Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.32893 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24896/2019 proposto da:

J.X., rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Lanzillo, del foro di Roma domiciliata in Roma, viale Angelico n. 38, presso lo studio del difensore ovvero all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 14900/2019 del Tribunale di ROMA, depositato il 14/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/01/2021 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:

– con provvedimento notificato il 19.09.2018 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma rigettava la domanda della ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria;

– avverso tale provvedimento interponeva opposizione J.X., che veniva respinta dal Tribunale di Roma con Decreto n. 14900 del 14.05.2019;

– la decisione evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, pur esprimendo una valutazione di credibilità della vicenda narrata dalla richiedente circa i numerosi episodi di violenza subiti da parte del marito che però viveva in Slovenia dal 2010 e comunque lo Stato di origine, la Cina, riconosceva il diritto di richiedere il divorzio anche nella forma giudiziale. Aggiungeva che in Cina, in particolare la zona di origine della ricorrente, la provincia di Zhejang, non si registravano situazioni di violenza generalizzata (rapporto di Amnesty Internationale 20172018). Infine le specifiche vicende allegate non integravano un’ipotesi di vulnerabilità individuale, né era stato prodotto alcun documento attestante siffatto stato da parte della richiedente ovvero elementi di integrazione sociale nel nostro paese (avendo dimostrato di avere lavorato periodicamente in Italia come commessa, attività che già svolgeva in Shangai), sì da rendere difficile il reinserimento nel proprio paese;

– propone ricorso per la cassazione avverso tale decisione l’ J. affidato ad un motivo;

– il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Atteso che:

– con l’unico motivo la ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – il difetto di motivazione e travisamento dei fatti con conseguente errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, quanto alla mancata concessione della protezione umanitaria, che – ad avviso del ricorrente – avrebbe dovuto essere accordata proprio in ragione delle condizioni del suo paese di origine che non garantirebbe la tutela dei diritti umani, anche primari. Aggiunge la ricorrente che il Tribunale avrebbe esaminato le COI solo con riferimento alla protezione sussidiaria non anche per quella umanitaria.

Il motivo è generico e come tale inammissibile nel carattere meramente assertivo e descrittivo assolto dal medesimo che richiama contenuti di norme e principi di loro interpretazione non puntualizzati in relazione al caso concreto.

A siffatto rilievo si accompagna, altresì, la considerazione che la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore” (Cass. n. 21123 del 2019).

La ricorrente denuncia la violazione dell’istituto senza indicare al di là della provenienza, la Cina, i motivi di vulnerabilità della propria condizione, che resta genericamente dedotta a fronte di un sistema a tutele tipizzate.

Inoltre nessun dirimente rilievo dispiega, ai fini della prova del profilo dell’avvenuta integrazione sociale della richiedente in funzione del riconoscimento del presidio tutorio di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, la sola frequenza di corsi di italiano. Peraltro, quand’anche effettivamente conseguita, l’integrazione non risulta neanche allegata ed è ben lungi dall’esaurire la piattaforma dei presupposti richiesti per il riconoscimento della protezione minore, ai cui fini è necessaria, secondo la più autorevole interpretazione di questa Corte regolatrice: “la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato” (Cass., Sez. Un., n. 29459 del 2019).

Ne’ è possibile valutare la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria dalle migliori condizioni di vita che le sarebbero in Italia piuttosto che nel Paese di origine, non costituendo siffatta sproporzione ragione per l’acquisizione di un diritto in tal senso (Cass. n. 32213 del 2018).

In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Amministrazione che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre a spese prenotate e prenotande a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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