LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. G. C. – Consigliere –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29158/2020 proposto da:
H.V., rappresentato e difeso dall’avvocato Enrico Villanova;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno, *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 340/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 04/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/10/2021 da Dott. NAZZICONE LOREDANA.
RILEVATO
– che viene proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia del 4.2.2020, la quale ha respinto l’impugnazione avverso l’ordinanza di primo grado, a sua volta reiettiva del ricorso avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale;
– che non svolge difese il Ministero intimato, costituitosi solo ai fini della eventuale discussione.
CONSIDERATO
– che il ricorso è radicalmente inammissibile;
– che, anzitutto, dapprima il ricorrente, nella “sintesi dei motivi del ricorso”, indica tre censure (violazione artt. 115 e 116 c.p.c., mancato esame di tutte le fonti, omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5 della domanda di rifugio), salvo poi articolare solo le due ultime censure;
– che, inoltre, dall’esame dei due motivi emerge che: 1) il primo lamenta, in rubrica, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ma nel testo genericamente e confusamente si duole solo del non avere il giudice provveduto ad “esaminare con attenzione la documentazione” e dell’assenza di importanza del “modello prestampato C3”, in modo del tutto incongruente con la sentenza impugnata; 2) il secondo deduce l’omessa valutazione ex art. 360, comma 1, n. 5 della domanda di rifugio, senza farsi carico della affermazione della corte territoriale, secondo cui la domanda dal medesimo proposta atteneva alla protezione sussidiaria ed a quella umanitaria (peraltro, questa seconda è stata accolta dal tribunale);
– che tale modo di redazione del ricorso lo espone alla declaratoria di inammissibilità: invero, secondo i principi consolidati enunciati da questa Corte, il ricorso per cassazione deve contenere motivi separati e specifici, che rientrino in una delle figure dell’art. 360 c.p.c., essendo ancorato rigidamente ad uno dei cinque vizi del provvedimento impugnato, previsti dall’art. 360 c.p.c., cui ciascuna doglianza deve poter essere agevolmente ricondotta la legge impone, altresì, l’indicazione delle norme violate; prima ancora, occorre che sia sottoposta critica l’effettivo contenuto della sentenza impugnata, posto che il motivo di censura solo ad esso deve attenere;
– che il ricorrente, quindi, ha l’onere di indicare puntualmente, a pena di inammissibilità, le norme asseritamente violate e l’esatto capo della pronunzia impugnata, prospettando altresì le argomentazioni intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, siano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie, secondo l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni (e multis, Cass. n. 635/2015; Cass. n. 26307/2014; Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 22348/2007; Cass. n. 5353/2007; Cass. n. 4178/2007; Cass. n. 828/2007); ove rilevanti, inoltre, vanno indicati anche gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione, ai fini di consentire alla Corte la corretta sussunzione del fatto nelle norme che si assumono violate o erroneamente applicate (Cass. n. 16872/2014; Cass. n. 15910/2005);
– che, infatti, il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (cfr. Cass., sez. un., n. 20501/2019; Cass. n. 454/2019; Cass. n. 447/2019; Cass. n. 22478/2018; Cass. n. 20910/2017; Cass. n. 17330/2015; Cass. n. 187/2014; Cass. n. 11984/2011).
– che, dunque, è inammissibile il ricorso, per violazione dell’onere di specificità dei motivi, prescritta dall’art. 366 c.p.c.;
– che ciò è tanto più grave nella specie, in cui la stessa sentenza impugnata lamentava la redazione dell’atto di appello in violazione dell’art. 342 c.p.c., avendo addirittura il difensore dell’appellante trattato di un richiedente proveniente dal *****, quando invece egli proviene dalla *****, né essendosi, già in quella sede, confrontato con le specifiche argomentazioni del tribunale;
– che non occorre provvedere sulle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021
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