Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33054 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1616-2016 proposto da:

L.M., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA BELSITO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO STUMPO, VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA CORETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 528/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 19/05/2015 R.G.N. 162/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/09/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA.

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 19.5.15 la corte d’Appello di Salerno ha confermato la sentenza del tribunale della stessa sede del 18.9.13, che aveva rigettato la domanda della signora L.M. di richiesta di ulteriori somme a titolo di adeguamento indennità DS agricola, prestazione già riconosciuta da sentenza del pretore di Salerno.

In particolare, la corte territoriale ha rilevato che la prestazione richiesta era già stata giudizialmente accertata da altra sentenza e pagata dall’INPS in sede di esecuzione della stessa, con conseguente inammissibilità di ulteriore domanda allo stesso titolo; in ogni caso, era maturata la decadenza e la prescrizione delle relative somme.

Avverso tale sentenza ricorre la lavoratrice per tre motivi, cui resiste con controricorso, illustrato da memoria, l’INPS.

Con il primo motivo si deduce violazione del principio del bis in idem, per avere trascurato che la sentenza non era eseguibile, come accertato dal giudice dell’esecuzione.

Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 47 per inapplicabilità del termine di decadenza (perché la prestazione era stata riconosciuta in toto), e per mancato decorso del termine prescrizionale (che era decennale, per la formazione del giudicato).

Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 115 e 116 codice di rito.

Il ricorso è inammissibile perché la parte non doveva chiedere di nuovo la prestazione, ma doveva fare domanda di quantificazione delle somme portate dalla sentenza già ottenuta; la parte che ha già ottenuto un giudicato favorevole per la prestazione ed agisce per chiedere sono ulteriori rispetto a quanto pagate per il titolo giudizialmente riconosciuto, infatti, ha l’onere di allegare e dimostrare che il credito spettante è superiore a quello riconosciuto, e ciò tanto più quando il titolo è stato azionato in sede esecutiva ed il debito pagato (secondo il debitore in misura integrale).

Tutto ciò manca nel caso di specie, ove parte ricorrente neppure riporta il tenore della decisione di merito che ha riconosciuto la prestazione né la decisione del giudice dell’esecuzione, in violazione del principio di autosufficienza, non consentendo a questa corte di rendersi conto dell’esistenza asserita di un credito residuo dell’istante (nemmeno indicato dalla stessa) per la prestazione in discorso.

Spese secondo soccombenza.

Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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