Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.33127 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9643/2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO, VINCENZO TRIOLO;

– ricorrente –

contro

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 167, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO MARIA GIORGI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10308/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/04/2014 R.G.N. 10224/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/05/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’

Stefano, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 10308 del 2013, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda svolta da F.F., dipendente della s.r.l. ***** dichiarata fallita, nel maggio 2006, senza autorizzazione all’esercizio provvisorio d’impresa, per il riconoscimento del diritto al trattamento di integrazione salariale straordinario, L. n. 233 del 1991, ex art. 3, per il periodo 25 maggio 2006-24 maggio 2007 e al trattamento economico di mobilità spettante a seguito della collocazione in mobilità, per la durata di mesi 12 dal 25 maggio 2007, con condanna dell’INPS all’erogazione delle relative prestazioni.

2. La Corte territoriale, premesso che l’autorizzazione al trattamento di integrazione salariale in favore del fallimento della s.r.l. *****, richiesta dal curatore, dapprima concessa veniva annullata con successivo decreto antecedente alla data del deposito del ricorso introduttivo, ha riconosciuto la legittimazione di F. all’azione, nei confronti dell’INPS, per il danno direttamente subito nella sfera patrimoniale, per la mancata applicazione del decreto autorizzativo e a tutela del diritto di credito derivatone, e ha accolto la domanda sul presupposto che l’attività svolta dall’ex datore di lavoro, la s.r.l. *****, fosse di natura industriale e, come tale, rientrante nel novero delle imprese destinatarie del trattamento straordinario di integrazione salariale e del conseguente connesso trattamento di mobilità, argomentando, quanto alla natura industriale, sulla scorta dei criteri desumibili dall’art. 2195 c.c., n. 1; ha, inoltre, ritenuto fondata la domanda per il trattamento economico di mobilità (L. n. 223 del 1991, art. 7), trattandosi di diritto riconosciuto, al termine del periodo di cassa integrazione, ai lavoratori collocati in mobilità da imprese ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale.

3. Avverso tale sentenza l’INPS propone ricorso, affidato a tre motivi, ulteriormente illustrato con memoria, al quale resiste F.F., con controricorso.

4. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo si deduce violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 3, 7, L. n. 164 del 1975, artt. 1,10, L. n. 2248 del 1865, art. 5 e si assume che una volta annullato, con D.Dirett. Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale 5 dicembre 2007, n. 42224, il precedente decreto direttoriale di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale in favore del fallimento della ***** s.r.l., il dipendente della società non poteva vantare alcun diritto soggettivo a ottenere la prestazione richiesta poiché non sussisteva alcun titolo per pretenderne la corresponsione essendo già venuto meno, in via amministrativa, il presupposto della stessa e considerata l’efficacia costitutiva del rapporto previdenziale della predetta ammissione al trattamento straordinario di integrazione salariale.

6. Con il secondo motivo si deduce difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 37 c.p.c. e in relazione alle norme indicate sub primo motivo, ove l’azione intrapresa dovesse ritenersi diretta a contestare la legittimità del provvedimento direttoriale di annullamento del precedente provvedimento di ammissione del datore di lavoro al trattamento straordinario di integrazione salariale.

7. Con il terzo motivo si deduce, infine, violazione di plurime disposizioni di legge, per avere la Corte territoriale inquadrato la società nel novero delle aziende industriali, così sommando detto inquadramento al diverso inquadramento della società, ai fini previdenziali e assistenziali, nel settore terziario, per poi riconoscere al lavoratore il diritto alle prestazioni pretese.

8. Il primo motivo è da accogliere.

9. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte in materia di integrazione salariale, ordinaria o straordinaria, la pubblica amministrazione competente è attributaria, siccome investita dalle norme del compito di effettuare valutazioni di natura discrezionale, del potere autoritativo di ammissione al beneficio, in relazione al cui esercizio sono configurabili, di conseguenza, situazioni di interesse legittimo dei richiedenti tutelabili in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, mentre soltanto dal provvedimento favorevole nascono rapporti giuridici e diritti soggettivi tutelabili in sede di giurisdizione ordinaria, diritti, peraltro, esposti alla vicenda di affievolimento derivante dall’eventuale esercizio dei poteri di autotutela (annullamento e revoca) aventi ad oggetto il provvedimento amministrativo di ammissione (v., per tutte, Cass., Sez. Un. 5462 del 2009 ed ivi ulteriori precedenti).

10. Evidentemente, la qualificazione in termini di procedimento amministrativo autoritativo destinato a concludersi con un provvedimento costitutivo dell’obbligazione, ovvero che ne nega la nascita con effetti parimenti innovativi della precedente situazione giuridica, comporta che la situazione giuridica soggettiva del richiedente assuma la consistenza dell’interesse legittimo con riferimento al complessivo episodio di esercizio del potere, senza che sia possibile operare distinzioni tra momenti discrezionali e momenti vincolati del procedimento stesso, normalmente compresenti nello svolgimento dell’attività autoritativa (che, tra l’altro, si caratterizza per l’effetto costitutivo, introduttivo cioè di un quid novi nella situazione giuridica pregressa, non per il potere di apprezzamento discrezionale, che potrebbe anche mancare) (ancora Cass. n. 5462 del 2009 cit.).

11. Tale orientamento non sarebbe applicabile, secondo la tesi propugnata dal lavoratore, al trattamento di integrazione salariale straordinaria previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 3, comma 1, che, nel testo vigente ratione temporis (prima delle modifiche introdotte dalla L. n. 92 del 2012), disponeva, per quel che qui rileva, che ai lavoratori delle imprese soggette alla disciplina della c.i.g.s. dichiarate fallite e che avevano cessato l’attività produttiva era concesso, a domanda del curatore, il trattamento di integrazione salariale straordinario.

12. Lo snodo della tesi difensiva e argomentativa del lavoratore risiede nella peculiarità del trattamento di integrazione salariale straordinaria i cui presupposti esclusivi sarebbero costituiti dall’apertura del fallimento, dalla cessazione dell’attività e dalla domanda del curatore: in altri termini, il trattamento di c.i.g.s. conseguirebbe al verificarsi dell’evento (fallimento e cessazione dell’attività), senza margini di apprezzamento da parte dell’autorità amministrativa.

13. Inoltre, ancora nell’ottica interpretativa suggerita dal lavoratore, nella peculiare ipotesi, come nella specie, del lavoratore dipendente da impresa dichiarata fallita senza autorizzazione alla continuazione dell’esercizio d’impresa, il decreto di ammissione alla c.i.g.s., di cui al citato art. 3, comma 1, richiesto dal curatore fallimentare, avrebbe le caratteristiche di un provvedimento dovuto, automatico, avulso da scelte discrezionali di governo dell’economia, conformemente a quanto evidenziato dalla Corte Costituzionale nell’ordinanza n. 18 del 2001 secondo cui, mentre l’intervento straordinario di integrazione salariale di cui alla L. n. 223 cit., art. 3, è di automatica applicazione, ed è diretto a sostenere il reddito del lavoratore, l’intervento di cui all’art. 1 della stessa Legge, previsto per il caso di approvazione ministeriale del piano per le imprese in crisi indicato nel comma 2, è invece predisposto soprattutto (anche se non esclusivamente) a favore dell’impresa ed è discrezionalmente concedibile a seguito d’un esame, da parte del deputato organo amministrativo, del relativo piano aziendale.

14. In altri termini, secondo tale prospettazione, il curatore indica, nella domanda al Ministero, la durata del periodo in relazione al quale il trattamento di cassa viene richiesto e al ministero non resta che verificare che la richiesta attenga a periodo non superiore a 12 mesi, il che non implica alcun esercizio discrezionale o attività provvedimentale ma riveste carattere meramente ricognitivo (come altre attività affidate alla PA), con la necessaria conseguenza che la posizione giuridica dei lavoratori destinatari di quello specifico e automatico trattamento di integrazione salariale previsto dell’art. 3, comma 1, è di diritto soggettivo sin dall’origine.

15. Tale tesi non è condivisibile.

16. La L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 3, applicabile ratione temporis, dispone: “1. Il trattamento straordinario di integrazione salariale è concesso, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, ai lavoratori delle imprese soggette alla disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale, nei casi di dichiarazione di fallimento, (di omologazione del concordato preventivo consistente nella cessione dei beni,) di emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, qualora la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata. Il trattamento straordinario di integrazione salariale è altresì concesso nel caso di ammissione al concordato preventivo consistente nella cessione dei beni. In caso di mancata omologazione, il periodo di integrazione salariale fruito dai lavoratori sarà detratto da quello previsto nel caso di dichiarazione di fallimento. Il trattamento viene concesso, su domanda del curatore, del liquidatore o del commissario, per un periodo non superiore a dodici mesi. 2. Entro il termine di scadenza del periodo di cui al comma 1, quando sussistano fondate prospettive di continuazione o ripresa dell’attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione tramite la cessione, a qualunque titolo, dell’azienda o di sue parti, il trattamento straordinario di integrazione salariale può essere prorogato, su domanda del curatore, del liquidatore o del commissario, previo accertamento da parte del CIPI, per un ulteriore periodo non superiore a sei mesi. La domanda deve essere corredata da una relazione, approvata dal giudice delegato o dall’autorità che esercita il controllo, sulle prospettive di cessione dell’azienda o di sue parti e sui riflessi della cessione sull’occupazione aziendale”.

17. Nonostante la formulazione del citato art. 3, comma 1, non includa espressamente, tra i presupposti di accesso al trattamento di integrazione salariale straordinaria, l’esistenza di prospettive di continuazione o ripresa, diretta o indiretta, dell’attività produttiva e conseguente salvaguardia, anche parziale, dei livelli occupazionali – come invece espressamente previsto per il provvedimento di proroga del trattamento dal comma 2 – e nonostante il trattamento di cui al comma 1 sia stato impiegato, nel tempo, con finalità assistenziali più che previdenziali, tanto da indurre il Legislatore del 2012 a modificarne il testo, il dettato normativo non prevede alcun automatismo nell’ammissione al trattamento, connota come “facoltà”, e non “obbligo”, la presentazione della relativa domanda da parte del curatore.

18. La stessa previsione della presentazione della domanda, da parte del curatore, orienta l’interprete nel ritenere implicato, nell’ammissione al trattamento, un margine di apprezzamento dell’Amministrazione in ordine alla sua utilità in vista o in funzione della continuazione o della ripresa dell’attività produttiva e della salvaguardia dei livelli occupazionali.

19. D’altro canto, sarebbe singolare che l’art. 3, prevedesse una causale per la proroga del trattamento e nessuna causale per l’ammissione al trattamento.

20. La diversa formulazione, nei commi 1 e 2, si può probabilmente spiegare con il fatto che nel richiedere la proroga gli organi della procedura concorsuale hanno avuto tempo e modo di verificare, in concreto, la possibilità di continuazione o ripresa dell’attività, laddove, cessata l’attività, tale valutazione è possibile solo in astratto, in via quasi ipotetica.

21. Inoltre, la possibilità di chiedere l’intervento straordinario per un periodo inferiore all’anno, implicando una valutazione circa i tempi necessari per esaminare la possibilità di conservazione del complesso aziendale, si palesa in contraddizione logica con la pretesa automaticità.

22. Per dare luogo, del resto, ad una procedura connotata dall’automaticità, sarebbe stato facile per il legislatore formulare altrimenti il disposto con una netta affermazione del diritto dei lavoratori all’intervento, condizionato al solo presupposto dell’inattività aziendale, con obbligo per la PA di concedere l’integrazione salariale straordinaria per un periodo non superiore all’anno, con uno spazio valutativo limitato al periodo necessario di riflessione.

23. D’altro canto, dell’art. 3, comma 3, in ordine alla possibilità di chiudere la vicenda o con la collocazione in mobilità o col licenziamento collettivo, è formulato del tutto autonomamente, senza alcun formale aggancio con le precedenti previsioni; non dice che alla risoluzione dei rapporti di lavoro può darsi corso solo constatando l’esito negativo della proroga prevista nel comma 2, o dopo la fine dell’intervento straordinario ai sensi del comma 1, il che vuol dire, a contrario, che, secondo libere valutazioni degli organi fallimentari, alla soluzione “finale”, come rilevato da autorevole dottrina, può farsi ricorso sempre e, dunque, anche in prima battuta, senza richiedere l’intervento di cui al comma 1, ed ulteriormente.

24. L’ammissione al trattamento del quale si controverte non e’, dunque, una scelta obbligata dell’Amministrazione, priva di alcun margine di discrezionalità, così da farne un unicum nel sistema della cassa integrazione.

25. Conseguentemente, se il provvedimento di ammissione al trattamento straordinario di integrazione salariale ha efficacia costitutiva del rapporto previdenziale, l’annullamento del provvedimento di ammissione fa venire meno il titolo per poter costituire il rapporto previdenziale e pretendere la prestazione.

26. Escluso, in radice, il rapporto previdenziale, rimane assorbita ogni ulteriore censura.

27. La sentenza impugnata, che non si è uniformata al predetto principio, va pertanto cassata e, per non essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto dell’originaria domanda.

28. La peculiarità della questione trattata, sulla quale non constano precedenti di legittimità, consiglia la compensazione delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda. Spese compensate dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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