Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.33202 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18075-2015 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SILLA 7, presso lo studio dell’avvocato MANUELA OLIVIERI, rappresentato e difeso dall’avvocato ELISABETTA FATUZZO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S., – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati LIDIA CARCAVALLO, LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 148/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 30/04/2015 R.G.N. 497/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/05/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MUCCI ROBERTO, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 30.4.2015, la Corte d’appello di Brescia, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di M.V. volta alla riliquidazione della propria pensione con l’inclusione, nella base di calcolo relativa ai periodi di disoccupazione dal 2006 al 2011, degli emolumenti extramensili (tredicesima e quattordicesima mensilità, indennità sostitutiva delle ferie non godute e c.d. premio mensile).

La Corte, in particolare, ha ritenuto che la L. n. 183 del 2010, art. 40, che ha riformulato i criteri di calcolo della retribuzione annua pensionabile e delle prestazioni a sostegno o integrazione del reddito, stabilendo che il valore retributivo attribuibile a ciascuna settimana di contribuzione figurativa debba essere commisurato sulla base degli elementi retributivi ricorrenti e continuativi, dovesse applicarsi anche al calcolo della retribuzione figurativa relativa al periodo di disoccupazione, in considerazione della sua portata restrittiva della nozione di retribuzione onnicomprensiva già prevista dalla L. n. 153 del 1969, art. 12. Avverso tali statuizioni M.V. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura. L’INPS ha resistito con controricorso.

Con ordinanza del 4.2.2021 la causa è stata rimessa alla pubblica udienza in relazione alla particolare rilevanza della questione di diritto oggetto del ricorso. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di censura, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 155 del 1981, art. 8,L. n. 153 del 1969, art. 12, comma 1, e L. n. 183 del 2010, art. 40, per avere la Corte di merito ritenuto che la disciplina più restrittiva delle modalità di computo della retribuzione pensionabile e delle prestazioni a sostegno e/o integrazione del reddito ivi dettata fosse applicabile anche alle prestazioni di disoccupazione, benché si riferiscano ad eventi verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, ed altresì per aver attribuito a tale modalità di computo efficacia retroattiva, applicandola a periodi di disoccupazione anteriori alla data della sua entrata in vigore; sotto altro profilo, si duole comunque che i giudici territoriali non abbiano debitamente considerato che il premio mensile gli era stato corrisposto mensilmente, ancorché con importi variabili, e dunque avrebbe dovuto entrare in ogni caso a far parte della base di calcolo della sua retribuzione pensionabile.

Detto che tale ultimo profilo di censura appare manifestamente inammissibile, siccome del tutto privo di specificità e autosufficienza e comunque attinente a questioni di merito non proponibili in questa sede di legittimità, il motivo è infondato.

Come esattamente rilevato dalla sentenza impugnata, la L. n. 183 del 2010, art. 40, nel dettare – per quanto qui rileva nuove modalità di computo della contribuzione figurativa accreditabile all’assicurato che fruisca di prestazioni di integrazione e sostegno al reddito, ha operato una scelta più restrittiva rispetto al criterio di tendenziale onnicomprensività previsto dal combinato disposto della L. n. 155 del 1981, art. 8, e L. n. 153 del 1969, art. 12: stabilisce infatti l’art. 40, cit., che “ai fini del calcolo della retribuzione annua pensionabile, e per la liquidazione delle prestazioni a sostegno o integrazione del reddito, per i periodi successivi al 31 dicembre 2004, il valore retributivo da attribuire per ciascuna settimana ai periodi riconosciuti figurativamente per gli eventi previsti dalle disposizioni in vigore e verificatisi nel corso del rapporto di lavoro, è pari all’importo della normale retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore, in caso di prestazione lavorativa, nel mese in cui si colloca l’evento”; e tale importo, prosegue la norma, “deve essere determinato dal datore di lavoro sulla base degli elementi retributivi ricorrenti e continuativi”.

Risulta pertanto superato il criterio della media delle retribuzioni settimanali percepite in costanza di rapporto di lavoro, che, nel vigore della L. n. 155 del 1981, art. 8, aveva condotto questa Corte ad affermare che il valore retributivo da attribuire per ciascuna settimana ai periodi riconosciuti figurativamente andasse determinato sulla scorta della nozione di retribuzione imponibile prevista dalla L. n. 153 del 1969, art. 12, la quale, essendo più ampia rispetto a quella civilistica, consentiva di integrare la base di calcolo anche con gli emolumenti extramensili (quali i ratei di mensilità aggiuntive e le indennità sostitutive delle ferie), indipendentemente dalla cadenza della loro corresponsione (così, tra le tante, Cass. n. 17502 del 2009): come correttamente rilevato dai giudici di merito, per i periodi successivi al 31.12.2004 deve piuttosto operarsi riferimento all’importo della normale retribuzione che il lavoratore avrebbe percepito nel caso in cui avesse prestato attività lavorativa nel mese in cui si colloca l’evento assicurato, con esclusione quindi degli emolumenti extramensili, che – pur maturando mese per mese – diventano esigibili e vengono corrisposti solo in determinati momenti dell’anno, non potendo perciò ritenersi “ricorrenti e continuativi” ai sensi e per gli effetti della L. n. 183 del 2010, cit. art. 40.

Ne’ può sostenersi che, riferendosi ad “eventi (…) verificatisi nel corso del rapporto di lavoro”, la norma escluderebbe dal proprio ambito di operatività fattispecie come la disoccupazione o la mobilità, siccome periodi in cui il sostegno al reddito interviene in esito alla cessazione del rapporto di lavoro sottostante: benché tale opzione interpretativa sia stata autorevolmente sostenuta in dottrina, risulta al riguardo dirimente rilevare che le nuove modalità di calcolo si applicano sia “ai fini del calcolo della retribuzione annua pensionabile”, sia “per la liquidazione delle prestazioni a sostegno o integrazione del reddito”, tra le quali sono ovviamente ricomprese anche le prestazioni di disoccupazione e mobilità: e, come parimenti rilevato nella sentenza qui impugnata, sarebbe affatto illogico che una misura espressamente finalizzata a ridurre le spese per le prestazioni a sostegno e integrazione del reddito non trovasse applicazione allorché si tratti di considerare l’incidenza riflessa ai fini pensionistici dei periodi in cui tali prestazioni sono state percepite, specie tenendo conto della complessiva ratio della L. n. 183 del 2010, complessivamente finalizzata al contenimento della spesa previdenziale.

Proprio per ciò, la previsione dell’art. 40, cit., nella parte in cui esclude dal proprio ambito applicativo gli eventi assicurati verificatisi “al di fuori” del rapporto di lavoro, sembra piuttosto doversi riferire alle fattispecie di accredito figurativo correlate a eventi verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro e in cui la contribuzione figurativa è riconosciuta a domanda e non d’ufficio, come ad es. nei casi già disciplinati dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 56, lett. a). Il che permette di escludere che i periodi di disoccupazione, in cui invece la contribuzione figurativa viene riconosciuta d’ufficio, possano considerarsi altro che “eventi (…) verificatisi nel corso del rapporto di lavoro”: tanto più che, com’e’ noto, ai fini dell’accesso alle relative prestazioni previdenziali, la disoccupazione rileva solo in quanto sopravvenga “nel corso” di un rapporto di lavoro.

Nemmeno può sostenersi che l’applicazione della reformatio in peius dei criteri di calcolo della contribuzione figurativa ai periodi di disoccupazione successivi al 31.12.2004, espressamente prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 40, sia suscettibile di dubbi di costituzionalità per violazione del canone di irretroattività delle leggi, come pure argomenta parte ricorrente: è sufficiente al riguardo ricordare che il diritto alla pensione sorge nell’istante in cui si perfezionano nella sfera giuridica del soggetto protetto tutti i requisiti previsti dalla singola fattispecie pensionistica e che la legge può modificare nel tempo tanto i requisiti di accesso quanto le modalità di computo della prestazione pensionistica (così, tra le più recenti, Cass. n. 10432 del 2018); e non potendo che essere la legge stessa a consentire, attraverso previsioni transitorie di tipo discrezionale, la tutela delle aspettative formatesi nel vigore dell’assetto normativo precedente, è sufficiente nella specie rilevare che tale previsione discrezionale risulta precisamente dall’applicazione della modifica dei criteri di calcolo per i periodi di disoccupazione successivi al 31.12.2004, invece che per tutti quelli che astrattamente potevano esser fatti valere dai pensionandi al momento dell’entrata in vigore della L. n. 183 del 2010; e trattandosi di discrezionalità del legislatore in un ambito in cui non vi sono soluzioni costituzionalmente necessarie (c.d. “a rime obbligate”), non v’e’ logicamente spazio alcuno per il dubbio di costituzionalità.

Il ricorso, pertanto, va rigettato. La novità e complessità della questione suggerisce la compensazione delle spese del giudizio di legittimità. Sussistono invece i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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