Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.33105 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22010/2016 R.G. proposto da:

M.D., E M.M., rappresentati e difesi dall’avv. Amilcare Buccetti, con domicilio eletto in Roma alla Via Flaminia n. 48.

– ricorrenti –

contro

IGEA S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Macciotta, con domicilio eletto in Roma, alla Via P. Falconieri, presso l’avv. Paola Fiecchi.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari n. 400/2016, pubblicata in data 19.5.2016.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16.6.2021 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La Igea s.p.a. ha evocato in giudizio M.F. dinanzi al tribunale di Cagliari, esponendo che il convenuto conduceva in locazione un immobile sito nel Comune di Masua, in catasto al fl. *****, mappale ***** e che il contratto era ormai scaduto per intervenuta disdetta, sicché il bene era occupato abusivamente.

Ha chiesto di disporre il rilascio e di condannare il M. al ripristino delle condizioni di manutenzione dell’immobile e al risarcimento del danno.

M.F., costituitosi ritualmente in causa, ha eccepito che, a seguito di carteggio intercorso tra le parti nel corso del 1982, l’immobile gli era stato definitivamente ceduto in proprietà, avendo egli aderito alla proposta pervenutagli in data 28.4.1982, dichiarando di voler acquistare l’immobile al prezzo indicato dalla Samaveda s.p.a. (società mandataria per la gestione del patrimonio immobiliare della Igea s.p.a.), dopo che le richieste di uno sconto sul prezzo non avevano ottenuto un positivo riscontro.

Ha chiesto di respingere la domanda, instando affinché, ove il tribunale avesse ravvisato l’avvenuto perfezionamento di un preliminare di vendita, fosse disposto il trasferimento dell’immobile condizionatamente al pagamento del prezzo.

Acquisita documentazione ed esaurita la trattazione, il tribunale ha accolto la domanda di rilascio, ritenendo che le parti non avessero perfezionato alcun contratto di vendita e che il convenuto occupasse abusivamente l’immobile, essendo ormai cessato anche il contratto di locazione.

Su appello di M.D. e F., eredi di M.F., la Corte di Cagliari ha confermato la decisione.

Anche a parere del giudice distrettuale, la missiva del 28.4.1982, con cui la Samaveda aveva invitato M.F. ad esprimere in modo inequivocabile la volontà di acquistare l’immobile al prezzo di Lire 11.500.000 – conteneva non una proposta di vendita, ma una mera indicazione di prezzo con invito a formulare una proposta di acquisto, per cui la risposta del conduttore non poteva considerarsi un’accettazione di una proposta che gli era stata rivolta e comunque, “per il suo contenuto laconico, neppure una proposta concreta e seria di acquisto o un’accettazione incondizionata di elementi contrattuali”.

Il fatto che il contratto di vendita non si fosse perfezionato trovava conferma, secondo la sentenza, anche nel comportamento successivo del M., che – anche anni dopo – si era dichiarato conduttore ed aveva nuovamente manifestato la volontà di acquistare l’immobile. In ogni caso, il contratto – ove effettivamente concluso – sarebbe stato nullo, non avendo le parti individuato per iscritto il bene oggetto del trasferimento.

Per la cassazione della sentenza M.D. e M.M. propongono ricorso in tre motivi, illustrati con memoria.

L’Igea resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo censura la violazione dell’art. 1362 c.c., vizio assoluto di motivazione ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, sostenendo che, con la missiva del 19.4.1982, il M. aveva chiesto di acquistare l’immobile ad un prezzo inferiore a quello comunicatogli verbalmente e che la Samaveda, nel respingere la richiesta, aveva invitato il M. a manifestare in modo inequivoco la propria volontà di acquistare, confermando che il prezzo non poteva essere inferiore a Lire 11.000.000. A tale invito il conduttore aveva dato positivo riscontro nel rispetto della forma richiesta, sicché tale scambio di dichiarazioni, del tutto inequivoche e non sottoposte a riserve, aveva determinato la conclusione del contratto di trasferimento (o di un preliminare di vendita immobiliare).

L’avvenuto perfezionamento della vendita era questione di cui la Corte di merito avrebbe dovuto tener conto e che, risolta in senso positivo, rendeva superfluo il ricorso ai criteri sussidiari di interpretazione del contratto, essendo sufficiente il solo dato letterale per individuare la reale volontà dei dichiaranti.

Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1360,1362 e 1363 c.c. e l’illogicità motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Secondo i ricorrenti, sussistevano tutti i presupposti per ritenere perfezionato il contratto di vendita, essendo l’oggetto individuato mediante il richiamo al bene locato ed essendo chiaramente enunciata la causa di scambio. Inoltre l’accettazione era stata formulata nel rispetto della forma richiesta dalla società proponente. I due motivi vanno esaminati congiuntamente, data la loro stretta connessione, e vanno respinti per le ragioni che seguono.

Va anzitutto escluso che – come sostenuto dal Pubblico Ministero la decisioni si basi su tre distinte ed autonome rationes decidendi, di cui solo due di esse oggetto di ricorso (ossia la seconda, vertente sull’interpretazione delle dichiarazioni prenegoziali sulla base del comportamento successivo dei contraenti e la terza, riguardante la nullità del contratto di vendita per insufficiente individuazione dell’immobile) con conseguente inammissibilità dell’impugnazione, stante la definitività dell’altra.

In realtà, la prima (supposta) ratio, afferente al risultato interpretativo della missiva del 28.4.1982 fondato sul dato letterale e la seconda, basata sulla valorizzazione – sempre a fini ermeneutici – della condotta successiva delle parti, non costituiscono argomentazioni alternative e singolarmente autosufficienti, essendo la seconda di esse impiegata in via subordinate ed ipotetica, in funzione rafforzativa della correttezza delle soluzioni ermeneutiche accolte, venendo – in definitiva – entrambe ad integrarsi in vista dell’obiettivo di individuare la volontà dei contraenti, quale passaggio logico ineludibile per stabilire se fosse stato perfezionato un contratto di vendita dell’immobile in virtù della semplice e generica conferma – da parte del M. – “di voler acquistare” l’immobile.

La sentenza ha invero precisato che il fatto che la missiva contesse un mero invito ad offrire e non una proposta contrattuale di vendita riceveva avallo anzitutto dal dato letterale e comunque, ove quest’ultimo fosse ritenuto insufficiente, detta conclusione “trovava conferma anche nella condotta successiva del dichiarante” (cfr. sentenza, pag. 5-6).

Non essendosi in presenza di rationes decidendi autonome ed avendo i ricorrenti sottoposto a critica il modo in cui la Corte di merito ha complessivamente interpretato le dichiarazioni prenegoziali, non sussiste alcuna preliminare ragione di inammissibilità del ricorso per le ragioni evidenziate dal Pubblico Ministero.

1.1. La Corte di merito ha – com’era doveroso – interpretato il contenuto delle dichiarazioni prenegoziali in applicazione dei criteri di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., dovendo preliminarmente individuare la volontà dei dichiaranti allo scopo di stabilire se effettivamente le parti avessero perfezionato la vendita dell’immobile mediante un rituale scambio tra proposta ed accettazione.

Proprio basandosi sul dato letterale e sul contesto delle contrattazioni (finalizzate a fissare le condizioni di prezzo), la pronuncia ha escluso che la missiva inviata dalla Samaveda il 28.4.1982 costituisse una proposta di vendita, apparendo piuttosto come un invito a formulare una proposta di acquisto alle condizioni stabilite dalla controparte – invito che esigeva dal destinatario la formalizzazione non di una volontà genericamente diretta all’acquisto, ma una dichiarazione contenente – in particolare – la volontà di acquistare al prezzo richiesto dalla venditrice.

La missiva inoltrata dalla Samaveda aveva – difatti – il seguente tenore letterale: “Ci riferiamo alla corrispondenza intercorsa relativamente all’oggetto (alloggio Masua-mare), per precisarle che il prezzo di vendita non può essere inferiore alla nostra valutazione. La invitiamo pertanto ad esprimere con chiarezza la sua volontà di acquistare al prezzo indicato di Euro 11.500.000, inviandoci comunicazione telegrafica”.

Come ha logicamente concluso la sentenza, la risposta del M. oggetto del telegramma del 10.5.1982 (che aveva il seguente tenore: Confermo volontà acquisto casa Masua), non poteva intendersi – per la sua laconicità – come una seria e concreta proposta di acquisto o come manifestazione rivolta all’accettazione incondizionata di elementi contrattuali (cfr. sentenza, pag. 4), che in effetti la dichiarazione neppure menzionava. Mancava, in definitiva, una esplicita dichiarazione di voler acquistare al prezzo di Lire 11.500.000, indispensabile per dar luogo all’incontro di volontà tra le parti.

L’impossibilità di ritenere effettivamente perfezionato un contratto vendita appare conclusione assunta, quindi, sulla base di un dato letterale che la pronuncia ha ritenuto esaustivo e da cui contrariamente a quanto sostenuto in ricorso – non era consentito prescindere.

Neppure è in astratto censurabile l’utilizzo del criterio ermeneutico dalla condotta successiva del dichiarante, che – in ogni caso, la Corte di merito ha impiegato solo ad adiuvandum, avendo ritenuto già esaustivo il tenore testuale delle dichiarazioni (cfr. sentenza pag. 4). La disciplina in tema di interpretazione del contratto è applicabile agli atti giuridici non negoziali e alle dichiarazioni unilaterali di volontà nei limiti di compatibilità (Cass. 1985/1072; Cass. 1990/41; Cass. 12780/2000; Cass. 9127/2015).

Trattandosi di interpretare la dichiarazione proveniente da un solo soggetto, era necessario indagare l’intento del dichiarante, senza poter far ricorso alla valutazione del comportamento dei destinatari (Cass. 25608/2013; Cass. 460/2011; Cass. 4251/2004; Cass. 7973/2002; Cass. 5835/2002; Cass. 11712/1998; Cass. 2009/1988; Cass. 2081/1973), potendo però valutarsi il comportamento successivo dell’autore della dichiarazione (Cass. 1589/2000; Cass. 552/1979; Cass. 14864/2009).

In conclusione, non è ravvisabile né la violazione dei criteri di interpretazione, né l’omesso esame del fatto decisivo dell’avvenuta conclusione del contratto di vendita (o di un preliminare di vendita), circostanza quest’ultima esplicitamente esclusa dalla sentenza nel punto in cui ha ritenuto insussistente la stessa formulazione di una proposta di acquisto o la manifestazione di una seria volontà negoziale rivolta all’accettazione di specifici elementi contrattuali da parte del M. (cfr. sentenza, pag. 4).

2. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1325 e 1346 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza erroneamente ritenuto che l’eventuale contratto di vendita sarebbe stato nullo per mancata individuazione dell’immobile ceduto, benché il bene fosse stato individuato per relationem attraverso il richiamo all’oggetto del contratto di locazione, all’epoca ancora in essere tra le parti.

Il motivo è inammissibile per la decisiva considerazione che la ritenuta correttezza della pronuncia, nel punto in cui ha escluso lo stesso perfezionamento del contratto) rende irrilevante lo scrutinio delle questioni pertinenti all’eventuale invalidità del contratto stesso, dato che dall’accoglimento della censura non potrebbe comunque conseguire, per quanto detto, la cassazione della sentenza impugnata.

Il ricorso è quindi respinto, con regolazione delle spese liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per onorario, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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