Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33135 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35309-2018 proposto da:

SANPELLEGRINO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GUIDO D’AREZZO N 2, presso lo studio dell’avvocato ITALICO PERLINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO DUGNI;

– ricorrente –

contro

B.F., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA MIRANDA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 680/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 12/06/2018 R.G.N. 1334/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/09/2021 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE.

RILEVATO

Che:

con sentenza in data 12 giugno 2018, la Corte di Appello di Milano ha respinto l’appello proposto da Sanpellegrino S.p.A. nei confronti di B.F. avverso la decisione di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità dell’assorbimento del superminimo negli aumenti dei minimi retributivi disposti dal CCNL industria alimentare del 2013, condannando la società alla corresponsione delle differenze retributive dovute;

in particolare, la Corte ha ritenuto che, dall’esame delle evidenze processuali, doveva escludersi la volontà della Società appellante di optare per l’assorbimento nel superminimo dell’aumento contrattuale unico disposto dai CCNL succedutisi nel tempo;

per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società Sanpellegrino S.p.A., affidandolo a sette motivi, cui ha resistito l’intimata con controricorso assistito da memoria.

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo alla ritenuta erroneità della previsione di un unico aumento in quattro tranches anziché di quattro aumenti;

con il secondo motivo si allega la violazione degli artt. 2731 e 2733 c.c.;

con il terzo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in ordine alla collocazione del superminimo in busta paga;

con il quarto motivo si deduce ancora la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine al comportamento omissivo tenuto dai lavoratori con riferimento agli obblighi sugli stessi gravanti ex art. 50 del CCNL Industria Alimentare 2012;

con il quinto motivo parte ricorrente denunzia la violazione dell’art. 1362 c.c. in relazione al comportamento tenuto dalle parti dopo l’assorbimento;

con il sesto motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c.; con il settimo motivo si denunzia la violazione dell’art. 360, n. 3 e dell’art. 41 Cost.;

va rilevato preliminarmente che si applica al caso di specie la disposizione di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., in base alla quale non sono impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze di secondo grado in ipotesi di c.d. doppia conforme, (cfr., fra le tante, Cass. n. 2922 del 12/11/2019) mentre, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017);

consegue alle suesposte considerazioni che il primo, il terzo ed il quarto motivo devono essere dichiarati inammissibili;

per quanto concerne il secondo, il quinto, il sesto ed il settimo motivo, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di ordine logico – sistematico, va rilevato che gli stessi, oltre ad essere formulati in modo promiscuo, denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta volontà della società di non reputare assorbibile il superminimo;

in particolare, la Corte, ha richiamato, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. le numerose decisioni che, dal 2017 al 2018, hanno riguardato la medesima fattispecie (fra le altre, C. A. Milano nn. 1229/2017, 1230/2017, 1234/2017; 2255/2017, 504/2018);

in tali pronunzie, dopo aver premesso che il superminimo è normalmente soggetto al principio generale dell’assorbimento, la Corte ha ritenuto che la circostanza che nel contratto di assunzione o, comunque, con successiva lettera della società, sia stata espressamente prevista una somma a titolo di superminimo e che la stessa sia stata poi aumentata, sempre riportandola nella busta paga sotto la voce superminimo, ha ritenuto che fosse indicativa della volontà della Sanpellegrino di avvalersi dell’assorbimento, senza che il non essersene avvalsa in occasione del precedente rinnovo contrattuale con riferimento al rapporto di lavoro degli intimati avesse determinato la formazione di un uso aziendale;

la Corte ha poi aggiunto che la società con il CCNL dell’ottobre 2012 aveva previsto un aumento retributivo unico ma liquidato in tranches a scadenze diverse: conseguentemente, il fatto che la liquidazione della prima tranche non sia stata oggetto di alcun assorbimento è indicativo della volontà concludente della società che l’aumento della retribuzione base non debba comportare alcuna diminuzione del superminimo anche in ordine al pagamento delle tranches successive;

il Collegio ha, quindi, ritenuto che, essendo l’aumento retributivo unico anche se pagato in diverse tranches, come ammesso dalla stessa società, il fatto di aver corrisposto integralmente la prima tranche, senza ridurre il superminimo, abbia comportato una rinuncia da parte della ricorrente;

tale ricostruzione motivazionale non può essere censurata in sede di legittimità atteso che l’interpretazione del regolamento contrattuale è attività riservata al giudice di merito, pertanto sottratta al sindacato di legittimità salvo che per il caso della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale (sul punto fra le più recenti, Cass. 27 luglio 2020, n. 15967), la quale, tuttavia, non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (sul punto, ex plurimis, Cass. n. 11254 del 10/05/2018);

la Corte, basandosi sulla ricostruzione della volontà delle parti in base ai mentovati indici rivelatori, ha escluso l’intenzione della società di procedere all’assorbimento; d’altro canto, la sentenza impugnata non si pone nemmeno in contrasto con la presunzione, relativa, connessa all’assorbimento, nel senso che il superminimo si ritiene di solito assorbito dai miglioramenti retributivi previsti dalla contrattazione collettiva ovvero per il conseguimento di un inquadramento superiore, sicché in tali evenienze ben può il giudice di merito ritenere superata detta presunzione in base alle acquisite risultanze istruttorie (fra le altre, Cass. 17/10/2018, n. 26017);

ha osservato, al riguardo, Cass. 12/10/2004, n. 21555, che l’interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune è riservata, data la loro natura contrattuale, all’esclusiva competenza del giudice del merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 c.c. e ss.) ed al controllo della sussistenza di una motivazione coerente e logica, ferma la necessità che le censure precisino gli errori addebitati al giudice di merito, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una interpretazione o di una conclusione diversa da quella genericamente censurata;

il giudice di legittimità ha aggiunto, poi, che “con specifico riguardo al preteso principio di diritto del normale assorbimento del superminimo nei miglioramenti contrattuali, va precisato che un tale principio non è mai stato affermato da questa Corte, essendo state, invece (e non poteva essere altrimenti, considerati i ricordati limiti del giudizio di legittimità con riferimento a disposizioni contrattuali di diritto comune), semplicemente confermate sentenze di merito che avevano ritenuto sussistente, nel caso concreto, tale regola contrattuale”;

– nel caso di specie, a fronte, peraltro di una doppia pronuncia conforme ci si confronta con una motivazione congrua, non illogica, cui la parte ricorrente si limita a contrapporre una diversa interpretazione, che vorrebbe compensabile la migliore retribuzione (rispetto al minimo contrattuale), concessa a tutti i dipendenti fin dall’inizio del rapporto, con futuri aumenti contrattuali;

alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto;

le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater se dovuto.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna la Sanpellegrino S.p.A. alla rifusione, in favore di parte controricorrente delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 3000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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