Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33055 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1627/2016 proposto da:

R.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 99, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PALMA, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO VERRUSIO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4545/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 04/06/2015 R.G.N. 6770/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/09/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA.

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 4.6.15, la corte d’Appello di Napoli ha confermato la sentenza del 24.6.09 del tribunale di Benevento, che aveva rigettato la domanda della signora R. di accertamento del rapporto di lavoro e di pagamento delle indennità di disoccupazione agricola ed indennità per maternità obbligatoria per il periodo dal 9.12.03 al 13.10.04.

In particolare, la corte territoriale ha ritenuto la decadenza D.L. n. 7 del 1970, ex art. 22, convertito in L. n. 83 del 1970, per il decorso dei 120 giorni dalla cancellazione degli elenchi dei lavoratori agricoli senza tempestiva impugnazione da parte della lavoratrice.

Avverso tale sentenza ricorre la lavoratrice per quattro motivi, cui resiste con controricorso, illustrato da memoria, l’INPS.

Con il primo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – violazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 e della L. 241 del 1990, art. 3, nonché dell’art. 112 c.p.c., per mancata indicazione da parte dell’INPS del termine per ricorrere avverso la cancellazione dagli elenchi dei lavoratori agricoli nonché scusabilità dell’errore relativo e diritto alla rimessione in termini, nonché per omessa pronuncia su deduzione della circostanza in appello.

Il motivo è infondato. Occorre premettere che la ricorrente è stata in data imprecisata cancellata dagli elenchi dei lavoratori agricoli; tale provvedimento è stato conosciuto dalla ricorrente (se non con la pubblicazione degli elenchi) quanto meno dall’ottobre 2006, quando è stato comunque partecipato alla ricorrente il provvedimento individuale dell’INPS di diniego delle prestazioni previdenziali richieste, che la cancellazione espressamente richiamano a fondamento del diniego.

La corte territoriale ha accertato il decorso del termine di 120 giorni per impugnare la cancellazione.

Il decorso di tale termine importa la decadenza dell’interessata e la impossibilità di ottenere le prestazioni previdenziali che lo status di lavoratore agricolo iscritto presuppone.

In tale contesto, a nulla vale la deduzione della ricorrente in ordine all’indicazione contenuta nella comunicazione INPS predetta della facoltà di impugnare al comitato provinciale il provvedimento, così come irrilevante è l’osservanza da parte della ricorrente dei termini relativi a tale facoltà, posto da un lato che si tratta di questione non idonea a riaprire il termine decadenziale per la cancellazione (posto che la violazione dell’obbligo di comunicazione dell’INPS dei mezzi di ricorso avverso il provvedimento non importa automaticamente ricorribilità oltre il termine decadenziale, essendo tenuta la ricorrente a conoscere i termini di legge: v. in tema Cass. Sez. L, Sentenza n. 25892 del 10/12/2009, Rv. 611775 – 01, che ha superato l’orientamento espresso da Sez. L, Sentenza n. 15813 del 06/07/2009, Rv. 609602 – 01) e, dall’altro lato, che nella specie l’indicazione del termine nel provvedimento in questione si riferisce al provvedimento inerente le prestazioni e non a quello – presupposto e diverso, e mai impugnato – relativo alla cancellazione.

In presenza di decadenza, ogni questione avverso il disconoscimento del rapporto è tardiva ed inammissibile.

Con il secondo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione del citato art. 47 nonché – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omessa motivazione in ragione della mancata verifica della proposizione del ricorso amministrativo avverso il disconoscimento del rapporto di lavoro.

Con il terzo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – violazione dell’art. 111 Cost. e – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omesso esame del ricorso amministrativo avverso il disconoscimento del rapporto di lavoro.

Con il quarto motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla richiesta di disapplicazione dell’eventuale provvedimento di cancellazione.

Questi motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione: essi sono inammissibili, in quanto con essi la ricorrente non attacca la decadenza ex art. 22 citato, unica ratio decidendi della sentenza impugnata, limitandosi ad una contestazione – inammissibile in quanto tardiva – del disconoscimento del rapporto lavoro.

Spese secondo soccombenza.

Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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