LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3464/2020 proposto da:
E.K.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MANZONI 81, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA CONSOLO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona – Padova, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 3446/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 02/09/2019 R.G.N. 609/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/05/2021 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO.
RILEVATO
che:
1. La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 3446 del 2.9.19, ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da E.K.O., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento della Commissione Territoriale che gli aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.
2. Il richiedente aveva dichiarato di essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per il timore di essere perseguitato in quanto omosessuale. In particolare, aveva riferito di essere stato ospite in casa dello zio, omosessuale a far data dal *****; che costui lo aveva ripetutamente molestato; di essere stato sorpreso da un amico di suo fratello mentre aveva rapporti sessuali con il compagno abituale; di essere stato prelevato e picchiato dai giovani del villaggio e arrestato dalla polizia; di avere a sua volta denunciato lo zio come omosessuale, determinandone l’arresto; di essere stato curato in ospedale perché ferito e ustionato; di essere stato rilasciato con obbligo di firma in attesa di approfondimento di indagini sulla sua presunta omosessualità.
3. I giudici del merito avevano evidenziato, come già la commissione, il diverso contenuto delle dichiarazioni del richiedente al momento del suo ingresso in Italia, ove non si faceva riferimento all’omosessualità, la mancanza di circostanziati riferimenti alle abitudini sessuali dal *****, epoca di inizio della relazione con il compagno di studi, oltre che di informazioni riguardo al destino di quest’ultimo dopo essere stato scoperto dagli abitanti del villaggio, alla inusitata assenza di contatti e interessamento per il compagno con il quale avrebbe condiviso un rapporto intimo per quattro anni, alla inverosimile diffusione televisiva della notizia del suo fermo, alla inspiegabile denuncia dello zio, alla mancanza di alcuna somiglianza con il giovane raffigurato nella foto prodotta a riprova del proprio fermo, che sembra supportare la storia di altra persona, addotta come propria.
4. Rilevava la Corte la genericità dei fatti, privi di coerenza e credibilità, inidonei a individuare gli autori dei riferiti atti persecutori, e la mancanza di indicazioni riguardo allo sviluppo ed eventuale esito delle indagini che potrebbero indurre alla sua carcerazione come omosessuale.
5. Riguardo alla protezione sussidiaria, rilevava che la situazione dell’area di provenienza del richiedente – Imu State – non risultava caratterizzata da diffusi atti di criminalità, tensioni interetniche e religiose, atti di terrorismo e sommosse tali da potersi configurare la minaccia grave alla vita del richiedente.
6. Osservava che non si rinvenivano gravi motivi a sostegno della richiesta di protezione umanitaria.
7. Avverso il provvedimento il richiedente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
CONSIDERATO
che:
1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, sul dovere di cooperazione istruttoria ed omesso esame di circostanze decisive, osservando che non può discutersi della verosimiglianza della omosessualità dichiarata dal richiedente dal momento che non è stato svolto alcun tipo di indagine istruttoria ulteriore rispetto alla fase amministrativa.
2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in riferimento all’art. 360, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in riferimento all’art. 360, n. 3, rilevando la mancanza di comparazione tra la condizione, anche lavorativa, del ricorrente in Italia e quella cui sarebbe destinato nel paese di origine.
3. I motivi sono inammissibili.
4. Questa Corte ha affermato che, ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, il giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova perché non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 10286 del 2020; Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925; Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).
5. Il principio secondo cui le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, rilevante ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).
6. Nel caso di specie le dichiarazioni rese dal richiedente sono state giudicate non credibili per genericità e per la non verosimiglianza della vicenda narrata, e rispetto ad esse le censure esposte nel ricorso, formulate indistintamente come violazione di legge e vizio motivazionale, si risolvono in una critica, a sua volta generica, che non incide sull’apprezzamento in fatto compiuto dai giudici di merito, congruamente motivato, e, collocandosi all’esterno del perimetro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come delineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014), risultano inammissibili.
7. Considerazioni analoghe possono ripetersi per le censure che investono il mancato riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, che non contengono allegazioni di elementi fattuali di cui si denunci l’omesso esame in termini di autosufficienza, anche con riferimento alla condizione lavorativa del richiedente, ma solo generiche asserzioni su una presunta condizione di vulnerabilità.
8. Per le ragioni esposte, il ricorso va dichiarato inammissibile.
9. Nulla va disposto sulle spese atteso che il Ministero non ha svolto attività difensiva.
10. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle del presente giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 19 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021