LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34733/2018 proposto da:
P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MIOMERCATO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA GIOVANNI PRATO;
– controricorrente –
avverso sentenza n. 1040/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 24/10/2018 R.G.N. 547/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/05/2021 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI.
CONSIDERATO
Che:
Con sentenza n. 370/17, la Corte d’appello di Palermo riformava la sentenza del Tribunale di Trapani e per l’effetto respingeva la domanda di P.G. diretta all’impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli in data 20.1.15 dalla società MIOMERCATO s.r.l., per essere state rinvenute in esposizione n. 27 confezioni di prodotti scaduti, nel reparto cui era addetto.
Proposto ricorso per cassazione, questa Corte, con ord. n. 19931/18, dichiarava inammissibile il ricorso per contenere unicamente una contestazione dell’accertamento di fatto compiuto dai giudici di appello. Nelle more il P. era stato nuovamente licenziato, in data 9.10.15, per motivi disciplinari (assenze ingiustificate).
Anche tale secondo licenziamento veniva impugnato dal lavoratore con giudizio che vide dapprima l’accoglimento dell’impugnativa ad opera della sentenza n. 1/17 della Corte d’appello di Palermo, quindi la cassazione con rinvio (alla medesima Corte distrettuale) di questa pronuncia (per un più adeguato esame delle circostanze del caso) ad opera di Cass. ord. n. 9339/18.
Riassunto il giudizio, con sentenza n. 1040/18 la Corte palermitana respingeva la domanda di declaratoria di illegittimità del licenziamento 9.10.15, essendo nel frattempo passata in giudicato (per effetto di Cass. ord. n. 19931/18) la sentenza n. 370/17 della Corte d’appello di Palermo.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il P., affidato a due motivi; resiste la società con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con primo motivo il lavoratore denuncia la violazione degli artt. 394,372 e 384 c.p.c., mentre con secondo motivo denuncia l’omesso esame di un (non chiaramente delineato) fatto decisivo per il giudizio. In sostanza il P. si duole che sentenza impugnata, violando i limiti del giudizio di rinvio, abbia attribuito rilievo decisivo al passaggio in giudicato della sentenza n. 370/17 della Corte d’appello di Palermo (statuente la legittimità del primo licenziamento intimato al P. il 20.1.15 dalla società Miomercato), senza peraltro considerare che la pretesa causa estintiva del diritto (l’accertata legittimità del primo licenziamento) poteva essere fatta valere dalla società già nel giudizio di cassazione rescindente conclusosi con ordinanza n. 9339/18.
I motivi, che per la loro connessione possono congiuntamente esaminarsi, sono infondati.
Giova premettere che l’affermazione contenuta in ricorso, secondo cui la sentenza impugnata “omise ogni esame sugli effetti della sentenza n. 370/17 della Corte d’appello di Palermo” (pag. 8 ricorso) è del tutto destituita di fondamento, avendo la decisione impugnata ampiamente esaminato la questione giungendo alla corretta statuizione che la ora detta pronuncia n. 370/17 era passata in giudicato per effetto della dichiarata inammissibilità del ricorso per cassazione avverso di essa proposto, con conseguente immodificabilità della statuizione della cessazione del rapporto per effetto del primo licenziamento 20.1.15.
Anche la deduzione che il rapporto di lavoro si era estinto ab origine con la declaratoria di legittimità del primo licenziamento (stabilita con sentenza n. 370/17 della Corte palermitana), oltre che in contraddizione con l’azione proposta, è priva di fondamento essendo stata tale sentenza ricorsa per cassazione.
La questione comporta il rigetto del primo motivo inerente i limiti del giudizio di rinvio, essendo stato esaminato dal relativo giudice un fatto sopravvenuto (la definitiva legittima cessazione del rapporto per effetto del primo licenziamento) estintivo o modificativo del diritto fatto valere, afferente a un profilo non affrontato in precedenza dai giudici di merito ed esulante dal “decisum” del giudizio rescindente (Cass. n. 11716/14, Cass. n. 26521/18).
Che poi l’accertamento definitivo della legittimità di un primo licenziamento comporti l’inefficacia di un secondo licenziamento intimato al medesimo lavoratore, ancorché (o proprio perché) condizionato all’eventuale declaratoria di illegittimità del primo, è pacifico (Cass.n. 17247/16, Cass. n. 6308/17, Cass. n. 27390/13).
Il ricorrente, quanto al secondo motivo di ricorso, non chiarisce affatto quale sia il fatto storico decisivo non esaminato dalla sentenza impugnata, in contrasto con quanto affermato da Cass. sez. un. in tema di novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: “La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 19881/14, Cass. ord. n. 27415/18, ex aliis).
Ne’ può ritenersi che la sentenza impugnata avrebbe dovuto dichiarare la cessazione della materia del contendere, avendo la corte di merito correttamente (ed incontestatamente) evidenziato che tale pronuncia era preclusa dalla mancata adesione del P. a tale conclusione e che a tal fine era necessaria la chiara adesione delle parti (e plurimis, Cass. n. 17247/16).
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021
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