LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11477-2019 proposto da:
HDI HOLDING DOLCIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO FALASCA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIOVANNI GIOVANNELLI, MARGHERITA GIANNICO;
– controricorrente –
nonché contro HDI HOLDING DOLCIARIA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, L.C. S.R.L.;
– intimate –
avverso la sentenza n. 2011/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 01/02/2019 R.G.N. 69/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/07/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato GIOVANNI GIOVANNELLI.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Milano, pronunziando sugli appelli riuniti di HDI Holding Dolciaria Italiana s.r.l. in liquidazione, HDI Holding Dolciaria Italiana s.p.a. e L.C. s.r.l., ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stato annullato il licenziamento intimato il 26 luglio 2016 da HDI Holding Dolciaria Italiana s.r.l. in liquidazione a M.C., disposta la ricostituzione del rapporto di lavoro in capo a L.C. s.r.l. con decorrenza dal 12.4.2016 e in capo a HDI Holding Dolciaria Italiana s.p.a. con decorrenza dal 15.4.2016 e quest’ultima società condannata alla riassunzione del lavoratore ed al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate dalla data del licenziamento a quella di ripristino del rapporto.
2. La vicenda nella quale si colloca il licenziamento per cui è causa trae origine dalla domanda di concordato preventivo formulata da HDI Holding Dolciaria Italiana s.r.l. nella quale era dichiarato l’intento di cedere il ramo di azienda costituito dallo stabilimento di ***** al quale era addetto il M. ad una società di nuova costituzione previa riduzione della forza lavoro eccedentaria e per il tramite di una cessione ” intermedia” alla società L.C. s.r.l. che avrebbe acquistato il ramo di azienda una volta operata l’attività di risanamento e riduzione del personale da parte della cedente in concordato; il personale rimasto in forze a HDI Holding Dolciaria Italiana s.r.l. all’esito di tali operazioni avrebbe continuato l’attività alle dipendenze della cessionaria la quale si sarebbe avvalsa delle deroghe all’art. 2112 c.c. conseguenti alla stipula di accordo sindacale L. n. 428 del 1990, ex art. 47; in detto contesto la società HDI Holding Dolciaria Italiana s.r.l. aveva avviato effettivamente in data 28.10.2015 una procedura di riduzione del personale dando atto nella comunicazione di apertura dell’esubero di forza lavoro connaturato alla organizzazione aziendale che la società avrebbe dovuto adottare in vista della costituzione di una nuova società alla quale conferire il ramo di azienda; in data 11.2.2016 il Tribunale aveva omologato il concordato in continuità e il successivo 12.4.2016 HDI Holding Dolciaria Italiana s.r.l. aveva ceduto a L.C. s.r.l. il ramo di azienda rappresentato dallo stabilimento di *****; tale cessione non aveva comportato il passaggio di tutti i lavoratori addetti al ramo di azienda; il M., come altri lavoratori, era infatti rimasto alle dipendenze della cedente; alla prima cessione del ramo di azienda ne era quindi seguita una successiva da L.C. s.r.l. ad una società di nuova costituzione denominata HDI Holding Dolciaria Italiana s.p.a. la quale, invocando anch’ essa la portata derogatoria degli accordi sindacali L. n. 428 del 1990, ex art. 47 comma 4 bis aveva assunto ex novo gli ex dipendenti della s.r.l. in liquidazione, eccezione fatta per il M. e per un’altra dipendente i quali in seguito erano stati licenziati dalla originaria cedente.
3. La conferma della decisione di primo grado è stata fondata dal giudice di appello sulla considerazione che la L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 4 bis, secondo lettura conforme ai principi della Direttiva 2001/23 CE (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti), non consentiva, nell’ipotesi in cui la procedura di insolvenza concernente il cedente come nel caso di specie non avesse finalità liquidatoria, di derogare al principio di necessario trasferimento dei rapporti di lavoro dal cedente al cessionario dei dipendenti addetti all’azienda ceduta; le uniche deroghe consentite per il tramite dello strumento convenzionale erano, infatti, quelle relative alle condizioni applicabili ai rapporti trasferiti; da tanto derivava che risultando la continuità dell’attività imprenditoriale per il tramite della società di nuova costituzione il licenziamento del M. era affetto da nullità per contrasto con l’art. 2112 c.c. e con la L. n. 428 del 1990, art. 47; era inoltre da evidenziare che dalla documentazione versata in atti emergeva inequivocabilmente che il licenziamento collettivo in oggetto non aveva avuto una ragione giustificatrice autonoma e distinta rispetto a quella costituita dalla cessione di azienda; ciò in violazione della Direttiva comunitaria – art. 4 – secondo la quale il trasferimento di impresa non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario.
4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso HDI Holding Dolciaria Italiana s.p.a. sulla base di due motivi. M.C. ha resistito con controricorso; le società intimate HDI Holding Dolciaria Italiana s.r.l. in liquidazione e L.C. s.r.l. non hanno svolto attività difensiva.
5. M.C. ha depositato “note conclusive” da riqualificarsi quale memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 4 bis censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto che nell’ipotesi di procedura di insolvenza del cedente non avente finalità liquidatoria, le uniche deroghe consentite per il tramite dello strumento convenzionale fossero quelle relative alle condizioni del rapporto di lavoro trasferito e non anche quelle relative al principio della necessaria prosecuzione dei rapporti di lavoro dei dipendenti del soggetto cedente con il cessionario.
2. Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 24; la sentenza impugnata aveva errato nel sussumere il licenziamento in oggetto nella fattispecie vietata dall’art. 2112 c.c., comma 4 collegando la riduzione del personale effettuata da HDI Holding Dolciaria Italiana s.r.l. in liquidazione al successivo trasferimento di ramo di azienda ed escludendo che il licenziamento collettivo nell’ambito del quale si inscriveva il licenziamento intimato al M. potesse trovare una diversa ed autonoma giustificazione; questa era da ricercare semplicemente nella decisione imprenditoriale di effettuare almeno cinque licenziamenti nell’arco di 120 giorni “in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro”; il sindacato del giudice di merito non poteva estendersi alla verifica della effettività delle esigenze di riduzione del personale ma era limitato alla verifica del rispetto della procedura collettiva; in ogni caso, l’assunto che collegava la procedura collettiva al trasferimento del ramo di azienda si poneva in contrasto con le emergenze istruttorie rivelatrici del fatto che l’esubero del M., addetto al sistema di contabilità del magazzino, era giustificato dalla progressiva automazione dei processi di contabilizzazione e dalla contrazione del fatturato.
3. Il primo motivo di ricorso è infondato per essere la sentenza di appello conforme in diritto alla giurisprudenza di questa Corte alla quale si ritiene di dare continuità.
Con la sentenza di questa Corte 01/06/2020, n. 10414, che qui viene richiamata anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., è stato chiarito che in caso di trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi della L. n. 675 del 1977, art. 2, comma 5, lett. c), ovvero per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività, ai sensi del D.Lgs. n. 270 del 1999, l’accordo sindacale di cui alla L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 4-bis, inserito dal D.L. n. 135 del 2009, conv. in L. n. 166 del 2009, può prevedere deroghe all’art. 2112 c.c. concernenti le condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario, in quanto la locuzione – contenuta del predetto comma 4-bis – “Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’art. 2112 c.c. trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo”, va letta, in conformità al diritto dell’Unione Europea ed alla interpretazione che dello stesso ha fornito la Corte di giustizia, 11 giugno 2009, in causa C-561/07 (all’esito della procedura di infrazione avviata nei confronti della Repubblica italiana per violazione della direttiva 2001/23/CE), nel senso che gli accordi sindacali, nell’ambito di procedure di insolvenza aperte nei confronti del cedente sebbene non “in vista della liquidazione dei beni”, non possono disporre dell’occupazione preesistente al trasferimento di impresa.
Nel precedente ora richiamato, con articolate argomentazioni interamente condivise da questo Collegio, sulla premessa che la L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 4 bis è stato introdotto dal D.L. 25 settembre 2009, n. 135, art. 19-quater (Disposizioni urgenti per l’attuazione degli obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità Europee), conv. in L. n. 166 del 2009, “al fine di dare esecuzione alla sentenza di condanna emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità Europee l’11 giugno 2009 nella causa C561/07”, la quale aveva affermato che, con la L. n. 428 del 1990, art. 47, commi 5 e 6 la “Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva” 2001/23/CE, la S.C. ha ritenuto che le regole volte a garantire il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento dell’imprenditore, consentendo loro di restare al servizio del nuovo datore di lavoro alle stesse condizioni pattuite con il cedente, (cfr., tra le altre, CGUE, 15 settembre 2010, Briot, C 386/09, punto 26 e giurisprudenza citata), possono essere derogate dalle legislazioni nazionali nei soli casi espressamente previsti dall’art. 5 della Direttiva 2001/23/CE.
Per quel che rileva nel caso specifico, alla luce della lettura conforme alla direttiva del disposto della L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 4 bis, come interpretata da Cass. 10414/2020 cit., la pacifica finalità non liquidatoria della procedura di concordato preventivo alla quale era assoggettata HDI Holding Dolciaria Italiana s.r.l., escludeva la giuridica possibilità di deroga mediante lo strumento convenzionale al principio della necessaria continuazione del rapporto di lavoro con l’impresa cessionaria del ramo di azienda ceduta cui era addetto il M.. Di qui, l’insussistenza della violazione di legge che con questa doglianza viene ascritta alla sentenza impugnata.
4. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di interesse ad impugnare.
Con tale motivo, infatti, viene investita la ulteriore, autonoma, ratio decidendi alla base del decisum di secondo grado rappresentata dall’avere ritenuto che il trasferimento del ramo di azienda alla società di nuova costituzione fosse della procedura di licenziamento collettivo attivata dalla società in concordato preventivo; ciò in violazione della richiamata Direttiva comunitaria – art. 4 – secondo la quale il trasferimento di impresa non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario.
Come chiarito da questa Corte quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite “rationes”, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (Cass. 24/05/2006, n. 12372; Cass. 10/09/2004, n. 18240).
5. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto.
6. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
7. Sussistono i presupposti processuali, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021