Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.33112 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34307/2018 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SISTINA n. 121, presso lo studio dell’avvocato GIACOMO MAURIELLO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DI ROMA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 326/2018 del TRIBUNALE di CIVITAVECCHIA, depositata il 20/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/07/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato il 23.6.2010 S.G. proponeva opposizione al Prefetto della Provincia di Roma avverso un verbale di contestazione di violazione all’art. 142 C.d.S., comma 7, elevato nei suoi confronti mediante apparecchiatura elettronica “Traffiphot III”.

Con ordinanza notificata il 26.10.2010 il ricorso veniva rigettato e veniva ingiunto alla S. il pagamento della somma di Euro 94,00 di cui Euro 76,00 a titolo di sanzione ed Euro 18 per spese di notificazione.

Detta ordinanza veniva opposta con ricorso inviato al Giudice di Pace di Civitavecchia in data 25.11.2010 e ricevuto dalla cancelleria dell’ufficio in data 26.11.2010.

Con sentenza n. 204/2012, pubblicata il 17.2.2021, il Giudice di Pace rigettava il ricorso, senza che alla S. fosse stata notificata la copia del ricorso unitamente al provvedimento di fissazione dell’udienza di comparizione e discussione dello stesso.

Con atto di citazione notificato il 9.11.2012 la S. interponeva appello avverso la predetta decisione di primo grado.

Con la sentenza impugnata, n. 326/2018, emessa nella resistenza del Comune di Santa Marinella, costituitosi in seconde cure per conto della Prefettura della Provincia di Roma, il Tribunale di Civitavecchia dichiarava inammissibile l’appello perché proposto dopo la scadenza del termine di cui all’art. 327 c.p.c..

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione S.G., affidandosi a tre motivi.

Il Prefetto della Provincia di Roma, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale, con allegata documentazione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità dei documenti prodotti dalla parte ricorrente unitamente alla memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale, rappresentati dalla copia dell’atto di appello a suo tempo notificato avverso la sentenza di primo grado e dalla copia di una “schermata servizio on line Giudice di Pace di Civitavecchia relativa al ricorso R.G. n. 2397/2010” (cfr. pag. 7 della memoria). Detti documenti, invero, non attengono al profilo dell’ammissibilità del ricorso, né – in ogni caso – risulta rispettato l’adempimento di cui all’art. 372 c.p.c., comma 2.

Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo di essi la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 327,133,136 c.p.c., L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 204 e 205, L. n. 120 del 2010, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il Tribunale avrebbe dovuto considerare che la proposizione dell’appello dopo la scadenza del termine di cui all’art. 327 c.p.c., era stata causata dalla mancata notificazione, da parte della cancelleria del Giudice di Pace, del ricorso con il provvedimento di fissazione dell’udienza. Ad avviso della ricorrente, ciò avrebbe dovuto comportare l’ammissibilità dell’appello, pur proposto tardivamente, poiché la cancelleria avrebbe dovuto assicurare la notificazione ad ambo le parti – e quindi anche alla parte ricorrente – del ricorso con il provvedimento di fissazione dell’udienza, utilizzando anche la casella di posta elettronica certificata indicata dall’avvocato nel ricorso introduttivo.

La censura è infondata.

Questa Corte ha da tempo affermato il principio secondo cui “Ai fini dell’applicabilità dell’art. 327 c.p.c., comma 2, in base al quale il termine annuale di decadenza dalla facoltà di proporre impugnazione non si applica quando la parte contumace dimostri di non aver avuto conoscenza del processo, costituisce condizione essenziale che la parte contumace sia rimasta tale perché, a causa del contenuto della citazione, del ricorso o della loro notificazione, non è stata messa in grado di prendere parte al giudizio, mentre non si applica quando la parte, messa in grado di partecipare al giudizio o comunque costituitasi, rimane poi assente per vizi di svolgimento dello stesso” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8245 del 24/05/2003, Rv. 563532; conf. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6375 del 22/03/2006, Rv. 588298; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12761 del 10/06/2011, Rv. 618471; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23323 del 15/10/2013, Rv. 629486; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9330 del 11/04/2017, Rv. 644708; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14746 del 13/06/2017, Rv. 644592).

Esiste invero una sostanziale differenza tra la posizione della parte contumace, che in assenza di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio ignora senza colpa l’esistenza del processo in cui è coinvolta, e quella della parte attrice, o ricorrente, che avendo dato corso al giudizio è evidentemente edotta circa la pendenza dello stesso e non può legittimamente invocare alcun profilo di ignoranza incolpevole, poiché rientra nei suoi doveri di diligenza quello di attivarsi per reperire, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, le informazioni circa lo stato del procedimento che, eventualmente, non gli siano state tempestivamente o ritualmente trasmesse.

A ciò si deve aggiungere che, nel caso di specie, la stessa ricorrente deduce, nella parte in fatto del ricorso, di aver ricevuto, per la medesima violazione al C.d.S., altri 37 verbali, tutti emessi nel periodo corrente tra gennaio e marzo del 2010 (cfr. pag. 3) e di averli tutti impugnati, radicando altrettanti procedimenti innanzi il Giudice di Pace di Civitavecchia. La ricorrente deduce altresì di aver “informalmente conosciuto la data dell’udienza fissata per il 13/1/2012” e di aver presentato istanza di riunione di tutti i vari giudizi, incluso quello oggetto del presente ricorso, al coordinatore dell’ufficio (cfr. pag. 4). Quest’ultima circostanza, confermata anche nello svolgimento del primo motivo (cfr. pag. 8) dimostra che, in concreto, la ricorrente era pienamente consapevole della data di udienza, onde la sua scelta di non comparire in quella sede non appare in alcun modo giustificabile.

Nello svolgimento in fatto la parte ricorrente deduce anche che all’udienza dinanzi il Giudice di Pace non era comparsa neppure l’autorità opposta (cfr. pag. 4), ma la circostanza, in ogni caso non ripresa nei tre motivi di censura proposti dalla S., non risulta in alcun modo dimostrata. Sul punto si configura, quindi, un profilo di carenza di specificità dell’allegazione, posto il principio per cui la parte non può limitarsi alla deduzione di una censura processuale, ma deve anche indicarne gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” che viene dedotto, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 20181 del 25/07/2019, Rv. 654876; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2771 del 02/02/2017, Rv. 643715 e Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1170 del 23/01/2004, Rv. 569603).

Con il terzo motivo, che per ragioni logiche merita di essere esaminato subito dopo il primo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 176 e 183 c.p.c. e la falsa applicazione della L. n. 183 del 2011, art. 25, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, perché sia il decreto di fissazione dell’udienza, sia la sentenza conclusiva del giudizio di prime cure avrebbero dovuto essere comunicate al difensore al suo indirizzo di posta elettronica certificata, che era stato indicato nel ricorso introduttivo del giudizio di prima istanza.

La censura è infondata.

Innanzitutto vanno ribadite le argomentazioni già esposte in occasione della confutazione del primo motivo, alla luce delle quali la parte ricorrente, non avendo ricevuto dalla cancelleria del Giudice di Pace la notificazione del ricorso con il provvedimento di fissazione dell’udienza, aveva comunque l’onere di attivarsi; cosa che, peraltro, risulta aver fatto, posto che essa stessa deduce, come già visto, di aver avuto comunque conoscenza informale della data di udienza.

Inoltre, anche a prescindere da qualsiasi considerazione in relazione alla scelta della S. di non comparire in udienza, va osservato che la stessa, alla luce del principio generale di diligenza processuale, era comunque onerata, anche in mancanza di comunicazione da parte della cancelleria, di svolgere periodici controlli presso l’ufficio del Giudice di Pace per verificare se la decisione fosse stata depositata.

Ne’ può essere invocata, come fatto giustificativo, la circostanza che nel ricorso fosse stata indicata la casella di posta elettronica certificata dell’avvocato della parte ricorrente.

Sul punto, questa Corte ha affermato che “Il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82 – secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita – trova applicazione in ogni caso di esercizio dell’attività forense fuori del circondario di assegnazione dell’avvocato, come derivante dall’iscrizione al relativo ordine professionale, e, quindi, anche nel caso in cui il giudizio sia in corso innanzi alla corte d’appello e l’avvocato risulti essere iscritto all’ordine di un tribunale diverso da quello nella cui circoscrizione ricade la sede della corte d’appello, ancorché appartenente allo stesso distretto di quest’ultima. Tuttavia, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 c.p.c., apportate dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 25, esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione “ex lege” presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria, innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 c.p.c., per gli atti di parte e dall’art. 366 c.p.c., specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 10143 del 20/06/2012, Rv. 622883; conf. Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21335 del 14/09/2017, Rv. 645702; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 28374 del 28/11/2017, Rv. 646322).

Il discrimine temporale per poter invocare l’applicazione del “nuovo” regime di notificazioni e comunicazioni previsto per il cd. “processo telematico”, è quello indicato della L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 25, comma 5 e u.c., secondo il quale “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”, a sua volta fissata dall’art. 36 nella data del 1.1.2012. Nel caso di specie, il giudizio innanzi il Giudice di Pace è stato introdotto con atto depositato il 23.6.2010 (cfr. pag. 3 del ricorso), ragion per cui la ricorrente non poteva invocare, in relazione alla notificazione del ricorso e del provvedimento di fissazione dell’udienza, la normativa, successivamente introdotta, concernente l’obbligo di eseguire le notificazioni in forma telematica presso il cd. domicilio digitale del procuratore.

Ancora oggi, peraltro, il sistema informativo dei Giudici di Pace non prevede la completa interoperabilità con i sistemi del Ministero della Giustizia e con quelli di altre Pubbliche Amministrazioni e non è integrato nell’infrastruttura del processo civile telematico né con i sistemi informativi operanti presso gli altri uffici giudiziari, con conseguente impossibilità di assicurare l’efficace interrelazione tra i vari soggetti coinvolti nel processo mediante gli strumenti di comunicazione digitale già in uso presso gli altri uffici di merito. A tal riguardo, va altresì osservato che la censura in esame non specifica neppure che l’indirizzo di posta elettronica certificata fosse stato espressamente indicato, nel ricorso introduttivo del giudizio, come esclusivo, ai fini delle notificazioni e comunicazioni inerenti il giudizio, il che – nella pacifica assenza di elezione di domicilio nella circoscrizione dell’ufficio giudiziario dinanzi al quale pende il giudizio e nel richiamato contesto di non adeguata digitalizzazione dei sistemi di trasmissione esistenti presso gli uffici dei Giudici di Pace – legittima l’esecuzione delle comunicazioni e notificazioni presso la cancelleria dell’ufficio stesso, in aderenza al criterio generale di cui al R.D. n. 37 del 1934, art. 82.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta infine la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 205 e della L. n. 120 del 2010, art. 30, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Prefettura non avrebbe potuto farsi rappresentare da un funzionario innanzi il Tribunale.

La censura è assorbita dal rigetto del primo e del terzo motivo di ricorso, poiché in ogni caso risulta confermata la tardiva introduzione del giudizio di seconde cure, e dunque la sua inammissibilità.

In definitiva, vanno rigettati il primo e terzo motivo di ricorso e va dichiarato assorbito il secondo.

Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta primo e terzo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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