LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5796/2018 proposto da:
P.A., A.C., A.A., AC.AN., tutti nella qualità di eredi di A.P., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO RICCARDI;
– ricorrenti –
contro
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. STOPPANI 34, presso lo studio dell’avvocato CARLO MOLAIOLI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1370/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/02/2017 R.G.N. 3263/2011;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/06/2021 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO.
RILEVATO
Che:
La Corte d’appello di Napoli, in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda avanzata da A.P., dipendente di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di alcune malattie, con conseguente diritto alla corresponsione dell’equo indennizzo;
la Corte territoriale, dopo aver disposto nuova consulenza tecnica, aderente alle conclusioni della prima, confermava la sentenza di primo grado in punto di riconducibilità all’attività lavorativa delle lamentate patologie;
quanto alla domanda per la corresponsione dell’equo indennizzo, aderiva alla tesi della società secondo la quale, a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle ferrovie (iniziata con la L. 17 maggio 1985, n. 210, proseguita con la trasformazione di Ente Ferrovie dello Stato in società per azioni e completata con il contratto collettivo 16 aprile 2003) non residuava alcuna continuità per l’istituto dell’equo indennizzo, con la conseguenza che non poteva ipotizzarsi che A. vantasse il diritto a vedere esaminata la domanda amministrativa, poiché al momento in cui era intervenuto il contratto collettivo che ha soppresso l’istituto dell’equo indennizzo l’unica domanda amministrativa proposta era quella per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della malattia, datata *****, mentre la domanda giudiziale per il riconoscimento dell’equo indennizzo era stata proposta successivamente, il 30/3/2004;
avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi di A.P. con tre motivi, illustrati con memoria;
ha resistito RFI S.p.A. con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, dell’art. 15 preleggi, facendo valere la data di proposizione della domanda amministrativa di riconoscimento della dipendenza della malattia da causa di servizio;
con il secondo motivo deducono violazione o falsa applicazione di norme, in particolare del D.M. 12 luglio 1983, n. 1622 del CCNL delle attività ferroviarie del 16/4/03 e dell’art. 2077 c.c., osservando che A.P. aveva domandato il riconoscimento della causa di servizio delle infermità lamentate il ***** e, pertanto, era con riferimento a tale data che doveva essere individuata la disciplina applicabile ratione temporis, che era quella del citato D.M.;
con il terzo motivo deducono violazione e falsa applicazione di norme e, in particolare, del D.M. 2 luglio 1983, n. 1622, osservando di aver presentato la domanda di equo indennizzo, come prescritto dall’art. 4 del citato D.M., entro sei mesi dalla comunicazione della dichiarazione di dipendenza delle infermità da causa di servizio e, pertanto, non poteva sostenersi l’inammissibilità della domanda di concessione dell’equo indennizzo sulla base di una non dimostrata tardività;
con il controricorso la società deduce l’inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., oltre all’inammissibilità (improcedibilità) ex art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, per non avere parte ricorrente trascritto le norme contrattuali sulle quali fonda il proprio convincimento;
occorre preliminarmente rilevare che non si discute in questa sede dell’interpretazione del CCNL 6.4.2003 per il personale del settore delle attività ferroviarie e dell’Accordo aziendale di confluenza sottoscritto in pari data dalle organizzazioni sindacali e dalle società del Gruppo FS, essendo oggetto di censura il solo capo della decisione relativo alla inopponibilità dell’intervenuta abrogazione dell’istituto dell’equo indennizzo ai dipendenti che, avendo subito una lesione dell’integrità fisica, alla data di entrata in vigore del nuovo CCNL avevano già inoltrato domanda volta ad ottenere il riconoscimento della causa di servizio, essendo la Corte chiamata unicamente a pronunciare sugli effetti dell’eventuale abrogazione dell’istituto rispetto ai procedimenti già pendenti, e, quindi, su un tema che presuppone l’individuazione degli elementi costitutivi del diritto all’equo indennizzo;
così circoscritto il thema decidendum, risulta evidente la infondatezza delle eccezioni di inammissibilità ed improcedibilità del ricorso sollevate dal controricorrente, perché gli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, di specificazione della clausola contrattuale e di deposito dell’intero testo del CCNL, operano solo in relazione ai ricorsi fondati sulle disposizioni del contratto, delle quali viene denunciata ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o l’errata interpretazione;
in ordine alle altre censure, da esaminare congiuntamente, va premesso che “la contrattazione collettiva non può incidere, in relazione alla regola dell’intangibilità dei diritti quesiti, in senso peggiorativo su posizioni già consolidate o su diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori in assenza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte degli stessi, ma solo su diritti del singolo lavoratore non ancora acquisiti” (Cass. 1.7.2014 n. 14944); ne discende che nel caso di specie la asserita abrogazione dell’equo indennizzo, desunta dall’assenza nel CCNL 2003 di qualsiasi richiamo all’istituto (richiamo contenuto invece nel CCNL 6.2.1998), non può spiegare effetti in base al principio secondo cui “In tema di equo indennizzo per i pubblici dipendenti, il diritto alla prestazione sorge quando si verifica la stabilizzazione della malattia lamentata, ossia nel momento nel quale risultano realizzati gli elementi costitutivi della fattispecie (nesso causale fra attività lavorativa e infermità e fra quest’ultima e la lesione permanente dell’integrità psico-fisica), sicché la normativa applicabile al procedimento di liquidazione è quella vigente in tale data, e non in quella successiva in cui il diritto stesso venga accertato in sede amministrativa” (Cass. n. 675 del 12/01/2018);
nel caso in disamina non vi è dubbio riguardo alla non assoggettabilità della fattispecie alla nuova disciplina collettiva, poiché risultano anteriori alla medesima non solo gli elementi costitutivi della fattispecie della dipendenza della causa di servizio ma anche la proposizione della domanda amministrativa per il riconoscimento di detta dipendenza, datata *****;
conseguentemente deve ritenersi che al momento dell’intervento del richiamato contratto collettivo del 16 aprile 2003 il diritto di cui si discute era già entrato nel patrimonio del dipendente e sullo stesso non poteva incidere, per il principio richiamato in premessa, la contrattazione collettiva intervenuta nelle more del procedimento;
in base alle svolte argomentazioni il ricorso va accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, che farà applicazione dei principi di diritto infra enunciati, provvedendo anche alle spese del giudizio di legittimità; in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 9 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021
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