LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 31189/19 proposto da:
-) S.P.Y., elettivamente domiciliato a Milano via Lamarmora 42, presso l’avvocato Daniela Gasparin che lo difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
-) Ministero dell’Interno;
– resistente –
avverso il decreto del Tribunale di Milano 6 settembre 2019 n. 7118;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 maggio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
FATTI DI CAUSA
1. S.P.Y., cittadino *****, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).
A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese dopo che la sua vita era diventata “insostenibile” a causa di un conflitto endofamiliare per ragioni di eredità.
La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.
2. Avverso tale provvedimento S.P.Y. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Milano, che la rigettò con decreto 6.9.2019.
Il Tribunale ritenne che:
-) la domanda di concessione della status di rifugiato era stata abbandonata;
-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) non potesse essere concessa perché i fatti riferiti dal richiedente non integravano gli estremi di una persecuzione, ma solo una vicenda privata;
-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perché nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;
-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non potesse essere concessa in quanto il richiedente non si trovava in una condizione di vulnerabilità: aveva in ***** una famiglia composta da mare, moglie e figli, e non era esposto a particolari rischi legati alla situazione del paese di provenienza.
3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da S.P.Y. con ricorso fondato su tre motivi.
Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b).
Sostiene che anche le persecuzioni provenienti da privati giustificano la concessione della protezione sussidiaria, se le autorità statali non sono in grado di fornire protezione.
Aggiunge che il Tribunale ha trascurato di accertare l’effettività della protezione e tutela che lo stato di provenienza del richiedente era in grado di offrire.
1.1. Il motivo è inammissibile per totale fraintendimento della ratio decidendi. Il Tribunale, infatti, ha rigettato la domanda non già sul presupposto che il richiedente fosse sì perseguitato, ma fosse perseguitato da privati.
Il Tribunale ha rigettato la domanda sul presupposto che il richiedente non fosse affatto perseguitato, che avesse soltanto un litigio con i suoi familiari, e che l’arresto (conclusosi peraltro con una assoluzione) era avvenuto non già perché falsamente denunciato, ma per avere egli “aggredito, insieme al fratello, i propri parenti”.
Il motivo, in sostanza, censura una statuizione che nel decreto impugnato non c’e’.
2. Il secondo del terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, perché pongono questioni strettamente intrecciati.
Con ambedue i suddetti motivi il ricorrente impugna il rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Deduce che il Tribunale avrebbe trascurato di esaminare ex officio la situazione oggettiva del paese di provenienza, ed il rischio che, in caso di rimpatrio, i diritti inviolabili dell’odierno ricorrente potessero essere vulnerati nel loro nucleo irriducibile.
2.1. I motivi sono fondati.
Le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a stabilire come debba interpretarsi la nozione di “vulnerabilità” che costituisce il fondamento del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina applicabile ratione temporis), hanno affermato che tale presupposto di fatto può ricorrere in due serie di ipotesi (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02).
Giustifica il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in primo luogo, la “vulnerabilità soggettiva”, e cioè quella dipendente dalle condizioni personali del richiedente (come nel caso, ad esempio, dei motivi di salute o di età).
Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, tuttavia, può essere giustificato anche dalla “vulnerabilità oggettiva”: e cioè quella dipendente dalle condizioni del paese di provenienza del richiedente.
Sussiste, in particolare, una condizione di vulnerabilità oggettiva quando nel paese di provenienza del richiedente protezione sia a questi impedito l’esercizio dei diritti fondamentali della persona. Impedimento che non necessariamente deve essere di diritto, ma può essere anche soltanto di fatto.
2.2. Da ciò discendono due corollari.
Il primo è che la ritenuta falsità delle dichiarazioni compiute dal richiedente protezione impedisce di ritenere dimostrata una condizione di vulnerabilità soggettiva, ma non osta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, laddove ricorressero le condizioni di vulnerabilità oggettiva.
E’ infatti evidente che una persona cui nel proprio Paese sia impedito l’esercizio dei diritti fondamentali non possa essere rimpatriata, a nulla rilevando che nel chiedere protezione abbia dimostrato la prudentia serpis, piuttosto che la simplicitas columbae.
2.3. Il secondo corollario è che la sussistenza delle condizioni di vulnerabilità oggettiva deve essere accertata d’ufficio, ricorrendo a fonti di informazione attendibili ed aggiornate sul paese di provenienza del richiedente (a meno che, ovviamente, il giudizio di inattendibilità non investa addirittura la provenienza stessa del richiedente).
2.4. Nel caso di specie, il Tribunale non si è attenuto a questi principi ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità.
Infatti il Tribunale ha correttamente accertato ex officio se in ***** sussista una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, ma altrettanto non ha fatto al fine di accertare se i diritti inviolabili della persona siano o non siano, nel paese di provenienza del richiedente, gravemente compromessi in modo intollerabile.
Il Tribunale infatti ha negato la sussistenza di condizioni oggettive di vulnerabilità del richiedente, affermando che questi nel caso di rimpatrio non si troverebbe esposto a rischi di sorta, sulla base degli elementi “già compiutamente analizzati in precedenza”.
Gli elementi “già compiutamente analizzati in precedenza”, tuttavia, sono rappresentati da fonti di informazione dalle quali il Tribunale ha tratto la conclusione della insussistenza in ***** di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.
Da quelle fonti, tuttavia, quale che ne fosse l’effettivo contenuto, il Tribunale non ha tratto alcuna informazione, che sia stata esposta in motivazione, concernente la tutela dei diritti umani.
2.5. Il decreto va dunque cassato con rinvio al Tribunale di Milano, in differente composizione, il quale tornerà ad esaminare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, indagando ex officio sulla esistenza o meno nel Paese di provenienza del richiedente di una grave compromissione dei diritti umani fondamentali, e sulla possibilità che il richiedente in caso di rimpatrio possa esservi esposto.
3. Il terzo motivo di ricorso resta assorbito.
4. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
(-) rigetta il primo motivo di ricorso;
(-) accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 25 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021