Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.33201 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10567-2015 proposto da:

I.N.P.S., – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO;

– ricorrente –

contro

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio dell’avvocato AMOS ANDREONI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1018/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 09/01/2015 R.G.N. 74/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/05/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’

STEFANO, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. B.F. adiva il Tribunale di Pinerolo e premetteva di essere stato licenziato da ACCAGI s.p.a., con decorrenza dal 21 aprile 2011, e di essere stato posto in mobilità per trentasei mesi; di avere intrapreso, in epoca successiva (in data 2 maggio 2011) un’attività di lavoro autonomo; di avere presentato, il 30 maggio 2011, istanza all’INPS per ottenere, avendo compiuto 50 anni di età, la corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità, per il periodo di 36 mesi, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 7, comma 5, e di avere ottenuto la liquidazione della predetta indennità per un solo mese, chiedendo, pertanto, la condanna dell’INPS alla corresponsione delle trentacinque mensilità.

2. Il Tribunale accoglieva la domanda e la Corte d’appello di Torino confermava la sentenza di prime cure.

3. Per la cassazione della sentenza l’INPS ha proposto ricorso, affidato ad un motivo, cui B.F. ha resistito, con controricorso.

4. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. L’istituto previdenziale deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, commi 1-2 e art. 5, art. 9, comma 6, lett. B), art. 12, comma 3, e art. 16, comma 1, con riferimento al D.L. 20 maggio 1993, n. 148, art. 7, comma 7, conv. in L. 9 luglio 1993, n. 236, alla L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 32, e al D.M. 14 marzo 2011, n. 57955, artt. 1 e 2 e alla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 33, comma 23.

6. Il thema decidendum concerne la determinazione della misura dell’indennità di mobilità anticipata da attribuire, in virtù della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 32, ad un lavoratore dipendente di impresa commerciale con un numero di dipendenti compreso fra le 50 e le 200 unità licenziato nel mese di aprile 2011, assumendosi, da parte dell’INPS, che esso dovrebbe essere limitato alle mensilità di indennità di mobilità in deroga spettanti sino al 31 dicembre 2011, limite temporale disposto dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 32, e non per quelle scaturenti da proroghe legislative disposte per anni successivi, quale quella prevista dalla L. n. 183 del 2011, art. 33, comma 23, tenendo conto del fatto che l’opzione ha comportato la conseguente contestuale cancellazione, nel 2011, dalle liste di mobilità.

7. Il ricorso è infondato, dovendosi dare seguito all’orientamento già espresso da questa Corte (v., da ultimo, Cass. n. 25049 e 7470 del 2020, ed ivi ulteriori precedenti) cui occorre dare continuità, secondo il quale l’estensione a favore dei dipendenti di imprese commerciali con meno di 200 e più di 50 dipendenti, prevista dal D.L. n. 148 del 1993, art. 7, comma 7, conv., con modif., dalla L. n. 236 del 1993, e successive proroghe, opera anche per la corresponsione anticipata di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 7, comma 5, in riferimento all’integrale importo spettante e non limitatamente all’anno in cui è stata concessa, senza che rilevi la cancellazione dalle liste di mobilità per effetto dell’esercizio dell’opzione, atteso che il diritto al trattamento matura prima della cancellazione, anche in caso di pagamento dell’indennità in un’unica soluzione ed in via anticipata.

8. Si è al riguardo argomentato, con ragionamento riferito alle precedenti leggi di proroga del trattamento straordinario di integrazione salariale, che può essere esteso anche alla normativa successiva di cui è causa e che laddove il legislatore ha esteso i trattamenti di mobilità alle imprese commerciali con meno di 200 dipendenti e con più di 50 (D.L. n. 148 del 1993, art. 7, comma 7, convertito in L. n. 236 del 1993, in seguito prorogato anno per anno e poi stabilmente) ha inteso riferirsi a tutti i trattamenti di mobilità, la cui fattispecie costitutiva veniva a configurarsi nello stesso anno e ciò nella sua interezza e senza alcuna limitazione di importo.

9. La fattispecie costitutiva del diritto al trattamento di mobilità matura, infatti, immediatamente ed in misura integrale al momento della messa in mobilità dei lavoratori o del licenziamento collettivo del personale, come dispongono la L. n. 223 del 1991, art. 7, comma 1, e art. 24, comma 1.

10. Dalle medesime norme che hanno riconosciuto l’estensione del diritto all’indennità alle imprese commerciali con meno di 200 dipendenti e con più di 50 (come nel caso de quo) derivava quindi la necessaria copertura della spesa per tutto il quantum maturato allo stesso momento, tanto se lo stesso fosse poi da erogare in via ordinaria tanto se fosse da liquidare in via anticipata.

11. E’ stato, anche, sottolineato come una diversa interpretazione, oltre a ledere la ratio della norma (che è quella di favorire con l’erogazione di un contributo finanziario la rioccupazione dei lavoratori attraverso l’iniziativa autonoma), darebbe pure luogo ad una serie ingiustificata di disparità di trattamento, e cioè non solo tra lavoratori i quali maturino entrambi il diritto all’indennità di mobilità nello stesso importo nel medesimo anno, atteso che solo quelli dipendenti da un’impresa commerciale con più di 50 e meno di 200 dipendenti si vedrebbero decurtata la prestazione relativa all’indennità di mobilità anticipata, ma anche tra lavoratori dipendenti dalle stesse imprese commerciali in discorso che per non avere esercitato il diritto all’opzione per la misura anticipata si vedrebbero liquidato l’intero importo anche per gli anni successivi e coloro che avevano richiesto l’anticipazione del trattamento.

12. Inoltre, nei richiamati arresti è stato pure sottolineato che nessun effetto può essere attribuito alla cancellazione dalle liste di mobilità per effetto dell’esercizio dell’opzione ad ottenere il trattamento in via anticipata, atteso che, come già detto, il diritto matura prima della cancellazione, anche con riferimento al quantum da considerare per il pagamento in un’unica soluzione ed in via anticipata dell’indennità (v. anche Cass. n. 15654 del 2018).

13. Segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo.

14. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’INPS al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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