Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32862 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1662/2019 proposto da:

UNIVERSAL SERVICES S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa degli avvocati CATERINA ALBANO, e MANUELA CARLA BUFFON;

– ricorrente –

contro

F.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SABINA PIZZUTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 474/2018 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 25/10/2018 R.G.N. 599/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/02/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Reggio Calabria ha accolto il reclamo di F.A. e, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palmi, ha dichiarato l’illegittimità, per violazione della L. n. 68 del 1999, artt. 3 e 10, del licenziamento intimatogli dalla Universal Service s.r.l. in data 25 settembre 2014 condannando la società datrice a reintegrarlo nel posto di lavoro ed a corrispondergli dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal licenziamento alla reintegrazione con interessi legali e spese.

2. Il giudice del reclamo, preso atto che né l’ordinanza resa nella fase sommaria né la sentenza pronunciata all’esito dell’opposizione avevano preso in esame la denunciata violazione della L. n. 68 del 1999, tempestivamente sollevata sin dal primo atto del giudizio, ha quindi accertato che la società datrice di lavoro non faceva parte delle categorie esonerate ai sensi dell’art. 5, comma 2 della citata Legge dal rispetto delle quote di riserva previste in favore dei lavoratori disabili dall’art. 3 della stessa Legge.

2.1. Ha evidenziato che alla fattispecie non era applicabile del citato art. 5, comma 3 bis, in quanto all’epoca dei fatti non ancora vigente.

2.2. Ha poi escluso che nella specie ricorressero le condizioni di esonero parziale dall’assunzione dei disabili previste dalla L. n. 68 del 1999, art. 5, comma 2, nel testo ratione temporis applicabile, rilevanti anche ai fini della qualificazione del licenziamento come legittimo o meno, non essendo stata allegata l’autocertificazione dell’esonero né la prova del pagamento del contributo al fondo regionale.

2.3. Ha evidenziato che in giudizio era risultato che la società, successivamente al recesso aveva chiesto all’Agenzia di lavoro Port Agency s.r.l., creata per ricollocare dipendenti in esubero nel porto di ***** di reperire rizzatori dell’area protetta. Inoltre la domanda di esonero prodotta, pur sempre priva dell’autocertificazione, era comunque successiva al licenziamento.

2.4. Ha dedotto che il personale addetto al rizzaggio, come il ricorrente, non rientrava nella categoria del personale viaggiante/navigante ai sensi dell’art. 5, comma 2 citato.

2.5. In definitiva ha escluso la sussistenza di un diritto all’esonero dall’assunzione dei disabili sotto i diversi profili evidenziati e, per conseguenza, ha ritenuto ingiustificato il recesso ed applicabile la tutela reintegratoria debole prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come modificata dalla L. n. 92 del 2012.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre Universal Service s.r.l. con tre motivi ai quali resiste con controricorso F.A.. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

Che:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 416 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 6 e la nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

4.1. Deduce la ricorrente che erroneamente la sentenza pronunciata in sede di reclamo ha affermato che in primo grado, sia nella fase sommaria che poi in esito all’opposizione, era stata omessa la pronuncia sulla inesistenza dei presupposti per ottenere l’esonero dall’applicazione della riserva a favore dei lavoratori disabili. Al contrario, ad avviso della società ricorrente la pronuncia era stata implicita in considerazione del fatto che la società aveva documentato l’esistenza delle condizioni, previste dalla disciplina antecedente le modifiche del D.Lgs. n. 151 del 2015, per beneficiare dell’esonero e afferma che, conseguentemente, non essendovi alcun obbligo di assunzione di lavoratori disabili questi, una volta assunti, potevano essere licenziati senza alcun vincolo al pari di tutti gli altri lavoratori.

5. Con il secondo motivo di ricorso la società deduce che la sentenza sarebbe nulla per violazione art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ed in relazione alla violazione e falsa applicazione della L. n. 68 del 1999, art. 3 e art. 10, n. 4, poiché non ha individuate correttamente la normativa da applicare al caso concreto sebbene alla stessa fosse stato fatto specifico riferimento ed in tal modo il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione della L. n. 68 del 1999, art. 5, comma 2, nel testo modificato dal D.L. n. 70 del 2011, art. 6, comma 2 ter, convertito nella L. n. 106 del 2011.

6. Il terzo motivo ha ad oggetto l’omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa. Deduce la società ricorrente che il giudice di appello avrebbe trascurato di verificare l’effettiva violazione della quota di riserva che avrebbe dovuto essere determinata tenendo conto del numero complessivo di lavoratori occupati che, per le imprese che hanno in servizio tra sedici e trentacinque unità di personale, è di una sola unità la quale, nella specie, era comunque rimasta coperta.

6.1. A tale mancata verifica consegue il vizio denunciato atteso che per tale aspetto decisivo la motivazione della sentenza ne risulterebbe per un verso apparente e per altro verso perplessa.

7. Le tre censure, che sotto diversi profili investono la decisione nella parte in cui ha ritenuto che la società fosse o meno soggetta all’obbligo di procedere all’assunzione di quote di lavoratori invalidi e che, conseguentemente, era vincolata nel recedere dal rapporto possono essere esaminate congiuntamente e sono per taluni aspetti infondate e per altri inammissibili.

7.1. Occorre premettere che il rapporto di lavoro tra F.A. e la Universal Services s.r.l. si è svolto tra il 12 giugno 2008 ed il 25 settembre 2014 quando il medesimo era stato licenziato a cagione di un denunciato calo delle commesse e di fatturato ed al conseguente stato di crisi determinatosi.

7.2. Al rapporto, che vede parte un lavoratore invalido, trova applicazione la L. n. 68 del 1999, art. 5, nel testo antecedente le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 151 del 2015 (c.d. legge Fornero). 7.3. Tale disposizione indica le categorie di imprese che, in relazione a determinate mansioni, sono esonerate dal rispetto delle quote di riserva per le assunzioni dei lavoratori disabili previste dall’art. 3 della citata Legge.

7.4. Il giudice di appello ha correttamente individuato la disciplina applicabile al rapporto di lavoro ed ha accertato che la società Universal Services s.r.l., in relazione all’attività svolta, non rientrava tra le imprese che possono derogare agli obblighi di assunzione obbligatoria degli invalidi, nei limiti delle quote di riserva previste dalla legge. Ha correttamente escluso che al rapporto di lavoro in esame trovi applicazione l’art. 5, comma 3 bis della Legge, introdotto dalla c.d. legge Fornero ed ha accertato che invece al rapporto trovava applicazione del citato art. 5, comma 2 nel testo vigente successivamente alle modifiche introdotte dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 6, comma 2 ter, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106 (poi soppresso dalla legge Fornero) che consentiva al datore di lavoro di lavoro di autocertificare l’esclusione dei lavoratori interessati dalla base di computo degli addetti impegnati in lavorazioni che comportano il pagamento di un tasso di premio ai fini INAIL pari o superiore al 60%.

7.5. Applicando al caso concreto la disciplina, così correttamente individuata, la Corte di merito ha poi accertato in fatto che, nello specifico, la società non aveva versato alcuna somma al Fondo disabili, come previsto dall’art. 5, comma 2 citato e che la domanda di esonero dagli obblighi di cui all’art. 3, era priva della necessaria assunzione di responsabilità, anche penale in relazione alle dichiarazioni false. Infine ha verificato che i lavoratori che come il ricorrente erano addetti a rizzaggio non rientravano tra il “personale viaggiante/navigante” per il quale l’esonero era automaticamente previsto.

7.6. Premesso allora che nello specifico neppure è dedotta l’esistenza di un giudicato interno,eventualmente formatosi sulla sentenza di primo grado in relazione all’esonero della società dal rispetto delle quote di riserva e dell’applicazione della connessa disciplina di legge, va rilevato che la ricorrente nel dolersi di una mancata devoluzione della questione inerente l’avvenuto accertamento dell’esonero dall’obbligo di rispettare la disciplina sulle riserve nel giudizio di appello, trascura di riprodurre in ossequio al principio di autosufficienza e con conseguente preclusione di ogni esame della stessa – il contenuto delle allegazioni formulate in giudizio dalla società relativamente alle condizioni dell’esonero, il tenore testuale dei provvedimenti di primo grado impugnati che avrebbero implicitamente fatto proprie tali allegazioni ed infine le censure formulate dal lavoratore a quei provvedimenti.

7.7. Si deduce che erroneamente la sentenza pronunciata in sede di reclamo avrebbe affermato che in primo grado, sia nella fase sommaria che poi in esito all’opposizione, era stata omessa la pronuncia sulla inesistenza dei presupposti per ottenere l’esonero dall’applicazione della riserva a favore dei lavoratori disabili. Si afferma che invece la pronuncia, seppur implicita, vi era stata atteso che la società aveva documentato l’esistenza delle condizioni, previste dalla disciplina antecedente le modifiche del D.Lgs. n. 151 del 2015, per beneficiare dell’esonero e che, conseguentemente, non essendovi alcun obbligo di assunzione di lavoratori disabili questi, una volta assunti, potevano essere licenziati senza alcun vincolo al pari di tutti gli altri lavoratori.

7.8. Rileva tuttavia il Collegio che la censura, per superare il filtro di ammissibilità avrebbe dovuto, e non lo ha fatto, mettere la Corte nella condizione di apprezzare, sin dalla lettura del ricorso per cassazione, quanto meno la consistenza di tali affermazioni. Per tale aspetto la censura è inammissibile.

7.9. Neppure la Corte territoriale ha errato nell’individuare la normativa da applicare la quale, al contrario, per quanto più sopra esposto, oltre ad essere stata esattamente ricostruita è stata anche correttamente applicata nella formulazione ratione temporis vigente. Per tale aspetto le censure sono infondate.

8. Anche l’ultimo motivo di ricorso non può trovare accoglimento.

8.1. Nel dolersi del mancato accertamento dell’avvenuto rispetto delle percentuali di riservatari la società ricorrente non spiega dove, come e quando ha dedotto che tale riserva sarebbe stata rispettata. Dalla lettura della sentenza si evince solo che la società aveva dedotto di essere esonerata dall’obbligo ma non anche di averlo rispettato. Per tale aspetto la deduzione è nuova e perciò, ancora una volta, inammissibile.

9. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere complessivamente rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico della ricorrente soccombente. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dellkricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.250,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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