Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.32921 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINAN sul ricorso n. 30032/2020 R.G. proposto da:

M.E.K., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Luigi Migliaccio, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1634/2020 della Corte d’appello di Napoli depositata il 7/5/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/9/2021 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c. del 5 ottobre 2017, rigettava il ricorso proposto da M.E.K., cittadino del *****, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonché del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 2 e 14 o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6.

2. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza pubblicata in data 7 maggio 2020, condivideva la statuizione del primo giudice, reputando che nello Stato di provenienza del migrante non esistessero situazioni di rischio riconducibili ai presupposti di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), per la concessione della protezione sussidiaria.

Ne’ era possibile il riconoscimento della protezione umanitaria, dato che non sussistevano un effettivo inserimento lavorativo o circostanze familiari che legassero in modo significativo il migrante al territorio italiano.

3. Per la cassazione di questa decisione ha proposto ricorso M.E.K. prospettando due motivi di doglianza.

Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

CONSIDERATO

che:

4. Il primo motivo di ricorso proposto denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 perché la Corte d’appello ha negato il riconoscimento della protezione sussidiaria senza utilizzare informazioni internazionali precise e aggiornate sulla situazione esistente in *****.

5. Il motivo è inammissibile.

L’odierno ricorrente lamenta che l’esistenza di una condizione di conflitto armato sia stata esclusa sulla base delle informazioni assunte dal giudice di prime cure nel 2017 e all’esito dell’esame di una sola fonte (rapporto Amnesty Intenational 2015/2016), non più attuale perché riferita all’anno 2014, senza che la Corte di merito si sia preoccupata di esaminare fonti internazionali aggiornate al momento della decisione.

Nei motivi di appello (riportati alle pagg. 4 e 5 del ricorso), tuttavia, non era contenuta alcuna contestazione in merito ad attendibilità, identificazione o aggiornamento delle fonti già consultate dal primo giudice in funzione del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14 né si sosteneva che la situazione rilevante ai fini dell’accoglimento della domanda fosse mutata in epoca successiva.

Ne discende l’inammissibilità del mezzo, in quanto la questione dell’inidoneità delle fonti internazionali esaminate dal Tribunale al fine di riconoscere la protezione sussidiaria esulava dai motivi di appello ed era oramai coperta dal giudicato interno, ai sensi dell’art. 324 c.p.c..

6. Il secondo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di fatti decisivi ai fini dell’accertamento delle condizioni rilevanti per la concessione della protezione umanitaria (quali la compromissione dei diritti umani in *****, la crisi umanitaria ivi esistente legata anche alla diffusione di catastrofi naturali, il periodo trascorso in Libia e il documentato stato di integrazione), il cui scrutinio sarebbe stato necessario al fine di verificare se un eventuale rimpatrio avrebbe potuto determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese di origine.

7. In base alla normativa del T.U. Imm. anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia.

Questa valutazione comparativa deve essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese d’origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano; situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese d’origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia; per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno nel paese d’origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U.I, per riconoscere il permesso di soggiorno (Cass., Sez. U., 24413/2021).

I fatti asseritamente trascurati non comportano situazioni, specificamente riferibili al ricorrente, di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese d’origine, sicché gli stessi non valevano, in assenza di un apprezzabile livello di integrazione (che la Corte di merito ha espressamente escluso), a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria.

Pure l’allegazione di una permanenza in Libia, non accompagnata da indicazioni atte a evidenziare quale connessione vi fosse tra il transito attraverso quel paese e il contenuto della domanda di protezione umanitaria, non assumeva alcun rilievo al fine di delineare una situazione di vulnerabilità in capo al migrante.

Ne discende l’inammissibilità del mezzo in esame, in quanto la condizione di asserita integrazione è stata, in realtà, esaminata, seppur in termini differenti da quelli auspicanti dall’appellante, mentre gli altri fatti in tesi trascurati mancavano di decisività ai fini del riconoscimento della forma di protezione in discorso.

8. In virtù delle ragioni sopra illustrate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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