Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.32896 del 09/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23930-2015 proposto da:

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

M.O.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTTORINO LAZZARINI 19, presso lo studio degli avvocati ANDREA SGUEGLIA, e UGO SGUEGLIA, che lo rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5747/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/07/2015 R.G.N. 5564/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/04/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’

Stefano, visto il D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 5747/2015, pubblicata il 13 luglio 2015, la Corte di appello di Roma ha respinto il gravame principale del Ministero degli Affari Esteri, ritenendo illegittimi gli ulteriori rinnovi semestrali (dal 30/12/2003 al 29/6/2004 e dal 30/6/2004 al 29/12/2004) del contratto di impiego temporaneo stipulato con M.O.A., ai sensi della L. 27 maggio 2002, n. 104, art. 2 per il periodo dal 30/12/2002 al 29/6/2003 e già rinnovato una prima volta per sei mesi fino al 29/12/2003.

2. Ad avviso della Corte, sia il D.L. 25 ottobre 2002, n. 236, art. 8 convertito in L. 27 dicembre 2002, n. 284, sia il D.L. 31 marzo 2003, n. 52, art. 1-bis aggiunto dalla Legge di conversione 30 maggio 2003, n. 122, così come autenticamente interpretato dal D.L. 2 ottobre 2003, n. 272, art. 2 convertito in L. 24 novembre 2003, n. 336, avevano soltanto consentito all’Amministrazione di rinnovare il contratto a prescindere dall’osservanza del limite massimo prefissato di rapporti temporanei ma non anche di derogare ai limiti di durata del contratto di prima assunzione (non superiore a sei mesi) e della sua eventuale prosecuzione (anch’essa non superiore a sei mesi), la L. n. 104 del 2002, art. 2 in relazione al quale era stato stipulato il contratto, e tutte le fonti regolatrici successive avendo fatto riferimento, per la disciplina del rapporto, al D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento dell’Amministrazione degli Affari Esteri) che, all’art. 153, aveva posto tali limiti di durata e stabilito la possibilità di un unico rinnovo.

3. La Corte di appello, in parziale accoglimento del gravame incidentale, ribadito il divieto di conversione, ha poi rideterminato la misura del danno spettante al lavoratore in venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita, di cui quindici, in analogia con il valore del diritto di opzione ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, in relazione alla perdita del “posto di lavoro” e cinque L. n. 183 del 2010, ex art. 32: conclusione cui la Corte perviene mediante attribuzione di una natura anche sanzionatoria al risarcimento previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e tenuto conto della elaborazione compiuta dalla giurisprudenza UE (in particolare, con l’ordinanza 12 dicembre 2013, in causa C-50/13 Papalia) in materia di equivalenza, effettività e capacità dissuasiva della tutela apprestata.

4. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale con tre motivi, cui ha resistito il M. con controricorso, illustrato da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione delle fonti regolatrici del rapporto, le quali, diversamente da quanto ritenuto della Corte di merito, avevano derogato alla disciplina concernente il limite di durata: in particolare, richiama a sostegno della propria tesi il D.L. 31 marzo 2003, n. 52, art. 1-bis aggiunto dalla Legge di conversione 30 maggio 2003, n. 122, che consente il “proseguimento” dei rapporti, come quello oggetto del presente giudizio, “per un periodo massimo di dodici mesi” e la legge di interpretazione autentica di tale norma, là dove è precisato che il Ministero degli affari esteri può procedere “al rinnovo o alla stipula di nuovi contratti temporanei per una durata massima complessiva di dodici mesi”.

2. Con il secondo viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte omesso di pronunciarsi sulle censure svolte dall’Amministrazione in sede di appello.

3. Con il terzo la sentenza viene censurata nella parte in cui ha condannato il Ministero a pagare venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore a titolo di risarcimento danni: in primo luogo, per violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.), sul rilievo che l’attore non aveva mai avanzato una specifica richiesta in tal senso, insistendo invece sulla conversione del contratto e la conseguente condanna al pagamento delle retribuzioni non godute dalla cessazione del rapporto al ripristino dello stesso; in secondo luogo, per avere accolto la domanda risarcitoria, sebbene l’attore non avesse dimostrato – come sarebbe stato suo onere – l’esistenza dei danni in concreto subiti, e ciò in violazione del principio, ribadito nella giurisprudenza di legittimità anche a proposito del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, per il quale il danno non può ritenersi in re ipsa.

4. Deve preliminarmente essere ricostruito il quadro normativo di riferimento nel caso di specie.

4.1. Come è pacifico, il rapporto dedotto in giudizio è sorto in virtù di un contratto di impiego temporaneo stipulato ai sensi della L. 27 maggio 2002, n. 104, art. 2.

4.1.1. Tale disposizione prevede che “Per consentire l’espletamento della rilevazione dei cittadini italiani all’estero di cui alla L. 27 ottobre 1988, n. 470, art. 8, comma 2, come sostituito dall’art. 1, comma 5 presente legge, e per gli altri urgenti adempimenti elettorali, le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari, previa autorizzazione dell’Amministrazione centrale concessa in base alle esigenze operative delle singole sedi, possono assumere impiegati temporanei anche in deroga ai limiti del contingente di cui al D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, art. 152, comma 1, e successive modificazioni, nei limiti di spesa di cui al comma 2 del presente articolo”; fermo restando che “i relativi rapporti di impiego sono regolati dalle disposizioni del citato D.P.R. n. 18 del 1967”.

4.2. Il D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 (recante “Ordinamento dell’Amministrazione degli Affari esteri”) stabilisce, all’art. 153, che “Per particolari esigenze di servizio, gli uffici all’estero possono essere autorizzati ad assumere, nei limiti del contingente di cui all’art. 152, impiegati temporanei per periodi non superiori a sei mesi”; che “Detti contratti sono suscettibili, stante il perdurare delle particolari esigenze di servizio, di un solo rinnovo per un periodo non superiore a sei mesi”; che “Gli impiegati assunti con contratto temporaneo non possono essere assunti con nuovo contratto temporaneo se non dopo che siano trascorsi almeno sei mesi dalla scadenza del loro precedente rapporto di impiego”.

4.3. Il D.L. 25 ottobre 2002, n. 236, art. 8 convertito in L. 27 dicembre 2002, n. 284 ha poi previsto che “Le disposizioni di cui alla L. 27 maggio 2002, n. 104, art. 2, comma 1” fossero “prorogate per l’anno 2003, limitatamente al periodo di durata di un solo rinnovo dei contratti stipulati a seguito delle procedure di selezione già espletate alla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, art. 153, comma 2”.

4.4. E’, quindi, intervenuta la disposizione di cui al D.L. 31 marzo 2003, n. 52, art. 1-bis aggiunto dalla Legge di conversione 30 maggio 2003, n. 122, la quale ha previsto, al comma 1, che “Le rappresentanze diplomatiche e consolari possono proseguire, nel limite massimo complessivo di trecentottantaquattro unità e nei limiti di spesa di cui al comma 3, i rapporti di lavoro avviati con il personale con contratto temporaneo” di cui alla L. 27 maggio 2002, n. 104, art. 2, comma 1; e, al comma 2, che “Il proseguimento dei rapporti contrattuali di cui al comma 1 è autorizzato caso per caso dall’Amministrazione centrale, in base alle esigenze operative delle singole sedi, per un periodo massimo di dodici mesi a partire dalla scadenza dei diversi singoli contratti. Tali autorizzazioni sono accordate in deroga ai limiti del contingente di cui al D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, art. 152, comma 1, e successive modificazioni. I relativi rapporti di impiego sono regolati dalle disposizioni del citato D.P.R. n. 18 del 1967”.

4.5. il D.L. 2 ottobre 2003, n. 272, art. 2 convertito in L. n. 336 del 2003 (Interpretazione autentica del D.L. 31 marzo 2003, n. 52, art. 1-bis convertito, con modificazioni, in L. n. 122 del 2003) ha infine stabilito che le disposizioni di tale norma “si interpretano nel senso che, fermi restando il limite massimo complessivo di trecentottantaquattro unità e i limiti di spesa di cui al medesimo articolo, commi 1 e 3, il Ministero degli affari esteri può procedere al rinnovo o alla stipula di nuovi contratti temporanei per una durata massima complessiva di dodici mesi”.

4.6. Ciò premesso, il primo e il secondo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per connessione, non possono trovare accoglimento.

4.7. E’, infatti, da rilevare che sia la L. 27 maggio 2002, n. 104, art. 2 sia il D.L. 31 marzo 2003, n. 52, art. 1-bis aggiunto dalla Legge di conversione n. 122 del 2003, consentono la stipula di contratti di impiego temporaneo – previo rilascio di autorizzazione caso per caso da parte dell’Amministrazione centrale, in base alle esigenze operative delle singole sedi – “in deroga ai limiti del contingente di cui all’art. 152, comma 1” del D.P.R. n. 5 gennaio 1967, n. 18 e successive modificazioni.

4.8. Peraltro entrambe le norme espressamente chiariscono e confermano che “I relativi rapporti di impiego sono regolati dalle disposizioni del citato D.P.R. n. 18 del 1967”, il quale prevede, all’art. 153, come si è rilevato, che – nei limiti del contingente di cui all’art. 152 – l’assunzione di impiegati temporanei da parte degli uffici all’estero può avvenire unicamente “per periodi non superiori a sei mesi”, con possibilità “di un solo rinnovo” per un periodo di eguale durata.

4.9. Anche il D.L. 25 ottobre 2002, 236, art. 8 convertito in L. n. 284 del 2002, nel prorogare all’anno 2003 le disposizioni della L. 27 maggio 2002, n. 104, ha fatto salva la regola “di un solo rinnovo”, per un periodo non superiore a sei mesi, già fissata in via generale dal D.P.R. n. 18 del 1967, art. 153, comma 2.

4.10. Il limite di “un periodo massimo di dodici mesi”, costituito dalla somma del periodo di assunzione (non superiore a sei mesi) e dal periodo di un eventuale rinnovo (anch’esso non superiore a sei mesi), è ribadito al D.L. 31 marzo 2003, n. 52, art. 1-bis, comma 2 convertito in L. n. 122 del 2003; come è ribadita dalla relativa norma di interpretazione “una durata massima complessiva di dodici mesi” del rapporto: ciò che si pone in una linea di continuità e di coerenza con la disciplina fondamentale, di cui al D.P.R. n. 18 del 1967, art. 153 e con i richiami che alla stessa risultano compiuti nelle disposizioni che si sono succedute nel tempo a regolare la fattispecie, sempre e unicamente operando sul piano specifico della deroga ai limiti quantitativi (contingente) della possibilità di assunzione nelle forme dell’impiego temporaneo.

4.11. La validità di tale conclusione, sul piano letterale e logico-sistematico, non trova convincenti argomenti di segno contrario nel testo della norma di interpretazione autentica, là dove è affermato che “il Ministero degli affari esteri può procedere al rinnovo o alla stipula di nuovi contratti temporanei per una durata massima complessiva di dodici mesi”, la quale pone in chiara evidenza la necessità che, tra stipula e rinnovo, il periodo complessivo di svolgimento del rapporto di impiego temporaneo non superi mai i dodici mesi: come, d’altra parte, stabilito in via generale dal D.P.R. n. 18 del 1967 e ribadito con chiarezza dalla stessa disposizione oggetto di interpretazione.

4.12. Risulta conseguentemente corretta la decisione della sentenza impugnata, che ha rilevato come il rapporto instaurato dal Ministero con il M. dovesse cessare alla data del 30 dicembre 2003 e fossero di conseguenza da ritenersi illegittime le due proroghe di tale rapporto successivamente disposte fino al 29 dicembre 2004.

5. E’ invece fondato, e deve essere accolto, il terzo motivo, là dove sono oggetto di critica i presupposti e le modalità del risarcimento, così come disposto dalla Corte di merito, ferma l’inammissibilità della censura relativa alla violazione dell’art. 112 c.p.c. per difetto del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

5.1. Al riguardo si richiama il consolidato principio, per il quale “In materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come danno comunitario, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito” (Sez. U. n. 5072/2016 e successive numerose conformi).

6. In conclusione, respinti il primo e il secondo motivo di ricorso, l’impugnata sentenza n. 5747/2015 della Corte di appello di Roma deve essere cassata in relazione al terzo motivo e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla stessa Corte in diversa composizione, la quale si atterrà al principio di diritto sopra richiamato.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati il primo e il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472