Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33018 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18716-2020 proposto da:

G.C.D., L.R., G.L., G.R., P.S., in qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sui minori G.G., G.S., Lo.Lu., G.M., D.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA L. DA CARPI 6, presso lo studio dell’avvocato GEMMA PATERNOSTRO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ONOFRIO MUSCO;

– ricorrenti –

contro

ALICUDI SPV SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, e per essa INTRUM ITALY SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANICIO GALLO 102, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO POLESE, rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONIO SCHIAVONE, ANTONIO DONVITO;

– controricorrente –

contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA;

– intimata –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata l’11/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA FIECCONI.

RILEVATO

che:

1. Con atto notificato il 9/7/2020, G.C.D., L.R., G.A., G.L., G.R. e P.S., questi ultimi in qualità di genitori esercenti la potestà sui figli minori G.G. e G.S., nonché Lo.Ma., Lo.Lu., G.M. e D.L. propongono ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso l’ordinanza n. 4289/2019 della Corte di Appello di Bari, pubblicata in data 11/11/2019. Con controricorso notificato il 17/9/2020, illustrato da memoria, resiste la INTRUM ITALY S.p.a., società incorporante la CAF S.p.a., mandataria della ALICUDI SPV S.R.L per chiedere il rigetto del ricorso in quanto inammissibile e infondato. La Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., intimata, non ha svolto difese in questa sede.

2. Per quanto ancora rileva, il Tribunale di Trani accoglieva l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. spiegata dalla BNL s.p.a. e dalla intervenuta CAF s.p.a. e, per l’effetto, dichiarava inefficace nei confronti delle predette società l’atto di donazione del 19/2/2013 con il quale G.C.D. fideiussore della G.I. s.r.l., debitrice della BNL, quest’ultima cedente il credito alla CAF s.p.a., a sua volta mandante della Alicudi spv s.r.l. – aveva donato una serie di beni immobili ai propri congiunti.

3. Avverso la sentenza di primo grado, i convenuti in revocatoria (attuali ricorrenti) hanno proposto appello. Con l’ordinanza in questa sede impugnata, la Corte d’Appello di Bari ha dichiarato inammissibile il gravame ex art. 348-bis c.p.c.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. comma 1, circa la sussistenza del requisito del pregiudizio (eventus damni) recato dall’atto di donazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1”. La ordinanza della Corte d’appello avrebbe errato là dove ha ritenuto provato l’eventus damni. Difatti, gli attuali ricorrenti – quali convenuti in revocatoria – avrebbero provato che il fideiussore aveva mantenuto dopo l’atto dispositivo una consistenza patrimoniale tale da escludere qualsiasi pregiudizio alle ragioni creditorie della banca.

2. Con il secondo motivo si denuncia “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”. La Corte non avrebbe considerato che la Banca, per il credito per cui è causa, era garantita anche dal germano del sig. G.C.D., ovvero G.R.. Quest’ultimo sarebbe a sua volta proprietario di un cospicuo patrimonio immobiliare sul quale la banca avrebbe potuto rivalersi per recuperare il credito.

3. Il ricorso è inammissibile.

4. In questa sede, i ricorrenti impugnano autonomamente l’ordinanza della Corte d’Appello di Bari con la quale quest’ultima ha dichiarato inammissibile l’appello ex art. 348-bis c.p.c., senza spiegare alcuna impugnazione avverso la sentenza di prime cure, e per di più oltre il termine breve previsto nell’art. 348 ter c.p.c., comma 4, per detta impugnazione.

5. Nel caso in esame, l’ordinanza impugnata, con motivazione ampia e diffusa, ha ritenuto manifestamente infondato l’unico motivo di gravame proposto dai convenuti in revocatoria confermando la motivazione della sentenza di prime cure là dove il Tribunale aveva ritenuto che, dopo l’atto dispositivo, i beni residui del fideiussore fossero insufficienti a offrire una adeguata garanzia patrimoniale al creditore. Il giudice di secondo grado ha pure rilevato che per l’esperimento dell’azione revocatoria non sia necessaria l’esistenza di una ragione di credito accertata giudizialmente, in quanto l’eventuale accertamento dell’inesistenza del credito avrebbe semplicemente reso inutile l’azione intrapresa e accolta.

6. Orbene, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 1914 del 2/2/2016, componendo un contrasto giurisprudenziale sull’argomento, hanno fissato i limiti entro i quali l’ordinanza di inammissibilità resa dal giudice del gravame quando l’impugnazione non ha una ragionevole probabilità di essere accolta, è suscettibile di autonoma impugnazione. Sul tema hanno stabilito, fra l’altro, che l’ordinanza de qua è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione nel caso in cui l’inammissibilità sia stata pronunciata per ragioni processuali; in tal caso, infatti, si tratta di una sentenza di carattere processuale che, come tale, non contiene alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame, differendo, così, dalle ipotesi in cui tale giudizio prognostico venga espresso, anche se, eventualmente, fuori dei casi normativamente previsti.

7. Alla stregua di tale pronuncia Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15776 del 29/7/2016 ha stabilito che l’impugnazione avverso l’ordinanza è ammissibile quando essa, contenendo, accanto alla valutazione complessiva, in chiave prognostica, dei motivi di gravame, anche un’ulteriore statuizione di inammissibilità delle istanze istruttorie formulate in primo grado, assume il carattere sostanziale di sentenza; qualora, invece, la pronuncia “aggiuntiva” non integri un’autonoma ratio decidendi, tale da esaurire o elidere la valutazione di “manifesta infondatezza”, il motivo di ricorso per cassazione proposto avverso tale ulteriore statuizione va dichiarato inammissibile, per difetto di interesse (v., sulla stessa linea, Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 20758 del 4/9/2017; Sez. 3 -, Sentenza n. 2351 del 31/1/2017).

8. Con la sentenza n. 23334/2019 (Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 23334 del 19/9/2019), questa Corte ha precisato che “L’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c. non è impugnabile con ricorso per cassazione quando confermi le statuizioni di primo grado, pur se attraverso un percorso argomentativo “parzialmente diverso” da quello seguito nella pronuncia impugnata, non configurandosi, in tale ipotesi, una decisione fondata su una ratio decidendi autonoma e diversa né sostanziale né processuale”.

9. Sicché, laddove la pronuncia emessa in sede di appello non contenga un’autonoma ragione del decidere incompatibile con la ratio decidendi della pronuncia di primo grado, sì da inserirsi nel contesto di una valutazione complessiva in termini di manifesta infondatezza dell’appello, il motivo di ricorso per cassazione proposto avverso tale statuizione va dichiarato inammissibile, restando invece ricorribili gli accertamenti già compiuti dal giudice di primo grado, e confermati dal giudice di secondo grado, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3 (sentenza cit., in motivazione, p. 12, par. 3.12.).

10. I ricorrenti, peraltro, hanno impugnato l’ordinanza di inammissibilità dell’appello come se avesse valore di sentenza autonomamente impugnabile, senza rapportarsi alla giurisprudenza sopra richiamata, nonostante che non costituisca vizio proprio dell’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., deducibile come motivo di ricorso per cassazione, la circostanza che il giudice di appello abbia motivato diffusamente le ragioni per le quali l’appello non aveva ragionevole probabilità di accoglimento, posto che l’eccesso motivazionale non può essere causa di nullità di un provvedimento giudiziario, e tanto meno dell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., sia perché non nuoce al soccombente, sia perché non impedisce il raggiungimento dello scopo (Sez. 6 3, Ordinanza n. 4870 del 19/02/2019). La controricorrente, in merito, nulla ha eccepito, limitandosi a contestare il merito del ricorso e a dedurre la correttezza della motivazione in iure.

11. Stando così le cose, alla stregua di una motivazione ampia e inspiegabilmente diffusa che conduce il Collegio a ritenere che si tratti di una ordinanza avente valore e contenuto di sentenza autonomamente impugnabile, e ciò al fine di preservare i principi del giusto processo, prevale la considerazione che la motivazione contenuta nella ordinanza di inammissibilità dell’appello per prognosi di infondatezza, avente valore di sentenza, risulta del tutto allineata al consolidato indirizzo giurisprudenziale in merito alla sussistenza dei requisiti dell’eventus damni e della scientia damni per l’azione revocatoria di atti dispositivi a titolo gratuito che mettano a rischio la consistenza patrimoniale del debitore o garante, ex art. 2901 c.c.

12. Difatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria (cd. “eventus damni”) ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (cfr., tra le tante, Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 19207 del 19/7/2018).

13. In tema di azione revocatoria ordinaria degli atti a titolo gratuito (nella specie negozio costitutivo di fondo patrimoniale), il requisito della “scientia damni” richiesto dall’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1), si risolve, non già nella consapevolezza dell’insolvenza del debitore, ma nella semplice conoscenza del danno che ragionevolmente può derivare alle ragioni creditorie dal compimento dell’atto (cfr. per tutte, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 9192 del 02/04/2021).

14. In ogni caso, la valutazione, operata dal giudice, delle circostanze del caso, essendo del tutto fattuale risulta incensurabile in tale sede processuale.

15. Alla luce di quanto sopra, il ricorso va dichiarato inammissibile; considerata la peculiarità della fattispecie processuale, le spese tra le parti vanno compensate. Il Contributo Unificato va posto a carico dei ricorrenti, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa le spese tra le parti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione sesta civile, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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