LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8617-2018 proposto da:
D.P.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato AMERIGA MARIA PETRUCCI;
– ricorrente –
contro
FCA MELFI S.R.L., (già S.A.T.A. S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO AMENDOLITO, MARIA DI BIASE, GRAZIA FAZIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 133/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 12/09/2017 R.G.N. 61/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/09/2021 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE.
RILEVATO
CHE:
– con sentenza in data 12 settembre 2017, la Corte d’Appello di Potenza ha respinto l’appello proposto da D.P.S. avverso la decisione del locale Tribunale che aveva rigettato la domanda volta ad ottenere la declaratoria di nullità o l’annullamento del licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto dalla FCA Melfi S.p.A. per non computabilità delle assenze per malattia per violazione dell’art. 2087 c.c., ovvero per essere le stesse derivanti da infortunio, ovvero, ancora, per mancanza di definitività dell’accertamento riguardante gli infortuni essendo ancora sub iudice;
– per la cassazione della pronuncia propone ricorso D.P.S., affidandolo a tre motivi;
– resiste, con controricorso assistito da memoria, la FCA Melfi S.p.A..
CONSIDERATO
CHE:
– con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in ordine alla ritenuta insufficienza degli elementi di prova forniti dal lavoratore riguardo all’eziologia professionale degli episodi di lombosciatalgia, trattati dal datore di lavoro come malattia comune e considerati conteggiabili ai fini del superamento del periodo di comporto;
– con il secondo motivo si allega ancora la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riguardo all’apprezzamento della CTU;
– con il terzo motivo si allega l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in ordine all’invalidità del 50% da cui risulta affetto il ricorrente;
– tutti i motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico – sistematiche, sono inammissibili alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità;
– in particolare oltre ad essere i motivi inammissibilmente formulati in modo promiscuo, denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta legittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto, non risultando dimostrata da parte del ricorrente la violazione dell’art. 2087 c.c.;
parte ricorrente omette, d’altro canto, di considerare che il presente giudizio di cassazione, ratione temporis, è soggetto non solo alla nuova disciplina di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in base alla quale, le sentenze possono essere impugnate “per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”, ma anche a quella di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., secondo cui il vizio in questione non può essere proposto con il ricorso per cessazione avverso la sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado, ossia non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d, doppia conforme (v. sul punto, Cass., n. 4223 del 2016; Cass. n. 23021 del 2014);
quindi, non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità tutte quelle censure che attengono alla ricostruzione della vicenda storica come operata dai giudici di merito, anche in ordine alla congruità dell’iter procedimentale seguito nella designazione del dirigente, in contrasto sia con i principi enunciati da Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014, che ha rigorosamente interpretato il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 limitando la scrutinabilità al c.d. “minimo costituzionale”;
– anche con riguardo alla dedotta violazione di legge, non può non ricordarsi quanto stabilito dal Supremo Collegio e deve, quindi, concludersi che parte ricorrente non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 e cioè che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 14476 del 2021);
– alla luce delle suesposte argomentazioni, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;
– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e 1 quater, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021