Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32954 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18225-2020 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SANTA CROCE IN GERUSALEMME 88, presso lo studio dell’avvocato BARBARA NOVELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VADALA’

DOMENICO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto R.G. 730/2018 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositato il 02/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GRASSO GIUSEPPE.

RITENUTO

che la Corte d’appello di Reggio Calabria, con il decreto di cui in epigrafe, accogliendo in parte l’opposizione avanzata da M.R. avverso il decreto monitorio, con il quale era stata rigettata la domanda di equa riparazione per l’ingiusta durata del processo fallimentare, che lo aveva riguardato, condannò il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 5.600,00, oltre al rimborso delle spese legali, liquidate in complessive Euro 1.888,00, oltre accessori di legge;

che avverso il predetto decreto l’anzidetto istante propone ricorso sulla base di due censure e che l’intimato Ministero resiste con controricorso;

ritenuto che la Corte d’appello in sede collegiale, determinata la durata non ragionevole in ventidue anni e quattro mesi, ha, tuttavia, reputato sussistere il paterna d’animo solo per la durata di quattordici anni, sulla base di quanto segue:

– non potevasi tener conto del tempo trascorso dopo il trasferimento, per acquisto all’asta, peraltro con il consistente ribasso del 40%, della quota di 1/2 dell’immobile abitativo, assoggettato alla procedura, in favore della moglie dell’istante fallito, la quale era di già titolare dell’altro 1/2, trattandosi dell’unico bene aggredito dalla procedura, del quale l’opponente aveva ininterrottamente continuato a godere, quale casa d’abitazione, né sussistevano ragioni per temere ulteriori conseguenze negative processuali;

– non avrebbe potuto temere aggressione di ulteriori cespiti, venduto l’unico bene immobile alla moglie;

– non aveva alcun interesse a una celere definizione della procedura, che per lui si era conclusa “con il minimo danno (..) ed il massimo nei confronti dei creditori”, poiché in pendenza di essa si erano riscontrate ulteriori poste debitorie, con costituzione di garanzie reali sempre sul medesimo immobile per circa 500 milioni di lire, oltre dieci volte la sua quota immobiliare, prestazione di garanzie, rilisciate anche in relazione a debiti della moglie, le quali dimostravano sintomo d’indifferenza del fallito alla pendenza della procedura;

ritenuto che il ricorrente con il primo motivo lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2 bis, 2 quinquies, 2 sexies e 2 septies; dell’art. 112 c.p.c.; della Carta edu, art. 6, p. 1,; nonché, infine, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, assumendo, in sintesi, quanto segue:

– la presunta cessazione del paterna d’animo non rientrava tra le cause che escludevano il diritto all’indennizzo;

– la Corte aveva violato la legge per non essersi pronunciata su tutta la domanda;

– aveva omesso di esaminare un fatto controverso e decisivo, così dando luogo a violazione di legge;

– era rimasto violato la Carta edu, art. 6, p. 1, per non essere stata assicurata la tutela effettiva imposta dallo strumento;

considerato che il motivo deve essere rigettato, valendo quanto segue:

a) la circostanza che al fallito debba riconoscersi piena soggettiva legittimazione a proporre la domanda di equa riparazione (cfr. Sez. 2, n. 13605/2013) perciò stesso non implica che il medesimo abbia diritto all’indennizzo anche ove non abbia sofferto alcun paterna d’animo, o, il che è lo stesso, in relazione al periodo durante il quale non abbia sopportato un tale pregiudizio;

b) quanto al preteso paterna patrimoniale la Corte locale ha insindacabilmente motivato con ricchezza di argomenti;

c) quanto al paterna da pregiudizio ricollegato allo status di fallito basti osservare, per un verso, che i turbamenti, genericamente accennati dal ricorrente, non dissimili da quelli che deve sopportare qualunque debitore inadempiente, il quale subisce la perdita di fiducia di solvibilità per non avere onorato i propri debiti (le difficoltà di accesso al credito derivano ovviamente solo da questo), non possono riconnettersi alla pendenza della procedura, bensì al fatto extraprocessuale di essersi resi inadempienti; per altro verso, il turbamento derivante dal divieto di elettorato attivo, al quale il M. accenna, sia pure di sfuggita, si era estinto da tempo ed entro la durata del termine ragionevole, stante che a mente della L. 16 gennaio 1992, n. 15, art. 2, comma 1, lett. a) “non sono elettori coloro che sono dichiarati falliti finché dura lo stato di fallimento, ma non oltre cinque anni dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento”;

c) è appena il caso di soggiungere che, al contrario dell’assunto, la Corte locale ha pronunciato su tutta la domanda, pur avendo lasciato il ricorrente parzialmente insoddisfatto;

d) che la denunzia di omesso esame di un fatto controverso e decisivo, oltre che in evidente e irrisolvibile contraddizione con quella di violazione dell’art. 112 c.p.c. (come, peraltro riconosce lo stesso ricorrente, richiamando la decisione di questa Corte n. 15882/2007), si pone palesemente al di fuori della circoscritta ipotesi descritta dall’art. 360 c.p.c., n. 5;

ritenuto che con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014, artt. 1 e 4, tabella 12, assumendo che la Corte d’appello aveva erroneamente liquidato le spese di causa applicando i parametri relativi ai procedimenti monitori (tabella 8), mentre il procedimento per equa riparazione andava considerato pienamente contenzioso, con la conseguenza che la liquidazione, tenuto conto della spettanza delle spese per la fase monitoria e per quella contenziosa, si poneva al disotto del minimo tabellare;

considerato che il motivo merita di essere accolto, valendo quanto segue:

– la Corte locale ha liquidato, in riferimento allo scaglione da Euro 5.200,01 a Euro 26,000,00 la complessiva somma di Euro 1.888,00;

– al ricorrente spetta liquidazione ex tabella 12, trattandosi di procedimento contenzioso (cfr., da ultimo, Cass. n. 15493/2020), per la fase dell’opposizione, svoltasi innanzi al collegio della Corte d’appello, e liquidazione ex tabella 8 per il monitorio, svoltosi innanzi al Consigliere delegato della medesima Corte (da ultimo, Cass. 16512/2020);

– applicata la riduzione massima consentita (citato D.M. n. 55 del 2014, art. 4), per l’opposizione la liquidazione non può essere inferiore a Euro 270,00 e per la fase contenziosa, a Euro 2.415,00;

– questa Corte ha già condivisamente avuto modo di precisare che in tema di spese processuali, il giudice è tenuto a effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014, il quale non prevale sul d. m. n. 140 del 2012 per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, in quanto il D.M. n. 140 del 2012 è rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente mentre il D.M. n. 55 del 2014 detta i criteri che il giudice deve applicare nel regolare le spese di causa (Sez. 2, n. 1018, 17/1/2018, Rv. 647642).

CONSIDERATO

che, pertanto, in relazione all’accolto motivo, il decreto deve essere cassato con rinvio, rimettendosi al giudice del rinvio anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il secondo motivo e rigetta il primo; cassa il provvedimento impugnato in relazione all’accolto motivo e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Reggio Calabria, diversa compdsizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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