Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.33221 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – est. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.M., (codice fiscale *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Marco Tiffi, del Foro di Mestre (VE), presso il cui studio è

elettivamente domiciliato in Mestre, Via Bissa n. 33;

– ricorrente –

contro

IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via del Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 5142/2019, pubblicata il 19/11/2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 marzo 2021 dal Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.

PREMESSO IN FATTO

– che il signor A., nato in ***** il *****, ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Venezia, che lo ha rigettato con ordinanza resa in data 10.11.2018;

Che la Corte di appello di Venezia ne ha rigettato l’impugnazione con sentenza del 19 novembre 2019;

– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese a causa di un prestito di 1.200.000 Taka mai restituito (perché utilizzato in gran parte per intraprendere il viaggio verso la Libia, che lo avrebbe poi condotto in Italia) ai mutuanti – uomini benestanti della sua città – che aveva ottenuto grazie alla personale garanzia prestata da un importante esponente politico del Paese, di nome S.A., il quale, dopo aver occupato la casa della sua famiglia, cacciando con la forza i genitori ed i fratelli, lo aveva telefonicamente minacciato di morte se non avesse pagato il suo debito e se fosse tornato in *****;

– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;

– che la Corte di appello ha rigettato le domande di riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, alla luce: 1) della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, pur avendo “tanto il Tribunale quanto la commissione territoriale ritenuto i fatti esposti dal ricorrente coerenti con le ragioni che lo avevano indotto ad abbandonare il proprio Paese”, non essendo tali fatti idonei a giustificare il riconoscimento delle dette forme di protezione internazionale, di tal che si ritenevano “meritevoli di condivisione le argomentazioni svolte dal giudice monocratico” (f. 7 della sentenza, che tali argomentazioni riporta testualmente, legittimamente adottando, in parte qua, il metodo della motivazione per relationem); 2) in particolare, della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), in conseguenza dell’inesistenza di un conflitto armato nel Paese di respingimento; 3) dell’impredicabilità di un’effettiva situazione di vulnerabilità del richiedente asilo idonea a giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione umanitaria;

– che il provvedimento è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di un unico, complesso motivo di censura;

– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.

OSSERVA IN DIRITTO 1. Col primo ed unico motivo, si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. e), artt. 4, 7,1416 e 17, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, artt. 10 e 32 Cost., e D.Lgs. n. 25 del 2008 in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

1.1. Il motivo, che si compone, in realtà, di più sub-motivi, è infondato nella parte in cui lamenta il mancato riconoscimento delle deu forme di protezione cd. “maggiori”.

1.2. Quanto al mancato riconoscimento dello status di rifugiato, si legge nella sentenza di appello, nella parte in cui riporta testualmente il contenuto della decisione di primo grado, che il relativo riconoscimento non era stato, peraltro, correttamente richiesto in quella sede.

1.2.1. La statuizione (al di là della sua conformità a diritto) non risulta impugnata in sede di appello, a tacere della circostanza per cui, sia pur ad abundantiam, il giudice di merito convincentemente spiega (al pari di quello di primo grado) i motivi del rigetto della domanda, senza che la difesa dell’odierno ricorrente muova, in parte qua, efficaci censure al provvedimento impugnato, limitandosi a sottoporre oggi alla Corte (f. 10, secondo capoverso del ricorso) le stesse considerazioni già svolte nel precedente grado di giudizio, e motivatamente disattese, non chiedendone altro che una difforme ricostruzione fattuale.

2. Non diversamente è a dirsi in ordine alle censure relative al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, che appaiono del tutto fuori fuoco con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), e manifestamente infondate quanto alla fattispecie di cui alla successiva lett. c), avendo la Corte di appello, sulla base di numerose COI attendibili e aggiornate, motivatamente escluso l’esistenza, nel Paese di provenienza del richiedente asilo, di un conflitto armato interno o internazionale, nel rispetto dei canoni più volte indicati dalla stessa giurisprudenza sovranazionale (Corte di giustizia, sentenze Diakite’ ed Elgafaji).

3. Il motivo è invece fondato nella parte in cui lamenta la mancata concessione della protezione umanitaria – come da richiesta formulata in udienza dallo stesso Procuratore generale della Corte d’appello di Venezia (f. 3 della sentenza impugnata).

3.1. In sintesi, lamenta il ricorrente:

– La mancata cooperazione istruttoria dell’organo giudicante, che avrebbe altresì trascurato il valore delle circostanze di fatto all’uopo richiamate specificamente in ricorso (f. 12);

La violazione dell’obbligo di comparazione, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, tra la situazione del Paese di origine, con specifico riguardo alla mancata tutela dei diritti umani fondamentali, ed il livello di integrazione raggiunto in Italia dal richiedente asilo.

La censura merita accoglimento.

3.1. La Corte di appello, dopo avere testualmente riportato il contenuto delle COI utilizzati al fine di escludere il riconoscimento della protezione sussidiaria sub specie dell’inesistenza di un conflitto armato, avrebbe poi sottolineato, in particolare, come il ***** fosse uno Stato “con gravi problemi economici e politici, spesso colpito da alluvioni che aggiungono ulteriore disperazione in un territorio già povero, ma non un Paese fuori controllo… nonostante si verifichino attentati terroristici, arresti in danno di oppositori e si siano registrati casi di violazione dei diritti umani…” (f. 8 della sentenza), ed avere altresì dato atto “dello svolgimento di attività lavorativa da parte del ricorrente” (f. 9), si esprimerà poi nel senso “della necessità di tenere pur sempre conto delle specifiche situazioni di vulnerabilità del soggetto… e dei rischi specifici cui andrebbe incontro una data persona nel caso di rientro nel Paese di origine… volta che lo svolgimento di un’attività lavorativa non può, di per se sola, giustificare la concessione del permesso umanitario”.

La motivazione non è conforme a diritto.

3.1.1. Correttamente il ricorrente lamenta, oltre che l’omesso esame di fatti decisivi (costituiti dalla situazione del Paese così come rappresentati dalla stessa Corte lagunare in sede di esame della domanda di protezione sussidiaria), anche l’illegittima omissione di qualsivoglia giudizio comparativo tra la situazione del richiedente asilo in Italia e la situazione oggettiva del Paese di origine, in spregio ai principi più volte affermati da questa Corte regolatrice in tema di protezione umanitaria, a mente dei quali, se, per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi concretamente di subire, atti persecutori come definiti dall’art. 7 (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti), così che la decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell’esistenza di un rischio, onde il requisito essenziale per il riconoscimento di tale forma di protezione consiste nel fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente asilo, alla luce di una violazione individualizzata – e cioè riferibile direttamente e personalmente al richiedente asilo in relazione alla situazione del Paese di provenienza, da compiersi in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito, diversa, invece, è la prospettiva dell’organo giurisdizionale in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale è necessaria e sufficiente (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto, peraltro, nella specie, nemmeno espressamente negata) la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità – accertamento che prende le mosse, e non può prescindere, dal dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre, significativamente, di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana (norma che, come è noto, fu oggetto di un intenso dibattito in Assemblea costituente, ed il cui contenuto immediatamente precettivo, nonostante il contrario avviso di una retriva e risalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, fu immediatamente rilevato dalla dottrina maggioritaria e definitivamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza delle sezioni unite del 26 maggio 1997, n. 4674): di qui, il riconoscimento della natura di diritto costituzionalmente garantito della situazione giuridica dei richiedenti asilo e quindi di “concreta e materiale esigibilità in via giurisdizionale” del relativo diritto soggettivo – un diritto perfetto, pertanto, in quanto il suo fondamento necessario e sufficiente, nonché la sua causa di giustificazione risiedono entrambi nella sola Costituzione.

3.2. Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, pertanto, deve ritenersi necessaria e sufficiente la valutazione dell’esistenza e della comparazione degli indicati presupposti (per tutte, Cass. 8819/2020; Cass. 19337/2021), che non sono condizionati dalla eventuale valutazione negativa di credibilità del ricorrente – o, comunque, dal contenuto della sua narrazione, ove pur ritenuta credibile ma non rilevante ai fini della concessione della misura di protezione invocata, come nella specie.

3.3. Il riconoscimento della protezione umanitaria postula – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, estensivamente interpretato, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine, ed eventualmente di acquisizione documentale (Cass. n. 28435/2017; Cass. 18535/2017; Cass. 25534/2016), in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), ma senza incorrere nell’errore di utilizzare le fonti informative che escludano (a torto o a ragione) l’esistenza di un conflitto armato interno o internazionale (rilevanti al solo fine di valutare la domanda di protezione internazione sub specie del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c)) – al diverso fine di valutare la situazione del Paese di origine sotto l’aspetto della mancata tutela dei diritti umani e del loro nucleo incomprimibile – di cui pure il provvedimento impugnato sembra esplicitamente e correttamente dare atto (supra, sub 3.1.), nel riportare il contenuto delle COI utilizzate per escludere l’esistenza di un conflitto armato.

3.4. Va pertanto riaffermato il principio di diritto, cui il giudice di rinvio si atterrà nel riesaminare la domanda di protezione umanitaria, alla luce del quale, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del suo riconoscimento, occorre operare la valutazione comparativa della situazione oggettiva, oltre che eventualmente soggettiva, del richiedente asilo con riferimento al Paese di origine sub specie della libera esplicazione dei diritti fondamentali della persona, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza – pur senza che abbia rilievo esclusivo l’esame del livello di integrazione, se isolatamente ed astrattamente considerato.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il provvedimento impugnato e rinvia il procedimento alla Corte di appello di Venezia, che, in diversa composizione, farà applicazione dei principi di diritto suesposti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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