Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.33225 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 30837/19/19 proposto da:

-) Y.L., elettivamente domiciliata a Torino, via Librario n. 12, presso l’avvocato Massimo Pastore, che lo difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Torino 3.9.2019 n. 5435;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 maggio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. Y.L., cittadina *****, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui AL D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese per sfuggire alle persecuzioni sofferte, ivi compreso l’arresto arbitrario gli atti di violenza, a causa del proprio credo religioso.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento Y.L. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Torino, che la rigettò con decreto 3.9.2019.

Il Tribunale ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi perché il racconto della richiedente era inattendibile;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perché nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non potesse essere concessa in quanto la richiedente non era attendibile.

3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da Y.L. con ricorso fondato su due motivi.

Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo la ricorrente, senza formalmente inquadrare la censura in alcuno dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., lamenta contemporaneamente la “omessa motivazione”, il “difetto ed erroneità della motivazione”, e la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,4,5,6,14 e 32.

Nella illustrazione del motivo si deduce che, avendo il Tribunale ammesso sulla base dei documenti prodotti in causa – che ad oggi la richiedente aderisce alla “*****”, per ciò solo le si sarebbe dovuta riconoscere la protezione sussidiaria, in quanto sarebbe “esposta ad un rischio concreto per la propria incolumità” se rientrasse in *****.

1.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.

In primo luogo è inammissibile perché travisa il contenuto della sentenza impugnata. Il Tribunale, infatti, non ha mai affermato che siano autentici ed attendibili i documenti attraverso i quali la ricorrente intese dimostrare la sua attuale adesione ad un credo religioso perseguitato in *****.

Il Tribunale ha, al contrario, ritenuto che quei documenti erano “generici” e comunque “irrilevanti”.

Il Tribunale dunque né ha omesso di compiere le necessarie valutazioni dei fatti di causa, né ha ritenuto che fosse certa e dimostrata l’adesione in atto della ricorrente ad un credo oggetto di persecuzioni nella sua madrepatria.

1.2. In secondo luogo il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata.

Infatti, una volta ritenuta dal Tribunale “generica” la prova dell’adesione della ricorrente ad una certa fede religiosa, coerentemente è stato escluso che la ricorrente fosse esposta a rischi di persecuzione in caso di rimpatria.

La ricorrente tuttavia, incurante di tale motivazione, deduce che il Tribunale avrebbe “del tutto omesso di valutare l’impatto” che il rimpatrio avrebbe per la sua incolumità personale, senza però impugnare in alcun modo il capo di sentenza in cui si è ritenuta “generica” la prova della sua adesione alla confessione religiosa denominata “*****”.

2. Col secondo motivo la ricorrente impugna il rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Sostiene che il Tribunale ha completamente omesso di valutare se il rientro in ***** possa determinare “un grave rischio per la sua incolumità e l’impossibilità di esercitare pienamente diritti fondamentali quali la libertà religiosa e la libertà di espressione”.

2.1. Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza.

Il Tribunale infatti ha rigettato la domanda di protezione umanitaria sul presupposto che l’inattendibilità della richiedente precludeva il rilascio della protezione umanitaria.

Giusta o sbagliata che fosse tale affermazione, essa non è minimamente censurata dalla ricorrente, la quale torna ad insistere sul fatto che, aderendo ad un credo religioso oggetto di persecuzioni in *****, non potrebbe essere rimpatriata.

Ma, da un lato, per quanto già detto, correttamente il Tribunale ha affermato che l’inattendibilità della richiedente escludeva la fondatezza della domanda di protezione D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. a) e b); dall’altro lato, la mancanza di impugnazione della ratio decidendi rappresentata dall’inattendibilità della ricorrente impedisce a questa Corte di esaminarne la correttezza.

3. Non è luogo a provvedere sulle spese, dal momento che la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 25 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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