LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2843-2015 proposto da:
I.N.P.S., – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ELISABETTA LANZETTA, GIUSEPPINA GIANNICO, CHERUBINA CIRIELLO, FRANCESCA FERRAZZOLI, SEBASTIANO CARUSO;
– ricorrente –
contro
C.G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO QUAGLIARO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 412/2013 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 21/01/2014 R.G.N. 35/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/02/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE.
PREMESSO che con sent. n. 412/2013, depositata il 21 gennaio 2014, la Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Udine aveva accolto la domanda proposta da C.G., dipendente I.N.P.S. con qualifica C3, volta a far accertare lo svolgimento di mansioni rientranti nella superiore qualifica C4 e il diritto a percepire le indennità di posizione organizzativa e di responsabilità specifica in relazione all’esercizio dei compiti di responsabile del “Punto di incontro Area Aziende” presso la Direzione provinciale di Udine;
– che a sostegno della propria decisione la Corte di appello ha osservato che il ricorrente non aveva sostituito altro lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto e che la sua assegnazione al ruolo di responsabile del “Punto di incontro Area Aziende”, con lo svolgimento delle corrispondenti mansioni (pacificamente) superiori, era durata ben più di sei (e anche dodici) mesi, essendosi protratta senza interruzione dal luglio 2002 al novembre 2006, né era risultato che l’I.N.P.S. avesse nel frattempo avviato una qualche procedura concorsuale per la copertura del posto: con la conseguenza che la fattispecie concreta non era riferibile ad alcuna di quelle regolate dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 2, e dagli artt. 4 e 6 dell’Accordo Quadro del 22 ottobre 2001, che limitava alla differenza tabellare e alla corrispondente misura dell’indennità integrativa speciale il trattamento economico spettante al lavoratore assegnato a mansioni superiori, ma era da ritenersi compresa nella previsione di cui al comma 5 del medesimo art. 52, la quale, pertanto, costituiva l’unica fonte normativa ad essa applicabile;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’I.N.P.S. con unico motivo, cui ha resistito il lavoratore con controricorso.
RILEVATO
che con il motivo proposto il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 di varie disposizioni (artt. 17, 18, 24 e 32) del c.c.n.l. per il personale del comparto enti pubblici non economici per gli anni 1998-2001, dell’art. 1362 c.c. in relazione agli artt. 17 e 18 del c.c.N. I. per il medesimo comparto, dell’art. 6 Accordo Quadro in materia di mansioni superiori del 22 ottobre 2001, nonché violazione e falsa applicazione dell’Accordo integrativo di Ente per l’anno 2000 e dell’art. 36 Cost.: osserva che la locuzione “trattamento economico” utilizzata nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5 deve essere individuata alla stregua della disciplina contrattuale, alla quale il legislatore ha demandato tale compito, e nella specie le fonti regolatrici richiamate escludevano che al dipendente assegnato a mansioni superiori potessero spettare voci retributive ulteriori rispetto alla differenza sullo stipendio tabellare e alla corrispondente misura dell’indennità integrativa speciale, fermo restando il principio, secondo il quale il diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost. non deve tradursi in un rigido automatismo di spettanza al pubblico dipendente del trattamento economico esattamente corrispondente alle mansioni superiori, poiché il precetto costituzionale è da considerarsi osservato anche mediante l’attribuzione di un compenso aggiuntivo rispetto alla qualifica di appartenenza;
osservato che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 stabilisce, al comma 5, che “al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2” precedente (e cioè vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici; sostituzione di dipendente assente con diritto alla conservazione del posto) “e’ nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore”;
– che il successivo comma 6 limita agli “effetti di cui ai commi 2, 3 e 4” la possibilità per la contrattazione collettiva di introdurre una diversa regolamentazione;
– che, ciò posto, il ricorso deve ritenersi infondato;
– che, infatti, è stato più volte precisato nella giurisprudenza di questa Corte che “In tema di impiego pubblico contrattualizzato, l’assegnazione temporanea, ma per lunghi periodi, delle funzioni di reggente dell’ufficio di assegnazione per la vacanza del posto di dirigente, che rientra nell’ambito di applicazione dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 5, attribuisce al lavoratore il diritto alla differenza di trattamento economico previsto per la qualifica superiore ricoperta, restando escluso che tale disciplina possa essere diversamente regolata dalla contrattazione collettiva, la quale, ai sensi del citato art. 52, comma 6 può regolare diversamente i soli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4 della disposizione, e non anche quelli di cui al comma 5, non richiamato (Cass. n. 7823/2013; conforme, fra altre, Cass. n. 384/2014);
– che inoltre è consolidato il principio, secondo il quale “In tema di lavoro pubblico contrattualizzato, in caso di reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare, vanno incluse, nel trattamento differenziale per lo svolgimento delle mansioni superiori, la retribuzione di posizione e quella di risultato, atteso che l’attribuzione delle mansioni dirigenziali, con pienezza di funzioni e assunzione delle responsabilità inerenti al perseguimento degli obbiettivi propri delle funzioni di fatto assegnate, comporta necessariamente, anche in relazione al principio di adeguatezza sancito dall’art. 36 Cost., la corresponsione dell’intero trattamento economico, ivi compresi gli emolumenti accessori” (Sez. U n. 3814/2011; conf. Cass. n. 9878/2017);
ritenuto pertanto che, avendo il giudice di appello fatto corretta applicazione di tali principi, il ricorso deve essere respinto;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021