LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27658/2015 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12
– ricorrente –
contro
J.L., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Nazionale n. 243, presso lo studio degli Avvocati Alessandro Savi e Barbara Montanari, che la rappresentano e difendono, congiuntamente e disgiuntamente, giusta delega a margine del ricorso.
– controricorrente –
e Equitalia Sud s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 2248/14/2015, depositata il 16 aprile 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 settembre 2021 dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi.
RILEVATO
CHE:
1. La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma (n. 604/21/2013), che aveva accolto il ricorso presentato da)in Lili contro la cartella di pagamento emessa nei suoi confronti da Equitalia Sud s.p.a., per gli anni 200 e 2005, per l’importo di Euro 151.194,37, notificata il 1 marzo 2011, per Irpef, addizionale comunale e regionale, a seguito della notificazione di due avvisi di accertamento e di un atto di contestazione di sanzioni. Il giudice di prime cure rilevava che le fotocopie degli avvisi di accertamento prodotte dall’Ufficio non erano idonee a documentare la regolare notifica degli avvisi di accertamento, in quanto gli avvisi non recavano alcuna indicazione degli atti a cui facevano riferimento. Il giudice d’appello evidenziava che dalla documentazione in atti, relativa alle ricevute delle raccomandate postali degli avvisi di accertamento, non emergeva con chiarezza l’effettiva avvenuta consegna alla destinataria degli avvisi di accertamento, “attesa la presenza sul posto di ben tre edifici con lo stesso numero civico”.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
3. Resiste con controricorso la contribuente.
4. Resta intimata Equitalia sud s.p.a.
5. In data 4 ottobre 2021 è stata depositata rinuncia congiunta ai sensi e per gli effetti dell’art. 390 c.p.c., rispettivamente al ricorso principale ed al controricorso, con richiesta di dichiarazione di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, con spese compensate.
6. In data 21 ottobre 2021 si è proceduto alla riconvocazione del Collegio.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con un unico motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. In particolare, per la ricorrente gli avvisi di accertamento relativi agli anni 2004 e 2005 e la contestazione di sanzioni sono state correttamente notificate alla signora J. presso il proprio domicilio fiscale in *****; in assenza temporanea del destinatario, la notificazione si era perfezionata con la spedizione da parte dell’agente postale delle comunicazioni di avvenuto deposito (CAD), come emergeva dalla trascrizione delle cartoline di ricezione prodotte in atti dall’Agenzia delle entrate. In particolare, in sede di appello, l’Agenzia delle entrate aveva depositato le cartoline di ricevimento unitamente agli atti impositivi di rispettivo riferimento. Pertanto, era pacifico l’avvenuto inoltro dei plichi raccomandati proprio all’indirizzo effettivamente corrispondente alla destinataria J.. La temporanea assenza era stata accertata dall’agente postale ed era, dunque, coperta da “fede privilegiata” ai sensi dell’art. 2700 c.c., senza che la contribuente avesse contestato alcunché proponendo querela di falso. Pertanto, dall’avviso di ricezione emergeva che il plico era stato inviato presso il domicilio fiscale della signora J.L., in *****, e non in altro recapito che, pur avente lo stesso indirizzo toponomastico, era riferibile però ad altro residente (come solo prospettato da controparte, il ristorante “La perla del Lago”). La destinataria degli atti era risultata “momentaneamente assente” al momento del recapito. Pertanto, il percorso procedurale della notificazione postale previsto dalla L. n. 890 del 1972, art. 8, si era perfezionato. Al contrario, il giudice d’appello ha erroneamente affermato che non era stata chiarita “l’effettiva avvenuta consegna al destinatario degli avvisi di cui si tratta”, mentre era pacifico che i plichi non erano stati consegnati alla contribuente destinataria per sua “temporanea assenza” dal proprio domicilio fiscale. Inoltre, il giudice d’appello aveva erroneamente affermato “la conseguente mancanza di certezza sul buon esito delle suddette notifiche”, mentre, al contrario, era stato applicato correttamente la L. n. 890 del 1982, art. 8, con efficacia probatoria piena delle attestazioni dell’agente postale, ai sensi dell’art. 2700 c.c..
2. La contribuente ha depositato la domanda di condono, presentata ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 6, comma 10, corredata della ricevuta telematica, nonché della copia della quietanza di versamento della prima rata dell’importo dovuto per tale definizione.
In atti, infatti, si rinviene la domanda di definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti, ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 6 e art. 7, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136, con indicazione della cartella di pagamento (*****), del valore della controversia, dell’importo lordo dovuto, del numero di rate da pagare, dell’importo versato per la definizione della prima rata, con indicazione della data di versamento.
E’ stata prodotta anche la comunicazione dell’Agenzia delle entrate del 29 aprile 2020, con cui si è evidenziato che l’importo netto calcolato per la definizione della lite fiscale, pari ad Euro 7.510,20, risultava superiore all’importo calcolato dall’Ufficio pari ad Euro 3.411,85; infatti, era stato indicato quale valore della controversia l’importo complessivo della cartella pari ad Euro 150.204,01 in luogo di Euro 68.237,00; l’importo totale dei versamenti ammontava ad Euro 3.442,62, mentre la contribuente aveva già versato la somma di Euro 3.004,08, sicché l’ultima rata sarebbe stata di Euro 438,54.
3. Il D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 6, convertito in L. n. 136 del 2018, prevede che “la definizione si perfeziona con la presentazione della domanda di cui al comma 8 e con il pagamento degli importi dovuti ai sensi del presente articolo o della prima rata entro il 31 maggio 2019”.
4. Le parti hanno depositato in data 4 ottobre 2021 rinuncia congiunta, rispettivamente al ricorso principale ed al controricorso, con richiesta di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.
5. Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate interamente tra le parti, trattandosi di adesione della contribuente alla definizione agevolata ed avendo entrambe le parti rinunciato congiuntamente al ricorso ed al controricorso, chiedendo la compensazione delle spese.
6. Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass., 890/2017; Cass., 5955/2014). Si tratta, peraltro, di causa di estinzione del processo sopravvenuta alla proposizione del ricorso, a seguito di adesione della contribuente alla definizione agevolata.
P.Q.M.
Dichiara estinto il giudizio per cessazione della materia del contendere.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio con riconvocazione del Collegio, nella stessa composizione, nella camera di consiglio, il 21 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021