LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI FLORIO Antonella – Presidente –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30005/2019 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avv.to ENRICA INGHILLERI, rappresentato e difeso dall’avv.to LUCIA PAOLINELLI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso il decreto n. 10261/2019 emesso dal TRIBUNALE DI ANCONA depositato in data 29/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/05/2021 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.
RILEVATO IN FATTO
Che:
A.A., cittadino del Ghana, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);
a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere sottoposto alle inumane condizioni carcerari del proprio paese, a seguito dell’avvenuta commissione, da parte dello stesso, di un reato di omicidio colposo, nonché per il timore di subire le ritorsioni dei familiari della vittima di detto reato;
la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;
avverso tale provvedimento A.A. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Ancona, che ne ha disposto il rigetto con decreto del 29/8/2019;
a fondamento della decisione assunta, il tribunale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) del carattere sostanzialmente personale delle ragioni della fuga del ricorrente dal paese di origine, nella specie dettate dalla finalità di sottrarsi all’applicazione della pena per il commesso reato di omicidio colposo; 2) dalla mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sé, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;
tale decreto è stato impugnato per cassazione da A.A. con ricorso fondato su due motivi;
il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, nonché per vizio di motivazione, per avere il giudice a quo sostanzialmente omesso di procedere a un attento esame delle effettive condizioni del sistema carcerario ghanese, nella specie caratterizzato da tratti di crudeltà e disumanità suscettibili di integrare il requisito del danno grave rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;
il motivo è fondato;
dev’essere preliminarmente rilevata l’insussistenza, nella specie, di cause ostative al riconoscimento della protezione sussidiaria invocata dall’odierno ricorrente, attesa l’impossibilità di riconoscere, nella fattispecie dell’omicidio colposo dedotta dall’odierno istante (unica ipotesi criminosa in relazione alla quale ricorrono concreti elementi di riscontrabilità agli atti del giudizio), i requisiti previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 16, trattandosi, con riguardo a detto reato, di un fatto estraneo alle ipotesi criminose di cui alle lett. a) e b) dell’art. 16, comma 1, cit. (anche in considerazione dei limiti di pena previsti secondo la legge penale italiana per tale delitto), e dovendo in ogni caso escludersi l’avvenuta dimostrazione del ricorso delle restanti ipotesi previste dall’art. 16 cit.;
ciò posto, varrà rilevare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai fini del riconoscimento della misura della protezione sussidiaria, il grave danno alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), può essere determinato dalla sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti con riferimento alle condizioni carcerarie del paese di origine e, al riguardo, il giudice è tenuto a fare uso del potere-dovere d’indagine previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che impone di procedere officiosamente all’integrazione istruttoria necessaria al fine di ottenere informazioni precise sull’attuale condizione generale e specifica del Paese di origine (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16411 del 19/06/2019, Rv. 654716 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24064 del 24/10/2013, Rv. 628478 – 01);
nel caso di specie, il Tribunale di Ancona, pur avendo provveduto all’acquisizione di elementi di informazione sulle condizioni complessive del paese di origine dell’odierno ricorrente, ha limitato l’indagine sulle condizioni del sistema carcerario ghanese al mero (astratto) riscontro dell’istituzione del Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, disposta al fine di indagare sui presunti abusi della polizia e per valutare la conformità della legge ai principi di base sull’uso della forza delle armi da parte delle forze dell’ordine, nonché all’avvenuta ratifica del protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, che stabilisce un sistema di visite regolari nei luoghi di detenzione come misura per proteggere i detenuti e prigionieri dalla tortura e da altri maltrattamenti (cfr. pag. 3 del provvedimento impugnato);
a tali riscontri, tuttavia, non ha fatto seguito il necessario approfondimento dell’indagine in termini fattuali e concreti, ossia attraverso l’effettivo riscontro delle attuali condizioni di esecuzione delle sanzioni penali all’interno del sistema nazionale ghanese, al fine di escludere che, all’attualità (e in termini reali), dette condizioni di esecuzione non valgano a integrare gli estremi dei trattamenti inumani e degradanti suscettibili di rilevare ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b);
tale lacuna, nella misura in cui si traduce nella mancata ottemperanza del giudice di merito ai propri doveri di cooperazione istruttoria, al fine di ottenere informazioni precise sull’attuale condizione generale e specifica del Paese di origine (con specifico riferimento alla situazione carceraria, potenzialmente suscettibile di integrare una fonte di pericolo di grave danno alla persona rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14), vale a giustificare il riconoscimento della fondatezza della censura in esame;
con il secondo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge e vizio di motivazione, per avere il giudice a quo erroneamente escluso il ricorso delle effettive condizioni di vulnerabilità dell’istante, ai fini del riconoscimento, in favore dello stesso, della misura della protezione umanitaria;
il motivo è infondato;
al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02);
peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);
nel caso di specie, il giudice a quo, pur avendo sottolineato il raggiungimento, da parte del ricorrente, con caratteri di autonomia e indipendenza, di una situazione di effettivo radicamento nel tessuto sociale e lavorativo italiano, ha peraltro rimarcato l’insussistenza delle condizioni di vulnerabilità cui lo stesso sarebbe esposto in caso di rientro nel paese di origine, a tali conclusioni pervenendo sulla base di un’analisi delle fonti informative disponibili sufficientemente congrua e adeguata, suscettibile di corroborare in modo esaustivo il giudizio formulato in ordine alla non prospettabilità di alcuna grave sproporzione tra la vita condotta dal ricorrente nel territorio italiano e quella prospettata nel paese di origine, con specifico riferimento alla perdurante possibilità, per lo stesso ricorrente, di godere delle prerogative connesse all’esercizio dei propri diritti fondamentali;
si tratta di una motivazione dettata dal giudice a quo nel pieno rispetto dei parametri di legittimità riferiti alla verifica imposta dalla domanda dell’odierno istante, tanto sotto il profilo della conformità alle norme di legge asseritamente violate, quanto in relazione alla congruità logico-giuridica dell’articolazione argomentativa dettata a sostegno della decisione impugnata;
sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del primo motivo (disatteso il secondo dev’essere disposta la cassazione del provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio al Tribunale di Ancona, in persona di altro magistrato, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
Accoglie il primo motivo; rigetta il secondo; cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto, e rinvia al Tribunale di Ancona, in persona di altro magistrato, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 21 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021