Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.33144 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22998-2015 proposto da:

I.N.P.G.I. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI “GIOVANNI AMENDOLA”, in persona legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato PAOLO BOER, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DARDANELLI 46, presso lo studio dell’avvocato MARINA PETROLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato UGO MINNECI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 137/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 09/04/2015 R.G.N. 2588/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/04/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’

STEFANO, visto il D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 9.4.2015, la Corte d’appello di Milano ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato illegittime le trattenute effettuate dall’INPGI sulla pensione spettante a G.G., previa disapplicazione dell’art. 15 del Regolamento INPGI approvato con D.M. 24 luglio 1995, che prevede la decurtazione della pensione per il caso che il pensionato svolga attività lavorativa e percepisca redditi da lavoro.

La Corte, in particolare, ha ritenuto che il Regolamento INPGI non potesse derogare alla previsione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 72, comma 1, recante disciplina del cumulo tra pensione e reddito da lavoro, dando sul punto continuità al principio di diritto affermato da Cass. n. 1098 del 2012.

Avverso tali statuizioni l’INPGI ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura, successivamente illustrato con memoria, con la quale ha chiesto in subordine la rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte. G.G. ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di censura, l’INPGI denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 509 del 1994, artt. 1, 2 e art. 3, comma 2, lett. b), L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, e della L. n. 388 del 2000, art. 76, comma 4, nonché violazione e falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 19 (conv. con L. n. 133 del 2008), della L. n. 388 del 2000, art. 72, comma 1, e della L. n. 289 del 2002, art. 44, commi 1 e 7 per avere la Corte di merito illegittimamente disapplicato l’art. 15 del Regolamento INPGI approvato con D.M. 24 luglio 1995, sul presupposto che l’Istituto, gestendo una forma di previdenza sostitutiva dell’assicurazione generale obbligatoria, godrebbe di un’autonomia normativa più limitata rispetto alle casse professionali privatizzate di cui al medesimo D.Lgs. n. 509 del 1994 e non potrebbe dettare alcuna diversa disciplina del divieto di cumulo tra pensione e redditi di lavoro: ad avviso dell’Istituto, infatti, non sarebbe in alcun modo ipotizzabile una differenziazione tra gli enti privatizzati di cui al D.Lgs. n. 509 del 1994 a seconda che gestiscano o meno forme di previdenza sostitutive per lavoratori dipendenti, per modo che non potrebbe dubitarsi che anche all’INPGI sia rimessa la potestà di adottare delibere in materia di contributi e prestazioni al pari degli altri enti privatizzati, come peraltro evidenziato da Cass. S.U. n. 17589 del 2015.

Il motivo è infondato.

Questa Corte, superando il contrario avviso espresso da Cass. nn. 8067 e 12671 del 2016 (entrambe cit. nella memoria dep. ex art. 378 c.p.c.), ha ormai consolidato il principio secondo cui, in tema di cumulo tra pensione e redditi da lavoro, agli iscritti all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI) deve applicarsi la stessa disciplina prevista per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria facente capo all’INPS, con conseguente necessità di disapplicare l’art. 15 del Regolamento INPGI, cit., che disciplina la materia del cumulo tra reddito da lavoro e trattamento pensionistico in maniera diversa da quanto previsto nel regime relativo all’a.g.o. (così, da ult., Cass. nn. 19573 del 2019 e 21470 del 2020).

A sostegno della continuità al principio già espresso da Cass. n. 1098 del 2012, questa Corte ha invero osservato che non si tratta certo di negare il valore semantico attribuito dall’opposto orientamento al disposto della L. n. 388 del 2000, art. 76, comma 4, secondo cui l’autonomia gestionale, organizzativa e contabile riconosciuta all’INPGI, come agli altri enti privatizzati ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994, troverebbe limite nella mera esigenza che l’Istituto assicuri il coordinamento delle proprie regole gestionali con quelle operanti con riguardo al regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, ma semmai di attribuire la necessaria rilevanza alla norma regolatrice della fattispecie ratione temporis di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 72, comma 2 e della L. n. 289 del 2002, art. 44, comma 2, la cui formulazione letterale (secondo cui “a decorrere dal 1 gennaio 2003 il regime di totale cumulabilità tra redditi di lavoro autonomo e dipendente e pensioni di anzianità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, prevista dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 72, comma 1, è esteso ai casi di anzianità contributiva pari o superiore ai 37 anni a condizione che il lavoratore abbia compiuto 58 anni di età. I predetti requisiti debbono sussistere all’atto del pensionamento”) è tale da legittimare l’interpretazione secondo cui il regime di cumulo tra pensione di anzianità e redditi da lavoro ivi introdotto operi identicamente per la previdenza sociale obbligatoria e per le forme sostitutive, anche ove gestite da enti privatizzati, per modo che la disposizione cit. ben può rappresentare quella “norma espressa” che lo stesso Istituto ricorrente sostiene essere necessaria affinché la disciplina dettata per i trattamenti pensionistici gestiti dall’a.g.o. sia applicabile anche agli iscritti alla forma sostitutiva gestiva dall’Istituto medesimo. Tale soluzione non contrasta con la citata pronunzia n. 17589 del 2015 resa dalle Sezioni Unite di questa Corte, atteso che quest’ultima si riferisce all’interpretazione della disciplina sul contenimento della spesa pensionistica di cui al D.L. n. 201 del 2011 (conv. con L. n. 214 del 2011), e l’affermazione ivi contenuta, secondo cui il riferimento dell’art. 24, comma 4 D.L. ult. cit., alle forme esclusive e sostitutive dell’a.g.o. non si potrebbe estendere a quelle gestite dagli enti privatizzati, lungi dal valere come criterio interpretativo generale da estendere anche alla L. n. 289 del 2002, art. 44 appare piuttosto giustificata in relazione al fatto che, nell’ambito del D.L. n. 201 del 2011, cit., la normativa riguardante gli enti privatizzati gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza è regolata appositamente dall’art. 24, comma 24.

Si deve piuttosto aggiungere che – come parimenti rimarcato da Cass. n. 19573 del 2019, cit. – l’autonomia finanziaria dell’INPGI non è neppure integrale, soccorrendo proprio con riguardo alla disciplina dei pensionamenti anticipati la fiscalità generale: basti ricordare che il D.L. n. 185 del 2008, art. 19, comma 18-ter, lett. a), punto 2, (conv. con L. n. 2 del 2009), ha inserito nel corpo della L. n. 416 del 1981, art. 37 il comma 1-bis, secondo il quale “l’onere annuale sostenuto dall’INPGI per i trattamenti di pensione anticipata di cui al comma 1, lett. b), pari a 10 milioni di Euro annui a decorrere dall’anno 2009 è posto a carico del bilancio dello Stato”, con conseguente facoltà dell’Istituto di “ottenere il rimborso degli oneri fiscalizzati” previa presentazione di idonea documentazione, di talché anche sotto tale profilo la soluzione fatta propria dai giudici di merito non appare viziata da alcuno degli errori imputatile da parte ricorrente. Il ricorso, pertanto, va rigettato. Considerato che l’orientamento cui qui s’e’ inteso dare continuità si è definitivamente affermato dopo la proposizione del ricorso per cassazione, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.

Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono invece i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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