi, ovviamente, può considerarsi rilevante la divaricazione nella specie verificatasi fra data di deposito/pubblicazione della sentenza e la data in cui la cancelleria ha provveduto alla sua comunicazione alle parti (sia pure nella specie oltre il termine previsto dei cinque giorni).

2.2 Con riguardo al secondo motivo del ricorso:

– questa Corte ha già più volte chiarito che la “questione” rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina della previa sottoposizione alle parti del rilievo d’ufficio è solo quella “di fatto”, oppure “mista di fatto e diritto” (cfr. ad es. Cass. 23/05/2014 n. 11453), in quanto il rilievo d’ufficio di questioni di mero diritto non mette mai il giudice nella condizione di emanare una sentenza in violazione del diritto di difesa delle parti (cosiddette “della terza via” o “a sorpresa”), posto che su questioni di tal natura le parti sono ex ante facultate – sulla base della anche solo astratta o ipotetica applicabilità di norme esistenti nell’ordinamento a fatti che, invece, restano quelli dedotti dalle parti – al più ampio esercizio del contraddittorio;

– nell’ambito delle questioni di diritto, le quali per loro natura non debbono essere sottoposte al previo contraddittorio, la giurisprudenza di questa Corte fa rientrare le questioni processuali (v. Cass. 16/10/2017 n. 24312; 30/04/2011 n. 9591; 22/02/2016 n. 3432; contra, isolata a quanto consta, Cass. 31/01/2017 n. 2340); ciò che del resto è coerente con l’ampio spettro di controllo che l’ordinamento prevede per gli errores in procedendo, per i quali non solo è possibile il ricorso per cassazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), ma addirittura la Corte di legittimità diviene giudice del fatto processuale, avendo accesso alla documentazione di lite (v., in termini, Cass. n. 24312 del 2017, cit.);

– tanto più ciò deve affermarsi allorquando, come nella specie, la questione posta inerisca alla tempestività dell’impugnazione che, costituendone condizione di ammissibilità, dev’essere d’ufficio controllata dal giudice;

– pertanto, non sussiste nella specie alcuna nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c., trattandosi di decisione fondata su questione di diritto e di natura processuale, in relazione alla quale le parti hanno la facoltà ex ante di esercitare ampiamente il contraddittorio.

2.3 Con riguardo al terzo motivo del ricorso:

– secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’inammissibilità dell’impugnazione derivante dall’inosservanza dei termini stabiliti a pena di decadenza è correlata alla tutela d’interessi indisponibili e, come tale, è rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto della costituzione dell’appellato (ex aliis Cass. Sez. U. 05/04/2005, n. 6983; Cass. 05/06/2015, n. 11666; 11/11/2009, n. 23907).

2.4 Il collegio ritiene di dover dare seguito ai precedenti richiamati, condividendo i principi di diritto posti a base degli stessi, che del resto il ricorso non offre argomenti idonei ad indurre a rimeditare, con conseguente infondatezza di tutti i motivi dello stesso.

3. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole, per ciascun controricorso, in complessivi Euro 1.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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