Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33164 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29724-2019 proposto da:

ARTEARREDO SRL, in persona dell’Amministratore unico pro tempore, domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato CASALE GIACOMO;

– ricorrente-

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO *****;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1478/6/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA SICILIA, depositata l’08/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI RAFFAELE.

RILEVATO

che la s.r.l. “ARTEARREDO” propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza CTR Sicilia, sezione staccata di Catania, di rigetto dell’appello da essa proposto avverso una sentenza CTP Catania, che aveva rigettato il suo ricorso avverso un avviso di accertamento IRES, IRAP ed IVA 2010; con la sentenza impugnata, la CTR:

– ha ritenuto che, nella specie, pur non avendo l’ufficio prodotto l’autorizzazione ad espletare indagini bancarie, la società ricorrente non aveva dedotto alcun pregiudizio da essa in concreto sofferto per l’espletamento di dette indagini bancarie;

– ha ritenuto che la società ricorrente non avesse adeguatamente giustificato i prelevamenti ed i versamenti effettuati sui propri conti correnti bancari;

– ha infine ritenuto che nessun vincolo di giudicato poteva derivare dall’avere il giudice tributario definitivamente annullato un analogo avviso di accertamento emesso nei confronti della medesima società per il 2006.

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a due motivi;

che, con il primo motivo la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione art. 2909 c.c. per intervenuto giudicato esterno, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la CTP Catania, con sentenza del 21 marzo 2017, passata in giudicato, aveva annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti di essa società ricorrente per la precedente annualità 2006 e scaturente dal medesimo pvc della gdf; ora, l’accertamento di fatto compiuto dalla CTP Catania con la sentenza passata in giudicato ben poteva essere estesa all’annualità oggetto dell’odierno contenzioso; e l’avviso di accertamento relativo al 2006 non era stato annullato per un semplice difetto di motivazione, ma per l’accertata insussistenza probatoria circa la riconducibilità ad essa società delle movimentazioni fittizie presenti sui conti correnti intestati a soggetti terzi; quindi trattavasi di accertamento che atteneva ai medesimi presupposti fattuali dell’accertamento 2010, oggetto del presente contenzioso;

che, con il secondo motivo, la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 7 del e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., in quanto, nella specie, era stata accertata la materiale insussistenza della previa autorizzazione del direttore centrale dell’Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per la gdf, dal comandante regionale ad espletare accertamenti bancari; tale provvedimento autorizzativo rappresentava un presupposto di legittimità del procedimento di accertamento tributario; ed essa società aveva subito un pregiudizio tangibile dalle indagini bancarie espletate, le quali avevano coinvolto una molteplicità di soggetti anche estranei alla compagine sociale;

che l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso ed ha presentato altresì memoria;

che anche la società ricorrente ha presentato memoria;

che il primo motivo di ricorso proposto dalla società ricorrente è infondato;

che, conformemente a quanto più volte ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 6953 del 2015; Cass. n. 5766 del 2021; Cass. n. 14353 del 2017), nella specie non poteva essere esteso in favore della società ricorrente il giudicato formatosi con una sentenza emessa dalla CTP di Catania, riferita ad un avviso di accertamento emesso per un’annualità precedente (2006), pur se sulla base dei medesimi accertamenti e pur se impugnato dalla medesima società; va invero ritenuto che una sentenza del giudice tributario emessa con riferimento ad un avviso di accertamento riferito ad un determinato anno d’imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti fra le stesse parti, solo per quanto attiene agli elementi costitutivi della fattispecie, i quali, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta, assumano carattere tendenzialmente permanenti; il che non è riscontra bile nella specie in esame, atteso che, dagli atti di causa, si evince che la sentenza della CTP relativa al 2006, passata in giudicato, ha annullato l’atto impositivo non sulla base di vizi motivazionali, ma in quanto l’ufficio non aveva assolto l’onere probatorio su di esso gravante, non avendo indicato neanche in modo sommario i concreti elementi sulla cui base la gdf aveva sostenuto che i prelevamenti ed i versamenti contestati potevano ritenersi riferibili alla società ricorrente; trattasi pertanto di violazione dell’onere probatorio accertata in capo all’Agenzia delle entrate riferibile solo ed esclusivamente al 2006, si da non essere estensibile agli altri successivi anni d’imposta;

che è altresì infondato il secondo motivo di ricorso proposto dalla società ricorrente; va innanzitutto rilevato come la CTR ha chiaramente affermato che, nella specie, a prescindere dalla mancata produzione, da parte dell’ufficio, dell’autorizzazione ad espletare accertamenti bancari, nessun concreto pregiudizio aveva dedotto la società ricorrente, da intendersi come pregiudizio certo ed effettivo conseguente alla mancanza dell’autorizzazione in questione; secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 16874 del 2009), il pregiudizio alla parte deve derivare dalla mancanza dell’autorizzazione e non dall’attività espletata in sua assenza, in quanto avverso le risultanze dell’accertamento e le presunzioni applicate dall’ufficio, il contribuente può ben difendersi in giudizio e fornire le prove in contrario; va poi rilevato che, in materia tributaria, non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento comporta, di per sé, l’inutilizzabilità di detti elementi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi i casi, fra i quali non rientra quello in esame, in cui venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, quali l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio (cfr. Cass. n. 13353 del 2018; Cass. n. 27149 del 2011);

che, da quanto sopra, consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, quantificate come in dispositivo;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, quantificate in Euro 7.300,00, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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