Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32849 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4804/2020 proposto da:

D.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO SOTTILE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA SEZIONE DI FORLI’-CESENA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il 20/12/2019 R.G.N. 16696/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/07/2021 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Bologna con decreto pubblicato il 20.12.2019, ha respinto il ricorso proposto da D.A., cittadino della Costa d’Avorio, avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale ha rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;

2. Il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente – fuggito dal proprio Paese per aver investito, con il taxi di cui possedeva la licenza, un ciclista e per sottrarsi alle minacce della persona investita successivamente deceduta – non ha allegato di essere affiliato politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, né di appartenere ad una minoranza etnica e/o religiosa oggetto di persecuzione come richiesto per la protezione internazionale né lo stesso risulta compreso nelle categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano;

b) il racconto del richiedente non è credibile in quanto generico, contraddittorio privo di dettagli sia con riguardo alle circostanze dell’incidente che in riferimento alle minacce ricevute dai familiari della persona investita, risultando, inoltre, assente, come da fonti internazionali accreditate ed aggiornate, una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nel paese di provenienza che possano compromettere l’incolumità dei cittadini;

c) non può concedersi la protezione umanitaria perché non è stata allegata e provata una situazione concreta ed individuale di vulnerabilità del richiedente;

3. il ricorso del richiedente chiede la cassazione del suddetto decreto per tre motivi;

4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, nonché del D.Lgs. n. 26 del 2008, artt. 2, 3, 4, 5, 6, artt. 8, 2, 3 e 27 CEDU nonché vizio di motivazione, travisamento dei fatti e omesso esame di fatti decisivi, avendo – il Tribunale di Bologna – omesso di esercitare l’onere di collaborazione istruttoria a fronte del ragionevole sforzo compiuto dal richiedente, da ritenersi del tutto credibile, per circostanziare la domanda;

2. con il secondo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14, nonché omessa valutazione di fatti decisivi avendo trascurato, il Tribunale, di approfondire la situazione socio-politica del paese di provenienza mediante fonti accreditate;

3. con il terzo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, nonché omessa valutazione di fatti decisivi avendo, il Tribunale di Bologna, trascurato di approfondire la situazione di integrazione del richiedente in Italia, legato sentimentalmente ad una ragazza del Mali e impegnato in numerosi contratti a tempo determinato come bracciante agricolo;

4. i primi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente per la loro intrinseca connessione, vanno dichiarati inammissibili, perché, al di là del formale richiamo alla violazione di svariate norme di legge contenuto nell’intestazione di entrambi i motivi, le censure con essi proposte finiscono con l’esprimere un mero – e, di per sé, inammissibile – dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dal Tribunale a proposito sia della condizione socio-politica della Costa d’Avorio sia della condizione personale del ricorrente quale emersa dal suo racconto, sulla base delle risultanze processuali;

4.1. a ciò va aggiunto che in base all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dal giudice del merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano;

4.2. invero, il Tribunale ha rilevato che, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, la situazione personale del richiedente nonché la situazione socio-politica del Paese di provenienza non configuravano un fondato timore di una persecuzione personale e diretta, non essendo emersa una specifica esposizione al rischio di violazione dei diritti umani in caso di rientro in Patria; il relativo accertamento integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti – come già detto – di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. fra le tante Cass. n. 30105 del 21 novembre 2018);

4.3. in ordine all’incidente provocato con il taxi e alle minacce ricevute dai familiari della persona investita, il Tribunale ha rilevato la genericità della descrizione, la mancanza di dettagli non secondari, le contraddizioni insanabili e le aporie del narrato; con riguardo al riferito matrimonio con una cittadina maliana (relazione sprovvista di convivenza), ha osservato che nessuna documentazione è stata prodotta e che la gravidanza non è risultata veritiera;

4.4. inoltre, in ordine alla protezione sussidiaria, il Tribunale, citando fonti internazionali attendibili ed aggiornate (pagg. 8 e 9 del decreto impugnato) ha accertato in fatto che nello stato di provenienza non fosse in atto una situazione assimilabile a quella di un conflitto armato generatore di violenza indiscriminata; lo stabilire se tale accertamento sia corretto o meno è questione di fatto, come tale incensurabile in questa sede se non evidenziando l’omesso esame di un fatto decisivo o la manifesta irrazionalità della decisione, censure neanche prospettate dall’odierno ricorrente (di recente: Cass. n. 6897 del 2020); in realtà chi ricorre si limita – citando una fonte internazionale più risalente di quelle indicate dal Tribunale – a prospettare una diversa valutazione della situazione del Paese di provenienza, con una censura che attiene chiaramente ad una quaestio facti che non può essere riesaminata innanzi alla Corte di legittimità, perché si esprime un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e si invoca, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse (da ultimo, tra molte, v. Cass. n. 2563 del 2020);

5. il terzo motivo di ricorso è inammissibile;

5.1. il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria al cittadino straniero che abbia realizzato un adeguato grado di integrazione sociale nel nostro paese, secondo i parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 2 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, impone l’esame specifico e attuale della situazione oggettiva e soggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, dovendosi fondare su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (cfr. Cass. S.U. nn. 29459 e 9460 del 2019);

5.2. la ratio della protezione umanitaria rimane quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona che ne integrano la dignità, con la conseguenza che la mera allegazione di una esistenza migliore nel paese di accoglienza non è sufficiente, dovendo comunque verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili (Cass. n. 4455 del 2018); la protezione umanitaria costituisce una forma di tutela a carattere residuale posta a chiusura del sistema complessivo che disciplina la protezione internazionale degli stranieri in Italia (come rende evidente l’interpretazione letterale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3);

5.3. il Tribunale ha valutato la situazione di integrazione sociale del richiedente (escludendo sia una relazione affettiva stabile sia la paternità del richiedente) e ha altresì rilevato che non sussiste una situazione di compromissione dei diritti fondamentali nel paese d’origine;

6. in conclusione, il ricorso è inammissibile; alla reiezione del ricorso, non consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, non avendo l’intimato svolto attività difensive;

7. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 1 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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