LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6101-2015 proposto da:
S.A.V., S.G., in qualità di eredi di P.L.L., domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO NATALE;
– ricorrenti –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, EMANUELA CAPANNOLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2107/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 15/09/2014 R.G.N. 1768/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/04/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 15.9.2014, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di G. e S.A.V., n. q. di eredi di P.L.L., volta alla riliquidazione della pensione di reversibilità della de cuius in conformità ai dettami di Corte Cost. n. 495 del 1993 e sul presupposto che l’INPS avesse errato nel calcolo della perequazione automatica spettantele D.L. n. 463 del 1983, ex art. 6, comma 5 (conv. con L. n. 638 del 1983);
che avverso tale pronuncia G. e S.A.V., nella spiegata qualità, hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura;
che l’INPS ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la Corte di merito pronunciato sul motivo di appello con cui era stata richiesta la riforma della decisione di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto la loro decadenza dalla domanda in applicazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 38 (conv. con L. n. 111 del 2011);
che, con il secondo e il terzo motivo, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione del D.L. n. 463 del 1983, art. 6, comma 5, cit., e della sentenza della Corte costituzionale n. 495 del 1993, per non avere la Corte territoriale ritenuto che la ricostituzione della pensione dovesse essere effettuata “con gli aumenti di perequazione dei coefficienti previsti per le pensioni integrate al trattamento minimo”, invece che, come era accaduto nella specie, “con i coefficienti per le pensioni inferiori al trattamento minimo” (così il ricorso per cassazione, pag. 9);
che il primo motivo è infondato, avendo correttamente i giudici di seconde cure fatto applicazione del principio della ragione più liquida, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., in virtù del quale la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre (così, tra le più recenti, Cass. n. 363 del 2019);
che, con riguardo al secondo e al terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in considerazione dell’intima connessione delle censure, va premesso che i giudici territoriali, dopo aver dato atto che, nella specie, risultava che l’INPS avesse applicato “sull’importo del rateo pensionistico a calcolo le percentuali di aumento, per perequazione automatica, previsti (sic) per i trattamenti minimi” (così la sentenza impugnata, pag. 3), hanno interpretato la domanda giudiziale nel senso che avesse ad oggetto “l’aumento del rateo pensionistico a calcolo nella misura corrispondente ad una somma che sia la percentuale di aumento calcolata sull’importo pensionistico corrispondente al trattamento minimo e non invece sull’importo pensionistico a calcolo” (ibid.);
che, ciò posto, la censura di parte ricorrente risulta inammissibile per difetto di specificità, atteso che, per un verso, pur contestando che tale ultima domanda sia mai stata formulata in giudizio (così il ricorso per cassazione, pag. 9), il ricorso introduttivo del giudizio non risulta trascritto nel ricorso per cassazione, nemmeno nella parte necessaria a dare alla doglianza un non opinabile fondamento fattuale, né si dice in quale luogo del fascicolo processuale e/o di parte sia al momento reperibile, e che, per un altro verso, la statuizione dei giudici di merito secondo cui l’INPS avrebbe correttamente applicato sull’importo del rateo pensionistico a calcolo le percentuali di aumento per perequazione automatica previste per i trattamenti minimi non risulta criticata in modo idoneo, non spiegandosi in che cosa avrebbe dovuto piuttosto consistere il ricalcolo della pensione “con gli aumenti di perequazione dei coefficienti previsti per le pensioni integrate al trattamento minimo”, invece che, come nella specie “con i coefficienti per le pensioni inferiori al trattamento minimo” (così il ricorso per cassazione, pag. 9);
che il ricorso, pertanto, va rigettato;
che nulla va pronunciato sulle spese ex art. 152 att. c.p.c.; che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021