LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3005/2015 proposto da:
S.D., in qualità di socio accomandante della I.P.S.E.A.
S.a.s., cancellata dal registro delle imprese (C.F.: *****), nata a ***** (C.F.: *****) ed ivi residente, alla Via *****, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Graziella Silvana Zarcone, (C.F.: *****), che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale 2 di Roma;
– intimata –
avverso la sentenza n. 3982/21/2014 emessa dalla CTR Lazio in data 13/06/2014 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta.
RITENUTO IN FATTO
S.D., nella qualità di socia accomandante, impugnava quattro avvisi di accertamento per gli anni 2005, 2006, 2007 e 2008, i quali riprendevano a tassazione asseriti redditi da partecipazione alla I.P.S.E.A. s.a.s., non dichiarati.
Gli avvisi di accertamento notificati altresì alla società si fondavano sul processo verbale della Guardia di Finanza del 29.9.2010 con il quale i verbalizzanti, mediante il controllo del conto corrente bancario della ricorrente, avevano imputato quali ricavi delle entrate che, al momento dell’accesso dei militari, la medesima non era riuscita a giustificare.
La contribuente deduceva che quelle entrate risultanti dal conto corrente non erano altro che crediti relativi a fatture emesse negli anni precedenti che erano state regolarmente registrate, i pagamenti delle quali erano avvenuti negli anni successivi (quelli interessati dagli accertamenti oggetto di impugnazione).
Con sentenza n. 402/39/12 la CTP di Roma rigettava il ricorso, evidenziando che l’obbligo di porre il contribuente in condizioni di conoscere le ragioni dalle quali deriva la pretesa fiscale era soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi che rinvii, per relationem, a quello relativo ai redditi della società solo a quest’ultima notificato.
La S. proponeva appello avverso la detta sentenza.
Con sentenza del 13.6.2014, la CTR Lazio rigettava l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:
1) non pertinente si rivelava il motivo d’appello riguardante la cancellazione dal registro delle imprese della IPSEA s.a.s., se solo si considerava come l’imponibile di specie traesse titolo dal reddito a suo tempo percepito dall’appellante in qualità di socia della IPSEA medesima;
2) altrettanto incongruo, poi, appariva l’ulteriore argomento a sostegno del gravame, vale a dire che l’esenzione dall’obbligo di denunciare tali redditi sarebbe scaturita dal dato che la società, nella circostanza, avrebbe riscosso crediti nati in precedenti esercizi d’imposta, atteso che, proprio in ragione del principio di competenza, invocato dalla stessa deducente, l’obbligo della dichiarazione sarebbe scaturito dal fatto che tali ricavi erano stati percepiti nell’esercizio tributario in paro.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S.D., nella qualità, sulla base di due motivi.
L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale 2 di Roma non ha svolto difese.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 1, 5 e 72 per non aver la CTR considerato che, essendo illegittimi i presunti maggiori redditi accertati in capo alla società, parimenti illegittimi erano i presunti maggiori redditi di partecipazione accertati nei confronti del socio.
2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 163 per non aver la CTR considerato che, richiedendo l’Ufficio nuovamente, con gli avvisi di accertamento in esame, il pagamento delle imposte sui redditi, era stato violato il divieto di doppia imposizione, atteso che le relative imposte erano già state regolarmente versate, come da documentazione analitica prodotta e non esaminata, al momento della emissione e della registrazione delle diverse fatture nei confronti dei clienti della società.
3. Con istanza del 12.10.2017, la contribuente ha chiesto la sospensione del giudizio avendo presentato domanda per la definizione agevolata della controversia tributaria pendente.
Con nota dell’11.1.2019 l’Agenzia delle Entrate, dando atto che la S. aveva provveduto al pagamento previsto per il perfezionamento della definizione, ha chiesto dichiararsi l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, con compensazione delle spese ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, comma 3.
Il D.L. n. 50 del 2017, art. 11, comma 10, stabilisce che “L’eventuale diniego della definizione va notificato entro il 31 luglio 2018 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego è impugnabile entro sessanta giorni dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la lite. Nel caso in cui la definizione della lite è richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale può essere impugnata unitamente al diniego della definizione entro sessanta giorni dalla notifica di quest’ultimo. Il processo si estingue in mancanza di istanza di trattazione presentata entro il 31 dicembre 2018 dalla parte che ne ha interesse. L’impugnazione della pronuncia giurisdizionale e del diniego, qualora la controversia risulti non definibile, valgono anche come istanza di trattazione. Le spese del processo estinto restano a carico della parte che le ha anticipate”.
Ora, poiché nessun diniego della definizione operata è intervenuto nel termine del 31 luglio 2018, laddove l’Agenzia delle Entrate, con istanza depositata l’11.1.2019, ha dato atto dell’intervenuto versamento regolare delle rate dovute, il processo deve essere dichiarato estinto.
Invero, in tema di definizione agevolata D.L. n. 50 del 2017, ex art. 11 (conv. con modif. dalla L. n. 96 del 2017), l’omessa presentazione dell’istanza di trattazione entro il 31 dicembre 2018 determina, ai sensi del comma 10 della stessa disposizione normativa, l’estinzione del processo (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18107 del 05/07/2019). In particolare, in tema di adesione del contribuente alla definizione agevolata D.L. n. 50 del 2017, ex art. 11 poiché la sospensione del giudizio opera su istanza di parte al solo fine di riscontrare l’effettiva definizione della lite, il pagamento del dovuto da parte del contribuente equivale all’integrazione di tale condizione e consente al giudice, pertanto, di dichiarare d’ufficio la cessazione della materia del contendere, con conseguente estinzione del processo (Sez. 5, Sentenza n. 31021 del 30/11/2018).
Le spese del giudizio estinto restano a carico di chi le ha anticipate, per espressa previsione del citato art. 11, comma 10, ultimo periodo.
P.Q.M.
La Corte dichiara estinto il giudizio e pone le spese a carico di chi le ha anticipate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio da remoto della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 3 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021