LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 25542/2016) proposto da:
HOTEL NEVADA S.A.S. di L.K., (P.I.: *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. Alessandro Mantero, ed elettivamente domiciliata presso lo studio Grez & Associati, in Roma, c.so Vittorio Emanuele II, n. 18;
– ricorrente –
contro
G.D., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avv. Flavio Maria Bonazza, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Paolo Migliaccio, in Roma, v. Cosseria n. 5;
– controricorrente –
e HOTEL VASON s.n.c. di C.F. & C., (P.I.: *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, F.A., (C.F.: *****), C.A., (C.F.: *****), B.V., (C.F.: *****), e C.M., (C.F.: *****), tutti rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale rilasciato su foglio allegato al controricorso, dagli Avv.ti Maurizio Roat, e Alessio Pica, ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, alla v. A. Marighetto, n. 94;
– altri controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte di appello di Trento n. 274/2016 (pubblicata il 26 ottobre 2016);
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14 luglio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
lette le memorie depositate dai difensori della ricorrente e del controricorrente G.D. ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
RITENUTO IN FATTO
1. Con ricorso proposto ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., depositato presso la cancelleria del Tribunale di Trento in data 31 agosto 2012, l’Hotel Nevada s.a.s. esponeva: – che nell’autunno del 2006, a diretto confine con la sua proprietà, erano stati eseguiti lavori di costruzione di un edificio da destinare a punto di ristoro per sciatori con annesso deposito e slitte in difformità dalla concessione del Comune di Trento, che aveva ordinato la demolizione delle parti abusive; – che nei confronti dei proprietari confinanti e del tecnico progettista era stato intrapreso anche un procedimento penale per le violazioni edilizie loro contestate, che si era concluso in primo grado con la condanna di C.A. e di G.D., divenuta poi irrevocabile a seguito dei giudizi di appello e di cassazione; – che con la sentenza penale passata in giudicato era stata ordinata la condanna generica al risarcimento del danno in favore di essa ricorrente, da liquidarsi nella separata sede civile; tanto premesso la citata s.a.s. Hotel Nevada conveniva in giudizio l’Hotel Vason s.n.c. di C.F. & c., nonché i sigg. F.A., C.A., B.V., C.M. e G.D., chiedendo la loro condanna al risarcimento del danno rappresentato dal deprezzamento del proprio edificio destinato ad hotel, da liquidarsi nella misura di Euro 818.630,50.
Si costituivano tutti i convenuti che instavano per il rigetto della suddetta domanda e spiegavano reciprocamente domanda di manleva per l’eventualità di riconoscimento della fondatezza della pretesa attorea.
All’esito dell’istruzione probatoria, nel corso della quale veniva espletata c.t.u., l’adito Tribunale, con sentenza n. 941/2015 (pubblicata il 16 ottobre 2015), rigettava la domanda della s.a.s. Hotela Nevada, sul presupposto che – dovendosi applicare l’art. 872 c.c., comma 2, nei rapporti tra i privati e pur essendo rimasta riscontrata la presenza di un cono d’ombra proiettato sulla proprietà dell’attrice dall’edifico di proprietà dell’Hotel Vason – era, tuttavia, da ritenersi che tale cono d’ombra era causato non dalla parte costruita in difformità, bensì da quella realizzata in conformità alla concessione.
2. Decidendo sull’appello formulato dall’Hotel Nevada s.a.s. e nella costituzione di tutti gli appellati, la Corte di appello di Trento, con sentenza n. 274/2016 (pubblicata il 26 ottobre 2016), rigettava il gravame.
A sostegno dell’adottata decisione la Corte trentina osservava, innanzitutto, che la riconducibilità della pretesa risarcitoria all’alterazione del grado di panoramicità della struttura dell’appellante e alla violazione dell’art. 82 NTA del PRG di Trento nella vigente versione, costituiva oggetto di una domanda nuova in appello e, come tale, inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c., non potendo considerarsi una mera precisazione delle conclusioni già operata in primo grado. Ad ogni modo, pur volendo escludersi questa ragione di inammissibilità, la relativa domanda era da reputarsi comunque infondata perché basata sull’insussistente presupposto dell’illiceità dell’intera costruzione contigua e non di parte di essa, come invece era rimasto accertato, difettando, in ogni caso, la prova in ordine all’effettiva ricorrenza del reclamato danno patrimoniale.
3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’Hotel Nevada s.a.s., resistito con distinti controricorsi, da un lato, dall’intimato G.D. e, dall’altro lato, con un congiunto controricorso, da parte di tutti gli altri intimati.
I difensori della ricorrente e del controricorrente G.D. hanno anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo la società ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 651 c.p.p., artt. 112 e 345 c.c., nonché la violazione dell’art. 871 c.c. e art. 872 c.c., comma 2 e delle norme urbanistiche di cui all’art. 82 N.T.A. del PRG del Comune di Trento vigente all’epoca della controversa costruzione e del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. d) ed e).
Con tale doglianza la ricorrente ha inteso sostenere che, a seguito del giudicato penale di condanna conseguente alla sentenza della Cassazione penale n. 25191/2011 emessa nei confronti di C.A. (quale amministratrice dell’Hotel Vason s.n.c.) e G.D. (nella qualità di tecnico progettista) in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), la Corte di appello di Trento avrebbe dovuto considerarsi vincolata nel giudizio rispetto al già compiuto ed irretrattabile accertamento in sede penale quanto alla sussistenza del fatto, onde non costituiva domanda nuova quella volta a dimostrare la violazione di norme di edilizia che rappresentava il presupposto dell’intentata azione ai sensi dell’art. 872 c.c., comma 1, da considerarsi in concreto sussistente e tale da legittimare il riconoscimento dell’invocato risarcimento del danno, sulla cui domanda si era ritenuto che fosse stato violato il citato art. 112 c.p.c..
2. Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 651 c.p.p., unitamente a quella dell’art. 871 c.c., comma 2, art. 872 c.c., comma 2, oltre che – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 – l’omesso esame circa un fatto decisivo che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti e la nullità dell’impugnata sentenza per difetto di motivazione o, comunque, per motivazione apparente.
In particolare, con questa doglianza, la ricorrente ha prospettato che la sentenza di appello, nonostante il tema di indagine (deprezzamento in relazione alla perdita di panoramicità e all’ombreggiamento dell’Hotel Nevada da parte della contigua nuova costruzione) fosse stato puntualmente affidato al c.t.u., non aveva effettuato alcuna stima in proposito, così disattendendo l’accertamento del fatto risultante dal giudicato penale. In tale ottica, la ricorrente ha denunciato che l’omessa stima avrebbe configurato anche l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c., conducendo ad un difetto di motivazione dell’impugnata sentenza.
3. Rileva il collegio che i due motivi – da ritenersi sufficientemente specifici avuto riguardo, in particolare, al rispetto dei requisiti fissati dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), (da cui deriva il rigetto dell’eccezione di difetto di autosufficienza avanzata dalle parti controricorrenti) – possono essere esaminati congiuntamente perché all’evidenza connessi e risultando riferiti alle medesime questioni.
Occorre rilevare, innanzitutto, l’inammissibilità (ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., “ratione temporis” applicabile nella fattispecie, poiché il giudizio di appello è stato introdotto successivamente all’11 settembre 2012) del profilo di doglianza – dedotto con la seconda riportata censura – relativo al supposto vizio ricondotto dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Infatti, la sentenza di appello – per come si desume dal suo stesso impianto relativo allo svolgimento del giudizio e ai motivi della decisione – risulta fondata sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto a cui aveva posto riferimento la sentenza di primo grado (infatti confermata) in relazione al ravvisato riscontro dell’insussistenza della fondatezza della pretesa risarcitoria dedotta in giudizio dalla odierna società ricorrente.
Ciò premesso, rileva il collegio che – con riferimento alle ulteriori violazioni prospettate – i medesimi motivi sono privi di fondamento, sulla base della corretta ricostruzione dei fatti e delle relative conseguenze giuridiche emergenti dall’impugnata sentenza.
Quest’ultima e’, innanzitutto, da ritenersi adeguatamente motivata rispetto alle doglianze formulate con l’atto di appello, onde è all’evidenza insussistente il dedotto vizio di omessa od apparente motivazione, avuto riguardo al ritenuto difetto di prova sul danno, ove anche si fossero volute ritenere ammissibili le nuove ragioni poste a sostegno della domanda risarcitoria in appello (e, quindi, non configuratasi la denunciata violazione dell’art. 345 c.p.c.).
Inoltre, in primo luogo, non emerge alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la Corte di appello risposto su tutte le censure formulate avverso la sentenza di primo grado.
In secondo luogo non sussiste la prospettata violazione dell’art. 651 c.p.p. e ciò per una duplice ragione:
– la prima discende dalla valutazione che la condanna penale – ricordata in narrativa passata in giudicato (peraltro relativa a solo due dei convenuti-appellati, ovvero a C.A. e G.D.) ha esplicato i suoi effetti soltanto in relazione alle condotte contestate ai coimputati, ovvero con esclusivo riferimento agli interventi accertati come difformi rispetto alla concessione edilizia assentita dal Comune di Trento e alla successiva variante. Da qui consegue l’irrilevanza dell’efficacia di tale sentenza in relazione ai lavori risultati invece legittimamente realizzati (e, quindi, non abusivi), rispetto ai quali era stata, in effetti, indirizzata la domanda relativa alla supposta violazione dell’art. 872 c.c., comma 2, in ordine alla quale, però, l’attuale ricorrente ha allegato nel giudizio di secondo grado la nuova circostanza relativa ad un’asserita perdita di panoramicità del suo hotel rispetto ai lavori non risultati abusivi, in tal senso introducendo in giudizio una nuova “causa petendi” della originaria domanda risarcitoria, come tale da ritenersi incorrente nel divieto dei cc. “nova” in appello;
– la seconda consiste nell’argomento che, oltre ad essere stata riferita la domanda iniziale risarcitoria alla prospettata illiceità dell’intera costruzione della struttura confinante (e non solo di quella parziale, risultata abusiva), la Corte trentina ha giustamente escluso la sussistenza di un vincolo in sede civile della sentenza penale in relazione alla prova, necessariamente da offrire nel separato e conseguente giudizio civile con riferimento alla sua effettiva emergenza (anche in relazione alla sussistenza del nesso causale tra l’evento e il danno), prova che il giudice di appello – come già quello di primo grado – ha, con adeguata motivazione, escluso che fosse stata offerta dall’attuale ricorrente.
Peraltro, con l’impugnata sentenza, è rimasto accertato che mediante la sentenza penale – con la quale era stata, per l’appunto, pronunciata un mera condanna generica al risarcimento del danno – quest’ultimo era stato potenzialmente riferito alla possibile riduzione della clientela dell’Hotel Nevada e alla eventuale presenza di ombra sul “solarium” a mezzogiorno, con l’aggravamento determinato dall’omissione dell’abbassamento della quota di livello del bar a seguito del suo avvicinamento.
Tale danno, però, è stato ritenuto non provato dalla Corte di appello (e già il Tribunale aveva statuito in tal senso) e sarebbe stato indispensabile riscontrarlo propriamente nella sede civile, posto che con la stessa sentenza penale era stato chiarito che solo in tale sede tutte le parti avrebbero potuto liberamente svolgere le proprie argomentazioni, precisare il rispettivo “petitum” e chiedere l’ammissione delle prove necessarie in relazione ai delimitati profili di danno richiesto, secondo il principio dispositivo proprio del giudizio civile.
Al riguardo e tenuto conto dell’impostazione e del contenuto della domanda come originariamente proposta (riferiti alla denunciata violazione degli artt. 871 e 872 c.c. e diretta ad ottenere il risarcimento del danno ai sensi del comma 2 di quest’ultimo articolo), deve porsi in risalto come la giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 24387/2010 e Cass. n. 10362/2018) sia univoca nel ritenere che la realizzazione di opere in violazione di norme recepite dagli strumenti urbanistici locali, diverse da quelle in materia di distanze, non comportano immediato e contestuale danno per i vicini, il cui diritto al risarcimento presuppone l’accertamento di un nesso tra la violazione contestata e l’effettivo pregiudizio subito, con la precisazione che la prova di tale pregiudizio deve essere fornita dagli interessati in modo preciso, con riferimento alla sussistenza del danno ed all’entità dello stesso.
Così si è affermato, altrettanto indiscutibilmente, come la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della probabile esistenza di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, salva restando nel giudizio di liquidazione del “quantum” la possibilità di esclusione della esistenza stessa di un danno collegato eziologicamente all’evento illecito, con la conseguenza che ogni ulteriore affermazione contenuta nella motivazione della sentenza penale inerente alla concreta sussistenza ed all’entità del danno non può attingere alla dignità di giudicato, e non esonera il danneggiato dall’onere della prova della esistenza del nesso di causalità tra l’evento ed il danno in sede di giudizio civile di liquidazione del “quantum” (v., per tutte, Cass. n. 24030/2009 e Cass. n. 4318/2019).
In proposito la Corte di appello ha, nell’impugnata sentenza, preso in esame tutte le contestazioni dedotte dall’appellante, accertando che anche in base alla prospettata applicabilità dell’art. 82 NTA del PRG di Trento, la nuova costruzione contigua a quella dell’attuale ricorrente, assentita originariamente con concessione del 21 aprile 2005, era da qualificarsi come legittima, così come nessuna illegittimità poteva ravvisarsi nella successiva concessione in variante, con la conseguenza che l’illegittimità dedotta dall’Hotel Nevada s.a.s. non riguardava certamente tutto l’edificio ma solo un limitato volume di 49 mc. che avrebbe dovuto essere interrato e che, in effetti, aveva rappresentato l’unica difformità in relazione alla quale era stata adottata la sentenza penale di condanna poi passata in giudicato (e per la quale il Comune di Trento aveva ordinato la demolizione), risultando, nel resto, la costruzione del tutto legittima. Alla stregua di tali presupposti la Corte trentina, sulla deduzione dell’appellante in base alla quale si sarebbero dovute ritenere ricorrenti le condizioni per affermare l’esistenza del danno per effetto dell’illecita costruzione nella sua totalità (e non solo parziale), rimasta invece esclusa, ha rilevato come l’appello non poteva che essere rigettato, aggiungendosi, in ogni caso, che l’odierna ricorrente non aveva dato prova, con valutazione di merito insindacabile nella presente sede – siccome adeguatamente motivata – dell’effettiva sussistenza del preteso danno, peraltro solo patrimoniale (v. pagg. 21-24 della motivazione). In particolare la Corte territoriale ha appurato che l’accertata presenza di un cono d’ombra prospettante sull’Hotel Nevada non era idonea – non essendo stata, comunque, offerta una concreta prova al riguardo – a produrre una diminuzione di clientela per detto Hotel, tale da tradursi in un danno economicamente apprezzabile e quantificabile, così come – sulla base delle documentate conclusioni del c.t.u. – non si era venuta a verificare alcuna rilevante mancanza di panoramicità da imputarsi alla nuova costruzione della Baita Vason, essendo rimasto riscontrato che un tale effetto non poteva essere ricondotto al minimo volume edificato illegittimamente (fermo restando che per il resto la costruzione aveva rispettato le prescrizioni urbanistiche previste), poiché l’edificio adibito ad Hotel dell’appellante risultava già ubicato in una zona posta ad un livello più basso ed era fronteggiato da una collinetta.
4. In definitiva, sulla scorta delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio – liquidate nei sensi di cui in dispositivo in favore delle parti controricorrenti distintamente ed in considerazione delle differenti attività processuali dalle stesse compiute.
Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della stessa ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate, in favore del controricorrente G.D., in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge, nonché in favore degli altri controricorrenti, in solido, in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021
Codice Civile > Articolo 112 - Rifiuto della celebrazione | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 871 - Norme di edilizia e di ornato pubblico | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 872 - Violazione delle norme di edilizia | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 345 - Domande ed eccezioni nuove | Codice Procedura Civile