Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.33110 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3615/2017 proposto da:

D.F.A.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARCO ROTUNNO, per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

IMMOBILIARE MEG S.A.S. DI C.G. & C., rappresentato e difeso dall’Avvocato FRANCESCO MAINETTI, e dall’Avvocato PAOLO GIOVANNI BERNARDINI, per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4416/2016 della CORTE D’APPELLO DI MILANO, depositata il 28/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza non partecipata del 14/7/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

FATTI DI CAUSA

1. La Immobiliare MEG s.a.s., con ricorso ai sensi dell’art. 703 c.p.c., in qualità di proprietaria dell’immobile destinato a fabbricato artigianale in *****, ha chiesto al tribunale la condanna di D.F.A.G., comproprietario dell’analogo complesso immobiliare sito al confinante n. *****, alla eliminazione delle opere realizzate dallo stesso, a partire dal mese di maggio del 2010, in violazione della disciplina in materia di distanze e di apertura di vedute.

La ricorrente, in particolare, ha lamentato che la parte anteriore del fabbricato del D.F. era stata sopraelevata, con una nuova edificazione, di oltre 1,5 m. rispetto all’originaria struttura e la parte posteriore di 80 cm., e che l’edificio di nuova realizzazione era stato esteso in senso orizzontale verso il confine con l’immobile della ricorrente in violazione delle norme sulle distanze prescritte dall’art. 873 c.c. e dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 e dell’art. 27 del regolamento edilizio del Comune di Milano.

La società istante, infine, ha lamentato che il D.F., con la propria edificazione, aveva oscurato le luci poste in alto sulla parete confinante dell’immobile della stessa e che aveva realizzato una nuova soletta e balconi, creando vedute dirette sul fondo del vicino a distanza inferiore a 1,5 m. in violazione degli artt. 904 e 905 c.c..

2. Il tribunale ha pronunciato ordinanza di reintegrazione nel possesso in favore della ricorrente ed, all’esito della fase di merito, ha, tra l’altro, confermato la condanna del D.F. alla reintegrazione della Immobiliare MEG nel possesso del proprio immobile, mediante la realizzazione degli interventi indicati nella relazione del consulente tecnico d’ufficio, nonché mediante l’apposizione di barriere porsi alla distanza di 1,5 mt. dal confine, sui balconi ai piani superiori al primo, su lastrico solare posteriore e sul piano terzo.

3. D.F.A.G. ha proposto appello al quale ha resistito la società istante, chiedendone il rigetto.

4. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello ed ha, per l’effetto, confermato la sentenza impugnata.

La corte, in particolare, ha ritenuto che la sopraelevazione operata dal D.F. del lastrico solare degli edifici identificati con le lettere “D” e “C” nelle planimetrie allegate alla consulenza tecnica d’ufficio e la costruzione da parte dello stesso di nuovi balconi avevano determinato la violazione delle norme sulle distanze tra gli edifici previste dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9.

5. D.F.A.G., con ricorso notificato il 31/1/2017, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente notificata il 2/12/2016.

La Immobiliare MEG s.a.s. ha resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha considerato il fatto determinate ai fini della decisione, e cioè che il D.F., in sede di intervento sull’immobile, aveva mantenuto i muri di confine già esistenti, per cui la nuova costruzione realizzata dallo stesso doveva identificarsi solo con la parte sopraelevata rispetto alla costruzione originaria.

6.2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha considerato che la condanna del D.F. a reintegrare la Immobiliare MEG nel possesso mediante l’arretramento dei confini in aderenza per la parte eccedente i cinque metri di altezza, avrebbe comportato la demolizione di una parte del fabbricato che era già esistente prima dell’intervento edilizio del D.F..

7. Ritiene la Corte che la sentenza impugnata debba essere cassata con rinvio, a norma dell’art. 383 c.c., comma 3, al giudice di primo grado.

7.1. Le Sezioni Unite di questa Corte, invero, hanno ritenuto che, in tema di tutela possessoria, qualora la reintegrazione o la manutenzione del possesso richieda, per il ripristino dello stato dei luoghi, la demolizione di un’opera in proprietà o possesso di più persone, il comproprietario o compossessore non autore dello spoglio è litisconsorte necessario non solo quando egli, nella disponibilità materiale o solo in iure del bene su cui debba incidere l’attività ripristinatoria, abbia manifestato adesione alla condotta già tenuta dall’autore dello spoglio o abbia rifiutato di adoperarsi per l’eliminazione degli effetti dell’illecito, ovvero, al contrario, abbia dichiarato la disponibilità all’attività di ripristino, ma anche nell’ipotesi in cui colui che agisca a tutela del suo possesso ignori la situazione di compossesso o di comproprietà, perché in tutte queste fattispecie anche il compossessore o comproprietario non autore della condotta di spoglio è destinatario del provvedimento di tutela ripristinatoria (Cass. SU n. 1238 del 2015).

7.2. Del resto, e più in generale, l’azione diretta alla demolizione di un bene comune a più persone, dovendo necessariamente essere proposta nei confronti di tutte, dà vita, ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario, con la conseguenza che, ove, nel giudizio di primo grado, sia mancata l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli interessati non citati a comparire, il giudice di appello è tenuto a rimettere la causa al primo giudice a norma dell’art. 354 c.p.c., per la riassunzione del giudizio nei confronti di costoro (Cass. n. 23564 del 2019; Cass. n. 5603 del 2001; Cass. n. 1158 del 1999).

7.3. Nel caso in esame, è del tutto pacifico tra le parti del giudizio che il D.F. sia non già il proprietario esclusivo ma il comproprietario degli immobili asseritamente edificati in violazione delle distanze così come previste dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 (v., in tal senso, il ricorso, p. 1 e la memoria del ricorrente, p. 1 e 3, nonché il controricorso, nel quale la società resistente ha espressamente affermato che il D.F. è il “mero comproprietario dei beni immobili in contestazione”).

7.4. Il tribunale, quindi, non poteva condannarlo alla reintegrazione della società istante nel possesso mediante la sia pur parziale demolizione degli edifici realizzati senza previamente disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei comproprietari pretermessi, così come la corte d’appello non poteva confermare tale sentenza senza aver preliminarmente rimesso la causa al primo giudice a norma dell’art. 354 c.p.c., per la riassunzione del giudizio nei confronti di costoro.

7.5. Peraltro, il vizio della mancata integrazione del contraddittorio è rilevabile, d’ufficio in ogni stato e grado del processo, anche in sede di legittimità (Cass. n. 4665 del 2021, per cui, quando risulta integrata la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata né dal giudice di primo grado, che non ha disposto l’integrazione del contraddittorio, né da quello di appello, che non ha provveduto a rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 1, resta viziato l’intero processo e s’impone, in sede di giudizio di cassazione, l’annullamento, anche d’ufficio, delle pronunce emesse ed il conseguente rinvio della causa al giudice di prime cure, a norma dell’art. 383 c.p.c., comma 3).

8. La sentenza impugnata dev’essere, quindi, cassata.

9. La causa, previa dichiarazione della nullità degli atti del giudizio di primo grado, dev’essere, quindi, rinviata, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3, al tribunale di Milano che, in persona di diverso magistrato, provvederà anche liquidare e spese relative al presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: cassa la sentenza impugnata; dichiara la nullità degli atti del giudizio di primo grado e rinvia la causa, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3, al tribunale di Milano che, in persona di diverso magistrato, provvederà anche liquidare e spese relative al presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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