LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26602/2015 proposto da:
C.C.B., rappresentato e difeso dapprima dall’Avvocato PAOLA CATTANI, per procura speciale in calce al ricorso e poi dall’Avvocato LAURETTA POLVERIGIANI, per procura speciale rilasciata con atto per notaio B.F. del 18/6/2019;
– ricorrente –
contro
C.C.E., e C.C.S., rappresentate e difese dall’Avvocato CAMILLA ZAMPARINI, presso il cui studio a Bologna, via R. Audinot 9, elettivamente domiciliano per procure speciali in calce al controricorso;
– controricorrenti –
EREDI DI C.C.V., EREDI DI C.G., CO.CA.EL., C.C.M.T., EREDI DI T.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 707/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 10/4/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 4/5/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;
lette le conclusioni depositate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro.
FATTI DI CAUSA
C.C.B., con citazione notificata il 14/12/2002, dopo aver premesso: – di essere, quale coerede del padre, C.C.C., partecipe della comunione ereditaria tra tutti i relativi eredi; – che l’asse ereditario comprendeva, nella percentuale del 50%, l’immobile sito a *****, del quale era comproprietaria, per la residua quota, C.G.; – che C.C.T. era stato nominato amministratore della comunione, tutt’ora in carica nonostante la scadenza del mandato conferitogli; ha dedotto: – di aver accertato, nel corso di tre sopralluoghi effettuati nel periodo che va dal mese di maggio al mese di giugno del 2002 dal consulente tecnico d’ufficio, nominato nel procedimento avente ad oggetto la divisione del patrimonio ereditario, che una parte dei beni era stata concessa in locazione alla ditta “La Baita”; – che la Baita aveva commissionato, senza che fosse stata rilasciata alcuna autorizzazione o concessione amministrativa, i lavori di ristrutturazione del cortile e dei locali dell’immobile ” C. ed altri”; – che, in data 12/10/2001, la ditta “La Baita”, congiuntamente a C.C.T. in rappresentanza della proprietà, ha presentato al Comune domanda di trasformazione della destinazione d’uso dei locali adibiti ad esercizio commerciale dalla parte conduttrice; – che, in data 13/11/2002, C.G. e C.C.T. avevano inoltrato una nuova domanda di concessione edilizia in aderenza alle determinazioni assunte all’esito dell’assemblea dei coeredi in data 25/10/2002. L’attore, quindi, sulla base di tali premesse in fatto, ha chiesto che tali delibere fossero dichiarate illegittime o giuridicamente inesistenti ovvero, in subordine, che fossero annullate totalmente o parzialmente perché illegittime.
L’attore, inoltre, ha lamentato la violazione da parte di C.C.T. degli obblighi di lealtà e di diligenza nonché di rispetto del mandato ricevuto con la nomina di amministratore, la violazione del principio del neminem laedere per inosservanza degli obblighi di lealtà e di correttezza che ciascun comproprietario deve tenere nei confronti degli altri comproprietari nonché l’illiceità della condotta della C., in qualità di comproprietaria dell’immobile, per aver avallato le scelte compiute dall’amministratore della comunione, ed ha chiesto, quindi, di dichiarare illegittimo ed illecito il comportamento assunto dai convenuti, per la parte avuta nelle operazioni di trasformazione edilizia dei locali del predetto immobile, e di dichiarare illegittimo il possesso e l’attività di trasformazione effettuata dalla ditta “La Baita” in questione per essere nullo o annullabile il contratto o il patto sulla base del quale ha agito, per difetto dei necessari presupposto giuridici o di fatto; di dichiarare nulli o di annullare i contratti di locazione o altro in essere con la Baita per la messa a disposizione dei locali appartenenti alla proprietà in parola; di dichiarare illegittimo ed illecito il comportamento di C.C.T. in quanto non conforme ai principi di lealtà, correttezza, buona amministrazione e di scrupoloso uso dei propri poteri tipici del mandato ad amministratore la comunione, condannandolo alla rifusione di Euro 5.400,00.
I convenuti C.C.T., C.C.E., C.C.S., la s.a.s. La Baita di Cr.Ro. e C. ed il suo socio accomandante O.R. si sono costituiti in giudizio, resistendo alle domande, oltre a sollevare eccezioni preliminari in ordine alla tempestività dell’impugnazione.
Sono rimasti, invece, contumaci Co.Ca.El., C.C.M.T., T.A. e C.G..
Il tribunale di Ravenna, con sentenza del 4/1/2007, ha dichiarato l’improcedibilità della domanda ed ha condannato l’attore a rimborsare alle parti costituite le spese di lite.
Il tribunale ha ritenuto che le domande dell’attore si risolvevano nell’impugnazione delle deliberazioni assunte dall’assemblea dei partecipanti alla comunione ereditaria in data 25/10/2002 ed ha, sul punto, ritenuto che l’attore fosse privo della legittimazione attiva ai sensi dell’art. 1109 c.c.: questi, infatti, dopo aver presenziato all’apertura dell’assemblea e dopo aver preso la parola, si era allontanato, prima della deliberazione, senza farvi più ritorno, per cui, secondo il tribunale, non poteva essere considerato né assente, perché aveva partecipato all’assemblea a seguito di regolare convocazione, né dissenziente, per non aver consapevolmente esercitato il suo diritto di voto.
C.C.B. ha proposto appello chiedendo l’accoglimento di tutte le domande proposte in primo grado, previo riconoscimento della sua legittimazione ad impugnare.
Nel giudizio d’appello si sono costituiti C.C.T., C.C.E., C.C.S., la s.a.s. La Baita di Cr.Ro. e C. ed il suo socio accomandante O.R. nonché T.A..
Sono rimasti, invece, contumaci Co.Ca.El. e C.C.M.T..
Interrotto il giudizio a seguito della morte di T.A., il giudizio è stato riassunto nei confronti degli eredi dello stesso, rimasti, però, contumaci.
La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello ed ha condannato l’appellante a rimborsare alle controparti costituite le spese di lite maturate nel giudizio di secondo grado.
La corte ha premesso di non poter condividere l’assunto del tribunale in ordine alla carenza della legittimazione attiva dell’attore ad impugnare le delibere assembleari in questione.
Intanto, ha osservato la corte, l’appellante era comparso all’assemblea ed era, quindi, presente mentre il suo allontanamento volontario dev’essere interpretato come una implicita manifestazione della volontà di dissentire in ordine all’approvazione degli argomenti posti all’ordine del giorno.
In ogni caso, ha aggiunto la corte, l’appellante, quale attore, oltre all’impugnativa dell’assemblea per vizi costituenti cause di annullabilità, ne aveva anche denunciato la nullità, proponendo, peraltro, ulteriori domande che prescindevano dalla declaratoria di invalidità delle decisioni prese dall’assemblea della comunione ereditaria, anche se ad essa connesse.
La corte, quindi, è passata ad esaminare le domande che l’attore aveva proposto in primo grado e che, sia pur a mezzo di un rinvio alle relative difese, aveva riproposto in grado d’appello, a partire da quelle aventi ad oggetto le deliberazioni adottate dai coeredi di C.C.C. nell’assemblea del 25/10/2002, aventi ad oggetto: – la ratifica dell’operato dell’amministratore, e cioè di C.C.T., in ordine all’esecuzione dei lavori in parte già eseguiti previa richiesta di concessione edilizia sull’immobile ” C. ed altri”; – l’autorizzazione ad eseguire i lavori edili di cui alla domanda di concessione anzidetta; – la ratifica dell’operato dell’amministratore relativamente ai lavori già eseguiti con la concessione edilizia n. ***** nel condominio di ***** e nel fabbricato di *****.
L’attore, come detto, aveva chiesto di dichiarare illegittime e/o giuridicamente inesistenti le deliberazioni adottate dall’assemblea dei coeredi di C.C.C. in data 25/10/2002 per nullità assoluta o, in subordine, annullarle totalmente o parzialmente per illegittimità, deducendo: – la violazione degli artt. 1100 e 1105 c.c., in quanto la gestione della cosa comune, rappresentata dalla quota del 50% della proprietà dell’immobile ” C. ed altri”, non poteva essere affidata ad un amministratore, essendo di pertinenza di ciascun partecipante in proposizione alla rispettiva quota; – la irregolare ed illegittima convocazione dell’assemblea, non essendo stati avvisati tutti i comproprietari dell’immobile, come la C., titolare della quota del 50%; – la violazione del requisito degli artt. 1325,1346 e 1423 c.c., per mancanza dell’accordo delle parti. L’appellante, inoltre, nell’eventualità che le delibere fossero ritenute legittime come mandato all’amministratore a formare, insieme alla C., la volontà della comunione dell’immobile, ne ha dedotto ulteriori profili di invalidità derivanti il mancato raggiungimento del quorum, a fronte dell’assenza di una valida delega in capo ad G.A., quale rappresentante di Co.Ca.El.. L’appellante, infine, ha dedotto, quale ulteriore profilo di invalidità, la violazione dell’art. 1109 c.c., perché le delibere erano gravemente pregiudizievoli alla cosa comune, non c’era stata la preventiva informazione sull’oggetto e le delibere erano state adottate con la partecipazione di C.C.T. che avrebbe dovuto, invece, astenersi.
A fronte di tali domande, ha osservato la corte, i convenuti hanno sollevato eccezione (reiterata in appello) di decadenza ex art. 1109 c.c., comma 2, per non avere l’attore proposto l’impugnazione nel termine di trenta giorni, con decorrenza dal giorno dell’assemblea ovvero da quello in cui lo stesso aveva ricevuto la raccomandata contenente le delibere impugnate, e ciò in conseguenza della nullità della citazione notificata il 14/12/2002, mentre la sua rinnovazione anche a C.G. integra un nuovo e diverso atto di impugnazione delle delibere assembleari.
La corte ha ritenuto che, sia pur nei limiti dei vizi che avrebbero comportato l’annullabilità della deliberazione (e cioè il preteso difetto di convocazione, il mancato raggiungimento del quorum per invalidità delle deleghe rilasciate dagli aventi diritto e gli ulteriori vizi direttamente ricollegabili all’art. 1109 c.c., come il grave pregiudizio alla cosa comune, la violazione dell’art. 1105 c.c., comma 3 e dell’art. 1108 c.c., commi 1 e 2), l’eccezione di decadenza era fondata. Al riguardo, la corte ha ritenuto: – innanzitutto, che C.C.B., come emerge dal verbale dell’assemblea del 25/10/2002, era stato presente all’assemblea dalla quale, però, si allontanò poco dopo l’apertura, quando gli fu tolta la parola dal presidente: tale condotta, ha proseguito la corte, deve essere intesa come “una chiara ed inequivocabile manifestazione di dissenso rispetto all’operato degli altri partecipanti e alla proposta stessa che doveva formare oggetto di decisione”; – in secondo luogo, che C.C.B. doveva, dunque, essere considerato non già come assente ma come dissenziente con la conseguenza, ha aggiunto la corte, che lo stesso doveva considerarsi come già posto in condizione di apprendere l’esito della votazione “il giorno stesso dell’assemblea”, il quale, pertanto, costituisce “il dies a quo nel calcolo del termine di impugnazione”. Ciò detto, la corte ha osservato che l’atto di citazione notificato dall’attore il 14/12/2002 è stato dichiarato nullo dal giudice istruttore, per carenza dell’indicazione della data dell’udienza di comparizione, con l’assegnazione di un nuovo termine per la rinnovazione dell’atto: l’attore, quindi, ha aggiunto la corte, ha provveduto a notificare un secondo atto di citazione in data 23/5/2003, estendendo, però, le domande a C.G., la quale non era stata convenuta con il primo atto di citazione. A fronte di tali evenienze, la corte ha ritenuto che la censura con la quale l’appellante si era doluto della pronuncia di nullità dell’atto di citazione, non era fondata: l’atto conteneva l’indicazione del giorno e del mese e non anche dell’anno nel quale avrebbe dovuto tenersi l’udienza di comparizione; all’udienza di comparizione del 2/4/2003 erano comparsi alcuni soltanto dei convenuti; ed al fronte dell’obiettiva incertezza sulla data dell’udienza di comparizione delle parti e dell’assenza di alcuni dei convenuti, ha concluso la corte, il vizio non poteva ritenersi sanato. La seconda citazione, però, ha proseguito la corte, notificata in data 23/5/2003, non era una mera rinnovazione della prima ma integrava un atto nuovo, avendo convenuto in giudizio un nuovo e distinto soggetto, e cioè C.G., non convenuta con il primo atto di citazione: ben oltre, quindi, ha concluso la corte, il termine di trenta giorni con decorrenza sia dalla data dell’assemblea (25/10/2002), sia da quella successiva (13/11/2002) in cui l’attore ha ricevuto la raccomandata con la quale si dava avviso delle deliberazioni assunte. Stabilito, quindi, che i vizi di annullabilità delle deliberazioni in esame non potevano essere esaminati, nel merito, a fronte della intervenuta decadenza dall’impugnazione proposta, la corte ha provveduto ad esaminare i vizi comportanti la nullità delle deliberazioni impugnate: in ordine ai quali la corte aveva già evidenziato come gli stessi possano essere azionati da chiunque vi abbia interesse, anche se terzo rispetto alla comunione, e senza termini di prescrizione o di decadenza. La corte, sul punto, ha evidenziato che, secondo l’appellante, le deliberazioni sono state assunte in violazione degli artt. 1100 e 1105 c.c., sul rilievo che la gestione dell’immobile in comproprietà tra gli eredi di C.C.C. e C.G. sarebbe dovuta avvenire ad opera di ciascun partecipante, in proporzione della rispettiva quota, e non da parte dell’assemblea della comunione ereditaria la quale è stata costituita, con la nomina dell’amministratore, solo per la gestione dell’immobile attiguo a quello in esame, la cui comproprietà spettava, per intero, a tutti i coeredi. Sotto questo profilo, ha proseguito la corte, l’appellante ha dedotto una sorta di carenza di potere della comunione, che porterebbe alla nullità delle decisioni da essa adottate privando, in particolare, di validità l’operato dell’amministratore della comunione il quale, relativamente all’immobile di *****, e cioè l’immobile definito ” C. ed altri”, non avrebbe mai ricevuto alcun valido mandato ad amministrare, insieme alla comproprietaria C.G., anche tale immobile.
La corte, invece, ha ritenuto la piena legittimità delle deliberazioni impugnate. In particolare, dopo aver premesso che: – “la quota pari al 50% di comproprietà dell’immobile sito… in ***** non è stata divisa tra i coeredi di C.C.C. e, dunque, la titolarità della quota medesima, diversamente da quanto sembra ritenere l’appellante, ha continuato ad appartenere alla comunione dei coeredi, i quali, in forma assembleare o meno (anche se nella specie è stata scelta la forma assembleare), erano e sono chiamati ad esprimere la loro volontà sulle modalità di amministrazione della cosa comune attraverso deliberazioni che, nel rispetto dell’art. 1108 c.c., vincolano tutti i partecipanti medesimi, inclusi i dissenzienti”; – “tali deliberazioni, poi, dovranno, per così dire, confrontarsi (in un secondo tempo o contestualmente, poco importa) con la volontà della titolare dell’altra quota del 50% per decidere in via definitiva le modalità di amministrazione e godimento della cosa comune”; – “l’art. 1106 c.c., prevede, poi, che l’amministrazione della cosa comune – che nella specie va individuata nella quota della proprietà immobiliare e non già nell’intero – possa essere delegata ad uno o più partecipanti, o(I)tre che ad un estraneo; e tale decisione può e deve essere adottata dai partecipanti alla comunione a maggioranza semplice o qualificata in dipendenza del contenuto dei poteri delegati all’amministratore”; – la corte ha rilevato come dal verbale dell’assemblea del 25/10/2002 fosse emerso che “i coeredi di C.C.C., ad esclusione dell’… appellante e con l’astensione di… C.C.T. (per la prima deliberazione), approvarono e ratificarono l’operato di quest’ultimo per quanto riguarda il coinvolgimento dello stesso nella richiesta della Conc. Edil. n. ***** per lavori relativi al fabbricato di *****; autorizzarono espressamente lo stesso C.C.T. a richiedere al Comune la concessione edilizia per realizzare i lavori già richiesti con la pratica del 10 maggio 2002, conferendogli espresso mandato in tal senso; approvarono e ratificarono l’operato dello stesso amministratore “relativamente all’esecuzione dei lavori già realizzati con la Conc. Edil. n. 1263 del 12-10-2001 nei fabbricati di ***** nei termini illustrati dallo stesso amministratore”.
Con tali deliberazioni, ha aggiunto la corte, tutti i coeredi, ad eccezione dell’appellante, non solo hanno ratificato l’attività già svolta dell’amministratore C.C.T. ma gli hanno conferito delega a rappresentare la comunione anche in ordine al completamento dei lavori edilizi concernenti il fabbricato in comproprietà con la C. e, così, in definitiva, ad esprimere la volontà della comunione anche nei rapporti con quest’ultima, rimanendo, pertanto, irrilevante, ha concluso la corte, la censura con la quale l’appellante aveva dedotto che la comunione ereditaria si era formata soltanto sul fabbricato di ***** e soltanto per l’amministrazione di tale immobile era stata conferita delega a C.C.T..
La corte e’, quindi, passata ad esaminare le altre domande che l’attore aveva proposto, volte, nell’ordine, a: – far accertare un presunto comportamento illegittimo ed illecito di C.C.T.; – far accertare e dichiarare illegittimo ed illecito il comportamento di tutti i convenuti, nella loro qualità di coeredi, per la parte avuta nelle operazioni di trasformazione edilizia dei locali dell’immobile di *****; – ottenere la condanna dei convenuti al risarcimento dei danno all’immagine e del danno patrimoniale da lui subito in conseguenza dei comportamenti illeciti tenuti dalle controparti; – dichiarare la nullità o ad annullare il contratto di locazione del 19/5/2003, sottoscritto dalla s.a.s. La Baita e da C.C.T. in nome e per conto della comunione ereditaria dei locali; – far dichiarare illegittimo il possesso e l’attività di trasformazione eseguita dalla s.a.s. La Baita dei locali appartenenti all’immobile oggetto di controversia in virtù di accordo, patto o contratto nullo o annullabile per mancanza dei necessari presupposti di fatto e di diritto.
La corte ha ritenuto che tali domande, se non sono inammissibili, erano, comunque, prive di fondamento. La corte, infatti, dopo aver evidenziato che la condotta asseritamente illecita che avrebbero assunto l’amministratore C.C.T. e gli altri coeredi per la parte avuta nelle operazioni di trasformazione edilizia dei locali dell’immobile di *****, condotti in locazione dalla s.a.s. La Baita, consisterebbe in un vizio d’origine, riferibile alla mancanza di rappresentanza in capo all’amministratore, che ha generato il diniego di assenso all’esecuzione dei lavori da parte del Comune, ed in un vizio successivo, conseguente alla incompetenza dell’assemblea dei coeredi ad esprimersi collegialmente in ordine all’effettuazione di questi lavori, ha ritenuto che la legittimità delle deliberazioni assembleari rende palese l’infondatezza delle domande proposte dall’attore: “tutta l’attività compiuta da C.C.T. in relazione ad entrambi i fabbricati di via Naviglio è stata espressamente ratificata dalla maggioranza dei coeredi comproprietari i quali l’hanno fatta propria, sanando ogni eventuale ipotetico difetto originario di rappresentanza in capo al coerede medesimo e consentendo, in tal modo, anche di escludere in radice l’asserita violazione dei doveri di lealtà, correttezza, di buona amministrazione e scrupoloso uso dei poteri tipici del mandato di amministratore di comunione da parte dello stesso”. Inoltre, ha proseguito la corte, “e’ pacifico… che le opere edili in questione (per il fabbricato di *****) vennero regolarmente assentite dall’autorità comunale a seguito e per effetto delle deliberazioni di che trattasi”. Quanto, poi, al contratto di locazione concluso tra i coeredi e la s.a.s. La Baita, l’attore – ha osservato la corte – ha dedotto la sua nullità sul presupposto che mancava una deliberazione dei comproprietari che ne autorizzasse o approvasse la stipulazione o che tale deliberazione non gli era mai stata comunicata o ancora che egli non aveva mai espresso il proprio consenso. La corte, sul punto, ha rilevato, innanzitutto, che è lo stesso appellante ad aver riconosciuto la regolare formazione della comunione ereditaria relativamente all’immobile di ***** e della nomina dell’amministratore C.C.T., che aveva, quindi, il potere di concludere il contratto di locazione in tale sua specifica qualità. La volontà della maggioranza dei coeredi di approvare l’operato dell’amministratore in ordine all’esecuzione dei lavori edili, in parte già iniziati ed interessanti l’altro immobile in comproprietà con la C., racchiudeva – ha osservato la corte – in termini inequivocabili “la volontà degli stessi coeredi di ratificare l’estensione della locazione in essere ai nuovi e diversi locali”. Non era, infatti, compatibile con una diversa volontà la decisione di approvare l’ampliamento dell’esercizio commerciale anche a parte del diverso immobile adiacente a quello già oggetto della locazione.
La corte, infine, ha esaminato l’ultima censura dell’appellante, con la quale lo stesso si era doluto della pronuncia sulle spese, e l’ha rigettata sul rilievo che, al fine di evidenziare il suo interesse ad impugnare le statuizioni del tribunale, era suo onere esporre le ragioni per le quali riteneva eccessiva la liquidazione attuata dal primo giudice, a prescindere dal contenuto della nota spese, che il tribunale ha disatteso.
C.C.B., con ricorso notificato su richiesta a far data dal 16/10/2015 e depositato in data 16/11/2015, ha chiesto, per dodici motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, notificata il 24/7/2015.
Hanno resistito con controricorso notificato in data 7.10/12/2015, C.C.E. e C.C.S. le quali, oltre ad aver eccepito la tardività del ricorso in quanto tardivamente (a loro) notificato e la sua improcedibilità in quanto tardivamente depositato, hanno dedotto la mancata notifica del ricorso stesso a due litisconsorti necessari, e cioè la s.a.s. La Baita ed il suo socio accomandante O.R. e la conseguente necessità di disporre quanto meno l’integrazione del contraddittorio.
Le parti hanno depositato memorie.
La Corte, con ordinanza resa all’udienza del 23/5/2019, ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Baita s.a.s. e di O.R. entro il 30/6/2019.
Il ricorrente, con atto notificato il 27/6/2019, ha provveduto all’integrazione del contraddittorio nei confronti, oltre che degli eredi di O.R. (e cioè Cr.Ro. e O.F.), anche della La Baita s.a.s., procedendo, tuttavia, alla relativa notifica mediante consegna all’avv. Gianfranco Fiorentini, vale a dire al difensore che l’aveva assistita nel giudizio d’appello.
La Corte, con ordinanza depositata in data 18/2/2020, ha ritenuto che tale notifica fosse nulla poiché, in quel momento, era trascorso il termine di cui dell’art. 330 c.p.c., u.c., ed ha, quindi, concesso il termine di sessanta giorni, dalla comunicazione della predetta ordinanza, per la sua rinnovazione, da effettuarsi alla parte personalmente.
Il ricorrente, che ha ricevuto la comunicazione dell’ordinanza in data 18/2/2020, non ha provveduto, come da attestazione della cancelleria in data 14/1/2021, alla disposta rinnovazione nel termine assegnato.
Il Pubblico Ministero, con conclusioni depositate in data 14/4/2021, ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La Corte prende atto che il ricorrente, pur avendo ricevuto la comunicazione dell’ordinanza con la quale era stato concesso il termine di sessanta giorni per procedere alla rinnovazione della notificazione del ricorso, da eseguirsi alla parte personalmente, nei confronti della Baita s.a.s., litisconsorte necessario pretermesso, non ha provveduto, come attestato dalla cancelleria in data 14/1/2021, alla disposta rinnovazione nel termine assegnato.
2. Il ricorso, quindi, è inammissibile. Ed infatti, come ricordato dal Pubblico Ministero, nel giudizio di legittimità, l’art. 371 bis c.p.c., là dove impone, a pena di improcedibilità, che il ricorso notificato sia depositato in cancelleria entro il termine perentorio di venti giorni dalla scadenza del termine assegnato, riguarda non solo l’ipotesi in cui la Corte di Cassazione abbia disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario cui il ricorso non sia stato in precedenza notificato, ma va riferito, con interpretazione estensiva, anche all’ipotesi in cui la Corte abbia disposto, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., il rinnovo della notificazione del ricorso. Peraltro, non ricorrendo l’ipotesi del deposito tardivo dell’atto d’integrazione del contraddittorio, ma quella più radicale dell’inottemperanza all’ordine impartito dalla S.C., la pronuncia deve essere di inammissibilità e non già di improcedibilità del ricorso (Cass. n. 9097 del 2019; Cass. n. 1930 del 2017).
3. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
4. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021
Codice Civile > Articolo 1100 - Norme regolatrici | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1105 - Amministrazione | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1109 - Impugnazione delle deliberazioni | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1325 - Indicazione dei requisiti | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1346 - Requisiti | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1423 - Inammissibilita' della convalida | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 291 - Contumacia del convenuto | Codice Procedura Civile