LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25110/2019 proposto da:
C.F., e D.M.N., in proprio e nella qualità di amministratrice di sostegno della figlia C.A., Attivamente domiciliate in ROMA, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA FAIETA, rappresentati e difesi dagli avvocati STEFANO GILIBERTI, e FRANCESCO PAOLO LUISO;
– ricorrente –
contro
GESTIONE LIQUIDATORIA DELLA USL N. ***** DI PISTOIA, elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ROMA, che, unitamente all’avvocato PIETRO PECORINI, la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 438/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 25/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/05/2021 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa SOLDI Annamaria, che ha concluso per l’accoglimento del primo e del terzo motivo del ricorso;
uditi i difensori delle parti.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza resa in data 25/2/2019, la Corte d’appello di Firenze, giudicando quale giudice del rinvio a seguito di cassazione in sede di legittimità, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da D.M.N., in proprio e quale amministratrice di sostegno della figlia C.A., entrambe anche in qualità di eredi, unitamente a C.F., di C.M. (deceduto nelle more del giudizio), per la condanna della Gestione liquidatoria dell’Azienda Usl ***** di Pistoia al risarcimento dei danni subiti dagli attori per i gravi danni alla persona subiti da C.A. (affetta da encefalopatia ipossico ischemica) a seguito di una sofferenza fetale causata da asfissia perinatale da ricondursi (asseritamente) alla responsabilità dei sanitari della struttura sanitaria convenuta in occasione della nascita.
2. A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha sottolineato come i danni alla persona sofferti da C.A. non fossero derivati da una sofferenza fetale causata da un’asfissia verificatasi in occasione del parto, bensì alle malformazioni derivate dal diabete materno insulinodipendente in fase embriogenetica o fetale.
3. Avverso la sentenza d’appello, D.M.N., in proprio e quale amministratrice di sostegno della figlia C.A., entrambe anche in qualità di eredi, unitamente a C.F., di C.M., propongono ricorso per cassazione sulla base di sei motivi d’impugnazione, illustrati da successiva memoria.
4. La Gestione liquidatoria dell’Azienda Usl ***** di Pistoia resiste con controricorso, cui ha fatto seguito il deposito di memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale dettato una motivazione manifestamente illogica in relazione al rigetto dell’istanza avanzata dalle appellanti per la rimessione della causa sul ruolo prima della decisione, al fine di sottoporre al contraddittorio delle parti la documentazione consistente in taluni atti processuali, a firma di due dei consulenti tecnici nominati dal giudice del rinvio, depositati nel giudizio intrapreso nei confronti degli stessi consulenti avverso il decreto di liquidazione dei relativi compensi, nei quali comparivano affermazioni del tutto contrastanti con quanto riferito dagli stessi consulenti nella relazione tecnica depositata nel giudizio di rinvio, oltre all’anticipazione del contenuto della decisione del giudice del rinvio al momento non ancora depositata.
2. Con il secondo motivo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale dettato una motivazione meramente apparente in ordine al rigetto dell’istanza di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio disposta in sede di rinvio, e per avere i giudici d’appello omesso di pronunciarsi sulla richiesta, avanzata in subordine, di riconvocare i tecnici a fini di chiarimento sulla base delle specifiche ragioni analiticamente richiamati in ricorso.
3. Entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono infondati.
4. Osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum.
5. A tale specifico riguardo, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;
6. In ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01).
7. Ciò posto, nel caso di specie, varrà rilevare come la motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico.
8. Al riguardo, del tutto corretta deve ritenersi la qualificazione, alla stregua di elementi estranei al processo, operata dalla corte territoriale con riferimento alle dichiarazioni contenute nelle memorie relative ad altro giudizio, non avendo i consulenti tecnici d’ufficio mai smentito, né chiesto di rettificare, le conclusioni rassegnate nell’elaborato depositato nel giudizio nel quale hanno esercitato il proprio ufficio, né risultando le ragioni dei pretesi differenti contenuti che si deducono come riferiti nei documenti formati fuori dal presente processo (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
9. Allo stesso modo, in maniera del tutto congrua la corte territoriale ha evidenziato la presumibile riconducibilità a una plausibile erroneità materiale dell’anticipazione, da parte dei consulenti, del contenuto della decisione del giudice del rinvio (a quel momento non ancora depositata), avuto riguardo alla datazione dei diversi documenti (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata): si tratta di una motivazione dotata di logica coerenza e di adeguata comprensibilità, come tale idonea a sottrarsi alle censure di illogicità avanzate dalle ricorrenti.
10. Parimenti priva di fondamento deve ritenersi la contestazione sollevata con il secondo motivo d’impugnazione, avendo la corte d’appello specificamente motivato – sulla base di una giustificazione adeguatamente argomentata e pienamente idonea a rendere i termini del ragionamento logico seguito – le ragioni del rigetto dell’istanza di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio disposta in sede di rinvio, sottolineando il mancato ricorso di motivi idonei a giustificare detta rinnovazione, apparendo la consulenza depositata coerente con i quesiti posti, esauriente e approfondita con riguardo alle questioni poste dal caso in esame (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata). La stessa motivazione vale altresì a legittimare le ragioni della mancata riconvocazione dei consulenti, implicitamente giustificata dall’espressa soddisfazione manifestata per il lavoro svolto dagli ausiliari tecnici.
11. Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (cui il giudice a quo deve ritenersi essersi correttamente allineato), ai sensi del quale la decisione, anche implicita, di non disporre una nuova indagine non è sindacabile in sede di legittimità qualora gli elementi di convincimento per disattendere la richiesta di rinnovazione della consulenza formulata da una delle parti siano stati tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e ritenute esaurienti dal giudice con valutazione immune da vizi logici e giuridici (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 25569 del 17/12/2010, Rv. 615850 – 01).
12. Deve dunque conclusivamente affermarsi che l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dalle ricorrenti.
13. Con il terzo motivo, le ricorrenti si dolgono della nullità della sentenza impugnata (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto rinunciata (per implicito) l’istanza di ammissione della prova testimoniale avanzata in primo grado e già disattesa dal primo giudice, siccome non riproposta in sede conclusionale.
14. Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.
15. Osserva al riguardo il Collegio come, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., n. 6 (valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, anche per quelli previsti dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzi la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498).
16. Siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte.
17. E’ appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631); con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317).
18. Nella violazione di tali principi devono ritenersi incorsi le ricorrenti con il motivo d’impugnazione in esame, atteso che le stesse, nel dolersi che la corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto rinunciata (per implicito) l’istanza di ammissione della prova testimoniale avanzata in primo grado e già disattesa dal primo giudice, siccome non riproposta in sede conclusionale, hanno tuttavia omesso di allegare e produrre la documentazione processuale (in particolare, l’atto d’appello) idonea ad attestare l’avvenuta censura, nel primo giudizio di appello, della mancata ammissione della prova testimoniale da parte del giudice di primo grado: ciò che preclude la relativa censura per la prima volta in sede di rinvio e, soprattutto, la possibilità di apprezzare la concludenza della censura formulata al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto.
19. Varrà peraltro rilevare come il motivo in esame debba ritenersi in ogni caso infondato, pretendendo le ricorrenti di considerare rituale la riproposizione in sede conclusionale di un’istanza istruttoria formulata in modo solo generico, senza alcuno specifico riferimento alla prova testimoniale originariamente invocata, in palese contrasto con il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (qui integralmente condiviso e riproposto al fine di assicurarne continuità), ai sensi del quale la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni poiché, diversamente, le stesse debbono intendersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello. Tale onere non è assolto attraverso il richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi, atteso che la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico, coerentemente con la funzione sua propria di delineare con precisione il thema sottoposto al giudice e di porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine alle (sole) richieste – istruttorie e di merito – definitivamente proposte (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 19352 del 03/08/2017, Rv. 645492-01).
20. Con il quarto motivo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 383 c.p.c., artt. 40 e 41 c.p., nonché degli artt. 1218,1223 e 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale disatteso le indicazioni contenute nella sentenza di legittimità che aveva cassato la prima sentenza d’appello (con particolare riguardo all’esame della documentazione ignorata da quest’ultima), pervenendo all’esclusione del nesso di causalità tra la lesione neurologica patita da C.A. e la sofferenza fetale verificatasi nel periparto, in contrasto con i dati obiettivi costituiti: dalla documentata inesistenza di alcuna traccia di preesistenti patologie del feto prima del ricovero della partoriente; dal mancato monitoraggio cardiotocografico protrattosi per oltre sette ore al momento del parto; dai contenuti delle cartelle cliniche attestanti la sofferenza fetale e l’asfissia perinatale di C.A.; dalle ammissioni della struttura sanitaria convenuta, secondo la quale si era verificato un episodio di asfissia perinatale e una successiva paralisi cerebrale post-natale della stessa C.A..
21. Con il quinto motivo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 383 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale dettato una motivazione meramente apparente e manifestamente illogica con riguardo all’esclusione della sofferenza fetale patita da C.A. in fase perinatale, omettendo di giustificare il proprio convincimento in conformità allo schema enunciato nella sentenza di legittimità che aveva annullato la prima decisione d’appello.
22. Con il sesto motivo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi, con particolare riguardo: 1) agli addebiti di mala gestio rivolti alla struttura sanitaria convenuta; 2) alla duplice omissione di parte convenuta circa la verificazione di un episodio di asfissia perinatale; 3) all’ammissione di parte convenuta in ordine all’evento della paralisi cerebrale post-natale sofferta dalla bambina; 4) all’assenza di malformazioni congenite dipendenti dal diabete materno sostenuto dal consulente di parte nelle note critiche depositate avverso la consulenza tecnica d’ufficio.
23. Il quarto, il quinto e il sesto motivo – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono complessivamente infondati.
24. Osserva il Collegio come, nel precedente giudizio di legittimità celebratosi nel corso dell’odierno procedimento, questa Corte aveva disposto la cassazione della prima sentenza d’appello per difetto di motivazione, con particolare riguardo all’omesso esame dei dati obiettivi costituiti dalle cartelle cliniche ospedaliere contenenti l’indicazione della sofferenza fetale e dell’asfissia perinatale della neonata, e dell’ammissione della stessa struttura sanitaria convenuta secondo cui la bambina patì una paralisi cerebrale post natale.
25. La stessa sentenza di legittimità aveva rilevato l’omesso esame, da parte del giudice d’appello, delle acquisizioni scientifiche dedotte dagli originari attori, indicative dell’eventuale predicabilità o meno di un nesso di causalità tra la mancanza del corpo calloso e la tetraparesi spastica e l’evidenziazione in risonanza magnetica di una cicatrice periventricolare per leucoencefalopatia cronica post ipossica.
26. Ciò posto, varrà rilevare come il giudice del rinvio si sia espressamente fatto carico di ciascuna delle indicazioni del giudice di legittimità (cfr. pagg. 8, 9 e 10), evidenziando come il medico di guardia, in data *****, avendo rilevato che il travaglio del parto non procedeva nonostante la somministrazione di ossitocina, dispose l’esecuzione di un parto cesareo con indicazione in cartella clinica di “sofferenza fetale in paziente diabetica alla 37a settimana di amenorrea”. La bimba nata a seguito del parto cesareo presentava indice di Apgar 7 al primo minuto e 9 dopo cinque minuti dalla nascita (con un peso di kg. 3,350). Il monitoraggio cardiotocografico era stato pressoché continuo durante la somministrazione di farmaci e la partoriente non presentava alcun segno di ipossia fetale, così come non ne presentava la bambina alla nascita, come dimostrato dall’indice di Apgar non patologico, compatibile con la presenza di una pregressa patologia leucomalacica; indice di Apgar aumentato da 7 a 9 dopo un minuto a seguito di somministrazione di ossigeno (ciò che spiegò la presenza di una live cianosi nel post-partum non specifica di sofferenza fetale e frequente nella pratica neonatale).
27. Ciò posto, secondo il giudice del rinvio, al di là delle indicazioni contenute nella cartella clinica, il parto cesareo non fu affatto eseguito in emergenza, tale occorrenza dovendo ritenersi confermata dalla circostanza che lo stesso venne praticato in anestesia locale, che richiede almeno 30 minuti prima dell’intervento, diversamente dalla narcosi generale che richiede pochi minuti di induzione. La scelta del parto cesareo, conseguentemente, fu operata con ogni probabilità poiché il parto aveva dato esito negativo, e sarebbe stato imprudente insistere per il parto vaginale.
28. Quanto alla risonanza magnetica del ***** con diagnosi di encefalopatia ipossico-ischemica, la stessa, secondo quanto rilevato dal giudice a quo, non pote’ ritenersi affatto indicativa di un’ipossia verificatasi nel periparto, dal momento che detto esame non poteva precisare in che periodo avvenne l’ipossia ischemica, avendo tutti i periti escluso potesse essersi verificata in epoca perinatale tenuto conto: 1) delle cardiotocografia regolari in travaglio; 2) delle ecografie craniche della bambina dopo la nascita che non davano reperti di tessuti con sofferenza ipossico ischemica; 3) della mancanza di una sindrome neurologica evidente nei primi giorni di vita della bambina (manifestazione tipica di un insulto acuto nel periparto). Elementi, tutti, che hanno indotto i periti a ricondurre la patologia neurologica ipossico ischemica, da cui è affetta C.A., al periodo embrionale o della gestazione, segnatamente dovuta, secondo il criterio del “più probabile che non”, al diabete materno insulinodipendente.
29. Il pregnante significato espressivo di questi indici di valutazione ha pertanto condotto il giudice del rinvio a ritenere recessivi e privi di decisivo rilievo le circostanze consistenti: 1) nella mancata annotazione, nella cartella clinica della D.M., delle sue condizioni e dei parametri clinici della diagnosi che indussero il medico di guardia al cesareo; 2) della mancanza della cartella del nido (nel quale C.A. era rimasta per tre giorni), cui era seguito il ricovero in pediatria per “ittero neonatale e ipocalcemia transitoria” (e non per una riscontrata sofferenza fetale, sempre riferita al cesareo).
30. A sostegno delle indicate irrilevanze, il giudice a quo ha sottolineato come la D.M., durante il ricovero in ostetricia, era stata sottoposta a tracciati cardiotocografici quotidianamente che, sebbene non singolarmente refertati, erano normali, come risultato dalla “refertazione operata dal prof. A. consulente del collegio peritale”.
31. Allo stesso modo, l’indicata irrilevanza della mancanza di una cartella clinica di degenza al nido, da parte di C.A., è stata giustificata essendo agli atti la relazione di degenza nella quale all’ingresso al nido è segnalata “modesta asfissia perinatale con cianosi di breve durata, risolta con breve somministrazione di 02 in maschera. Già rosea a un minuto”.
32. Ciò posto, varrà sottolineare – con specifico riguardo al principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza valutabile al fine di dimostrare un nesso di casualità tra l’operato del medico e il danno del paziente quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del nesso (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 12218 del 12/06/2015, Rv. 635623 – 01) – come il collegio territoriale ne abbia escluso la pertinenza al caso di specie, atteso che l’incompletezza della cartella clinica, nell’ipotesi in esame, doveva ritenersi del tutto irrilevante proprio in ragione di quanto evidenziato dai periti sulla base delle alternative evidenze probatorie disponibili.
33. In forza di tali premesse, il percorso argomentativo seguito dal giudice a quo si sottrae integralmente alle critiche di insufficienza argomentativa e di illogicità, attesa la piena comprensibilità e la linearità logica del discorso compendiato nella motivazione della sentenza impugnata, dovendo pertanto escludersi la possibilità di conferirsi rilievo alla censura condotta secondo la linea dell’art. 132 c.p.c., n. 4.
34. La stessa giustificazione logico-giuridica dell’esclusione del nesso di causalità tra il danno sofferto da C.A. e l’operato dei sanitari in occasione del parto deve ritenersi di per sé incensurabile sotto il profilo della violazione di legge, risolvendosi, le critiche sul punto avanzate in ricorso, nella mera riproposizione di una rilettura nel merito dei fatti di causa, in forza di una prospettiva critica non consentita in questa sede di legittimità.
35. Ferma, dunque, l’avvenuta giustificazione, da parte del giudice del rinvio, delle indicazioni contenute nelle cartelle cliniche, circa l’eventuale sofferenza fetale da asfissia, va rilevato come il giudice a quo abbia adeguatamente dato conto del punto concernente le “acquisizioni scientifiche dedotte dagli originari attori, indicative dell’eventuale predicabilità o meno di un nesso di causalità tra la mancanza del corpo calloso e la tetraparesi spastica e l’evidenziazione in risonanza magnetica di una cicatrice periventricolare per leucoencefalopatia cronica post ipossica” (secondo i rilievi segnalati nella sentenza di legittimità che ha cassato la prima sentenza d’appello), essendo stati affrontati, tali aspetti, nel riconoscimento dell’impossibilità di ritenere detta risonanza magnetica indicativa di un’ipossia verificatasi nel periparto, dal momento che detto esame non poteva precisare in che periodo avvenne l’ipossia ischemica, avendo tutti i periti escluso potesse essersi verificata in epoca perinatale, tenuto conto del pregnante significato rappresentativo del complesso degli indici di valutazione precedentemente indicati (cfr. pagg. 9-10).
36. In forza di tali premesse, pertanto, l’eventuale mancato esame della rilevanza delle ammissioni della struttura sanitaria convenuta (circa la verificazione di una paralisi cerebrale post-natale di C.A.) deve ritenersi tale, alla luce delle superiori nuove e più articolate acquisizioni istruttorie fatte proprie dal giudice del rinvio, da rivelarsi sostanzialmente priva di decisività, atteso che, una volta chiarito in sede di rinvio il significato degli elementi contenuti nella cartella clinica, e una volta acquisita una logica spiegazione della sostanziale neutralità rappresentativa dei contenuti della risonanza magnetica (elementi sui quali si era soffermata la precedente sentenza della Corte di cassazione), i profili di decisività dell’omessa considerazione dell’ulteriore elemento rappresentato dalle ammissioni della struttura sanitaria convenuta (secondo la quale si era verificata una paralisi cerebrale post-natale di C.A.), avrebbero dovuto essere articolati sul piano argomentativo in maniera più pregnante da parte delle odierne ricorrenti: occorrenza nella specie non verificatasi, non avendo queste ultime provveduto a specificare in quale modo quella omissione si sarebbe inserita nel ragionamento probatorio condotto nella sentenza del giudice del rinvio disarticolandone la consistenza logico-argomentativa.
37. Deve dunque conclusivamente affermarsi come la motivazione dettata dal giudice a quo appaia tale da resistere alle censure qui esaminate, avendo la corte territoriale: 1) sostanzialmente rispettato lo schema motivazionale raccomandato dal giudice di legittimità; 2) dettato una motivazione pienamente congrua sul piano logico-giuridico in relazione alla ritenuta insussistenza di alcun nesso di causalità tra l’operato dei sanitari della struttura convenuta e il danno alla persona sofferto da C.A.; 3) considerato adeguatamente tutti gli elementi proposti dalle parti a sostegno delle proprie ragioni, senza incorrere in alcuna omissione di fatti concretamente decisivi ai fini della decisione.
38. Sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso.
39. L’obiettiva complessità degli accertamenti di fatto coinvolti dall’odierno giudizio giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.
40. Dev’essere, viceversa, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
Rigetta il ricorso.
Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 5 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021