LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22339-2019 proposto da:
M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DI PIETRA PAPA, 21, presso lo studio dell’avvocato DANIEL DEL MONTE, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA ROSARIA URSINO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1966/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 28/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.
FATTI DI CAUSA
1. M.C. convenne in giudizio la s.p.a. Poste Italiane, davanti al Giudice di pace di Roma, chiedendo che fosse condannata a rimborsargli la somma di Euro 240,19 da lui versata a titolo di imposta di registro in relazione all’ordinanza di assegnazione emessa nella procedura esecutiva che aveva come parti “Daniel Del Monte quale creditore, il terzo pignorato e Poste Italiane quale debitore esecutato”. Si costituì in giudizio la società convenuta, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo il rigetto della domanda.
Il Giudice di pace rigettò la domanda per carenza di legittimazione passiva della parte convenuta e condannò l’attore al pagamento delle spese di lite.
2. La pronuncia è stata impugnata dall’attore soccombente e il Tribunale di Roma, con sentenza del 28 gennaio 2019, ha dichiarato inammissibile l’appello, condannando l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato il Tribunale che la sentenza di primo grado era stata pronunciata dal Giudice di pace secondo equità per ragioni di valore, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, per cui poteva essere impugnata con l’appello nei limitati casi previsti dal codice di rito, art. 339, comma 3. E poiché le norme relative all’individuazione del soggetto tenuto al pagamento dell’imposta di registro “nell’ambito di un’esecuzione immobiliare” non sono da considerare “ineludibili”, l’appello era inammissibile, non avendo ad oggetto la violazione di norme processuali o “di norme di rango costituzionale o comunitario”.
3. Contro la sentenza del Tribunale di Roma propone ricorso M.C. con atto affidato ad un motivo.
Resiste la s.p.a. Poste Italiane con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 339 c.p.c., comma 3, sul rilievo che l’appello sarebbe stato erroneamente dichiarato inammissibile.
Sostiene il ricorrente di avere chiaramente indicato nell’atto di appello le norme sul procedimento violate dal giudice di primo grado, cioè l’errata applicazione del codice di rito, artt. 91 e 553. L’errore nell’applicazione del citato art. 553, sussisteva sia sotto il profilo del soggetto tenuto al pagamento dell’imposta di registro in relazione all’ordinanza di assegnazione sia sotto il profilo della “necessità di un’apposita azione giudiziaria” per il rimborso di tali spese, non avendo il provvedimento di assegnazione natura di titolo esecutivo. Il ricorrente sostiene di aver agito per ottenere la condanna del debitore, e non del terzo pignorato, al pagamento dell’imposta di registro; e poiché l’appello lamentava la violazione di norme sul procedimento, era da ritenere ammissibile.
1.1. Il motivo è inammissibile per le ragioni che seguono.
1.2. La Corte rileva, innanzitutto, che l’odierno ricorso si inserisce in un filone di ricorsi analoghi, già oggetto di numerose altre pronunce (tra queste, si veda l’ordinanza 19 febbraio 2020, n. 4243, che, oltre a concludere per l’inammissibilità del ricorso in quella sede esaminato, ha anche ricostruito l’intera problematica in questione, con richiami di giurisprudenza ai quali l’odierna pronuncia fa rinvio).
Il ricorso, poi, è redatto con una tecnica non rispettosa dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), perché non contiene una valida esposizione sommaria dei fatti.
Osserva il Collegio, infatti, che il ricorso non chiarisce né quale sia la concreta vicenda processuale, né quali siano le parti (si dice a p. 3 che Daniel Del Monte era il creditore, mentre oggi egli risulta essere il difensore del ricorrente, non si specifica chi fosse il terzo pignorato e si aggiunge che Poste Italiane era il debitore esecutato), e non indica neppure quale sia stato il contenuto dell’atto di appello. A fronte, cioè, di una sentenza del Giudice di pace che, per indicazione dello stesso ricorrente, ha affermato che Poste italiane s.p.a. era carente di legittimazione passiva, il ricorso nulla dice sul come tale decisione sia stata realmente impugnata nel giudizio di secondo grado, dal momento che doveva essere contestato il profilo esaminato, cioè appunto quello del difetto di legittimazione passiva; per cui il Collegio non è in condizioni di sapere se, e fino a che punto, le questioni poste nell’odierno ricorso siano state o meno proposte anche davanti al Tribunale.
1.3. Ciò premesso, il Collegio osserva che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito che dall’assetto scaturito dalla riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, e particolarmente dalla nuova disciplina delle sentenze appellabili e delle sentenze ricorribili per cassazione, emerge che, riguardo alle sentenze pronunciate dal giudice di pace nell’ambito del limite della sua giurisdizione equitativa necessaria, l’appello a motivi limitati, previsto dall’art. 339 c.p.c., comma 3, è l’unica impugnazione ordinaria ammessa, anche in relazione a motivi attinenti alla giurisdizione, alla violazione di norme sulla competenza ed al difetto di radicale assenza della motivazione (Sezioni Unite, sentenza 18 novembre 2008, n. 27339, il cui principio è stato più volte ribadito in seguito, v. le ordinanze 13 marzo 2013, n. 6410, e 17 novembre 2017, n. 27356, e 29 dicembre 2017, n. 31152).
Il motivo di censura, invece, non dà conto di una specifica indicazione, in sede di appello, della ragione per la quale detta impugnazione doveva ritenersi consentita.
2. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.000, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021