LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34090-2018 proposto da:
R.P., rappresentato e difeso da se stesso, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ESTER ADA SCIPLINO, LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 134/2018 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 16/05/2018 R.G.N. 318/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/04/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA.
RITENUTO
CHE:
Con sentenza del 16.5.18, la corte d’appello di Campobasso, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di opposizione ad avviso di addebito dell’Inps notificato all’avv. R. in relazione all’iscrizione alla gestione separata.
In particolare, la corte territoriale ha ravvisato l’obbligo di iscrizione ed ha ritenuto interrotto il termine prescrizionale.
Avverso tale sentenza ricorre il contribuente per quattro motivi cui resiste l’INPS con controricorso. La causa è stata rimessa a questa Sezione dalla 6a Sezione civile con ordinanza interlocutoria n. 23305 del 23 ottobre 2020.
CONSIDERATO
CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 25 e 26 e D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12 per aver trascurato la non obbligatorietà della iscrizione alla gestione separata e la non abitualità dell’attività professionale svolta.
Con il secondo motivo si deduce violazione alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9 del D.P.C.M. 10 giugno 2010, per erronea considerazione del dies a quo dell’obbligo contributivo ai fini del decorso del termine prescrizionale, essendo allo scopo irrilevante il citato D.P.C.M., che riguarda solo chi rientra nell’applicazione degli studi di settore (non essendo invece tale il ricorrente).
Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., per aver trascurato l’inammissibilità dell’appello in relazione alla sua formulazione.
Con il quarto motivo, formulato in via subordinata, si deduce violazione dell’artt. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla censura di sproporzionalità delle sanzioni applicate.
Il primo motivo è infondato.
L’obbligo di iscrizione alla gestione separata L. n. 335 del 1995, ex art. 2, comma 26 è rivolto a chiunque percepisca un reddito derivante dall’esercizio abituale, anche se non esclusivo, di attività autonoma, ma anche nel caso di attività occasionale da cui derivi reddito superiore al limite indicato nell’art. 44 comma 2 Decreto n. 269 del 2003. Il detto obbligo, come questa Corte ha già precisato (v., tra le altre, Cass. Sez. L, Sentenza n. 32167 del 12/12/2018, Rv. 652030 – 01), è espressione del principio di universalizzazione delle tutela assicurativa L. n. 335 del 1995, ex art. 2, comma 26 destinato ad operare anche nel caso di iscrizione ad altra cassa e non precluso dal versamento di contribuzione integrativa (atteso che questa non attribuisce copertura e dunque non può rilevare per escludere la tutela).
Poiché il reddito dichiarato è pacificamente superiore ai 5000 Euro annui, non può operare neppure l’esclusione dell’obbligo prevista nel Decreto n. 269 del 2003, art. 44, comma 2.
Il Collegio ritiene il secondo motivo del pari infondato.
Occorre premettere che il termine di prescrizione dei crediti contributivi decorre dalla data di scadenza del termine di pagamento di contributi e non da quello di presentazione della dichiarazione dei redditi: questa Corte ha infatti già precisato (cfr., da ultimo, Cass. Sez. L, 9 luglio 2020, n. 14638; Cass. 18 luglio 2019, n. 19403; Cass. 31 ottobre 2018, n. 27950) che il termine di prescrizione decorre dal momento in cui scadono i termini per il pagamento dei predetti contributi e non dalla successiva data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa, in quanto la dichiarazione in questione, quale esternazione di scienza, non costituisce presupposto del credito contributivo.
Ciò posto, prima ancora che l’inidoneità del citato D.P.C.M. ad incidere sui termini di prescrizione per gli accertamenti d’imposta (esclusa in fattispecie analoghe da Cass. Sez. VI-I, n. 12779 del 16/9/2019, prevedendo la disciplina solo una facilitazione di pagamento di un debito già maturo e scaduto), va evidenziato che il decreto del presidente del Consiglio è atto amministrativo che prevede proroga relativa ai versamenti di Unico 2010, sicché, applicandosi la proroga, il termine nella specie non è pacificamente decorso.
Il ricorrente deduce che il D.P.C.M. si applicherebbe solo con riferimento ai contribuenti soggetti agli studi di settore, mentre è pacifico tra le parti che il ricorrente non ricada in quest’ambito soggettivo (essendo soggetto invece al c.d. regime dei contribuenti minimi disciplinato alla L. n. 244 del 2007, art. 1, commi da 96 a 117).
La deduzione è però irrilevante, avendo questa Corte (Cass. Sez. L, sentenza n. 10273 del 19/4/21) già affermato che, giusta la lettera dell’art. 1, comma 1 D.P.C.M. cit., il differimento del termine di pagamento concerneva tutti “contribuenti (…) che esercitano attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di settore” e non soltanto coloro che, in concreto, alle risultanze di tali studi fossero fiscalmente assoggettati per non aver scelto un diverso regime d’imposizione, quale quello di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 1, commi 96 e ss.. Il termine, infatti, per il pagamento dei contributi, e quindi per il decorso del termine prescrizionale, non può che essere unico per tutti i soggetti, a prescindere dalle condizioni soggettive concrete dei soggetti obbligati.
Il terzo motivo è inammissibile, per violazione del principio di autosufficienza, in quanto il ricorrente censura le modalità di redazione dell’atto di appello senza indicare le stesse e senza rapportare l’appello alla decisione di primo grado, al fine di consentire a questa Corte di valutare la sussistenza del vizio denunciato.
Inammissibile è infine il quarto motivo di ricorso, con il quale si lamenta un’omessa pronuncia sulle censure di sproporzionalità delle sanzioni, atteso che da un lato il vizio di omessa pronuncia deve essere sollevato dalla parte ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 a pena di inammissibilità (Sez. 6 5, Sentenza n. 11801 del 15/05/2013, Rv. 626729 – 01; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 329 del 12/01/2016, Rv. 638341 – 01), e dall’altro lato che il vizio in discorso può rilevare solo in quanto relativo a domanda caratterizzata dalla decisività, mentre, nella specie, difetta il detto carattere, in quanto comunque si applica – quale conseguenza della decisione sui capi diversi della sentenza impugnata – il regime dell’evasione contributiva, in considerazione della mancata iscrizione alla gestione.
Ne deriva il rigetto del ricorso.
Spese secondo soccombenza.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1100,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021