Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.32923 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. G. C. – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19505/2020 proposto da:

K.K., elettivamente domiciliato in Via Tommaseo 13, Padova, rappresentato e difeso dall’avvocato Vittorio Manfio;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4733/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/10/2021 da Dott. NAZZICONE LOREDANA.

RILEVATO

– che viene proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia del 4.11.2019, la quale ha respinto l’impugnazione avverso l’ordinanza di primo grado, a sua volta reiettiva del ricorso avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale;

– che non svolge difese il Ministero intimato, costituitosi solo ai fini della eventuale discussione.

CONSIDERATO

– che i motivi deducono:

1) violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., per motivazione apparente ed omesso esame di fatto decisivo, non avendo la corte territoriale adeguatamente giustificato l’assenza delle condizioni per la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b): il richiedente ha narrato di essere stato arrestato con l’accusa di furto presso il suo datore di lavoro, dove prestava servizio quale guardia giurata e dal quale era stato denunciato, trascorrendo 15 giorni in carcere con trattamento inumano, donde era uscito perché altri aveva pagato a tal fine;

2) violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 4 e art. 14, lett. a), b), c), e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, sul dovere di cooperazione istruttoria, né avendo bene esaminato i documenti prodotti;

3) violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 nonché D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, omesso esame ed omessa motivazione, in quanto la corte non ha operato una valutazione individuale della situazione del richiedente e del ***** in generale, denunciando il motivo la mancanza di motivazione sulla non credibilità del ricorrente;

– che la sentenza impugnata non ha ritenuto il soggetto non credibile, ma ha rilevato come il medesimo non abbia allegato timori di persecuzioni, e quanto alla protezione sussidiaria, che non sussistono le condizioni della medesima, né quanto al rischio di trattamenti inumani e degradanti, né quanto alla situazione generale del territorio del *****, dopo ampio esame di fonti aggiornate e nella sentenza specificamente citate; quanto alla protezione umanitaria, la sentenza ha escluso la sussistenza di qualsiasi situazione di particolare vulnerabilità, affermando, dopo il richiamo generico ai principi della materia, che la mera frequenza di un corso di studi, anche al fine di acquisire competenze lavorative, non integra i presupposti di tale forma di protezione residuale;

– che il ricorso è inammissibile;

– che le doglianze del ricorrente consistono nella mera riproposizione di rilievi già sottoposti ai giudici del merito, in relazione a una situazione di trattamento inumano in carcere, al quale egli sarebbe stato sottoposto nel suo paese di origine nel 2015, per quindici giorni: ed il ricorrente sostiene che la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto non credibile la narrazione circostanza che non risponde al vero, dato che la corte territoriale non ha posto in discussione il narrato – e non avrebbe operato i necessari accertamenti in adempimento del dovere di cooperazione istruttoria;

– che, tuttavia, tali motivi: i) non sono riconducibili ad una censura di violazione di legge, dal momento che, in verità e nella sostanza, non mettono in alcun modo in discussione il significato e la portata applicativa delle disposizioni richiamate in rubrica, ma si limitano a censurare la concreta applicazione che di esse il giudice di merito ha fatto, sulla base del materiale istruttorio giudicato rilevante, per i fini del rigetto della domanda proposta; li) non sono neppure riconducibili ad una censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacché si omette di individuare un qualche fatto storico che il giudice di merito non avrebbe considerato, se non quanto avvenuto nel trattenimento in carcere per quindici giorni nel 2015, al contrario esaminato dalla corte del merito;

– che, inoltre, a fronte dei generici rilievi del richiedente, la corte del merito ha correttamente applicato il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di protezione internazionale, il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 nell’imporre al richiedente di presentare tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, costituisce un aspetto del più generale dovere di collaborazione istruttoria a cui lo stesso è tenuto, ma non fissa una regola di giudizio, sicché la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi, ai sensi del successivo comma 3, lett. b), rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie, né a compiere l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto, ma deve soltanto fornire, mediante un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti (e plurimis, Cass. 30 agosto 2019, n. 21881; Cass. 12 giugno 2019, n. 15794);

– che, quanto alla protezione umanitaria, il ricorrente non coglie la ratio decidendi, posto che la corte territoriale l’ha ritenuto, invece, credibile, contrariamente all’assunto del motivo; ed egli, anche in questa sede si è limitato ad una critica astratta indirizzata alla motivazione della sentenza, senza nulla aggiungere, in concreto, con riferimento alla posizione personale e ad una qualche situazione di vulnerabilità effettiva, in grado di giustificare le ragioni umanitarie richieste per il permesso di soggiorno;

– che, in definitiva, sotto il velo della denuncia di violazione di legge e di vizio motivazionale, il ricorrente ha in realtà inteso rimettere inammissibilmente in discussione l’accertamento di merito svolto;

– che non occorre provvedere sulle spese.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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