Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33265 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 936-2020 proposto da:

D.Y., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FABRIZIO IPPOLITO D’AVINO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA, SEZIONE DI PADOVA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 4756/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 04/11/2019 R.G.N. 4371/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. LEO GIUSEPPINA.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. la Corte territoriale di Venezia, con sentenza pubblicata in data 4.11.2019, ha rigettato l’appello proposto da D.Y., cittadino del Gambia, avverso l’ordinanza resa dal Tribunale della stessa sede il 3.11.2017, che aveva respinto il ricorso del medesimo avverso il provvedimento emesso dal Ministero dell’Interno-Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Verona-Sezione di Padova, con il quale erano state disattese le domande del richiedente, dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, del diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, ovvero del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari il D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6;

2. la Corte di merito ha osservato che la storia narrata dal richiedente asilo presenta molte lacune e non può essere posta a fondamento della protezione umanitaria, costituente l’unica domanda riproposta in sede di gravame; e che, inoltre, “la storia narrata dall’appellante dimostra un buon grado di “serietà” del sistema giustizia del Gambia, essendo stato lo Y. perseguito per un fatto di reato, asseritamente perpetrato in danno del capo villaggio, che lo stesso ammette di avere consumato e di essere stato scarcerato, evidentemente in quanto assoggettato ad una misura cautelare, avendo assolto all’obbligo di pagamento di una cauzione; fatto quest’ultimo che dimostra l’insussistenza di intenti gratuitamente persecutori nei suoi confronti”;

3. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.Y. articolando due motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al solo fine “di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione”;

4. il P.G. non ha formulato richieste.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. con il primo motivo si lamenta l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio sulla domanda di protezione umanitaria, con particolare riferimento sia alle condizioni personali del ricorrente sia alla violazione di diritti umani in atto nel Paese di provenienza”;

2. con il secondo motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la “nullità della sentenza con riferimento al capo relativo al rigetto della domanda di protezione umanitaria, per aver illegittimamente motivato per relationem sul punto”;

3. I motivi – da trattare congiuntamente per ragioni di connessione – sono inammissibili, innanzitutto perché generici e privi altresì del requisito di autosufficienza, non avendo il ricorrente dato conto di come e quando nei gradi di merito egli avrebbe allegato e provato la circostanza dell’inserimento lavorativo in Italia o della particolare situazione di vulnerabilità di altri elementi ostativi al rimpatrio che la Corte territoriale non avrebbe correttamente valutato (cfr., tra le altre, Cass. n. 7831/2019). Inoltre – per ciò che più in particolare attiene al secondo motivo, con il quale, in sostanza, si lamenta un vizio ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, – va rilevato che tale vizio sussiste solo quando la pronuncia evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice al proprio convincimento, come, ad esempio, accade, quando non vi sia alcuna esplicitazione del quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito: ipotesi, queste, che non si ravvisano nella fattispecie, in cui, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., i giudici di appello, a pag. 3 della sentenza impugnata, hanno motivatamente fatto proprio il ragionamento del primo giudice in ordine alla non credibilità dell’appellante, esplicitando, a pag. 4 della sentenza, i motivi per i quali non hanno ritenuto che sussistessero i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno;

4. ciò premesso, è da rilevare che la decisione impugnata appare, comunque, in linea con gli arresti giurisprudenziali di questa Corte, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione in Italia “deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza” (cfr., tra le altre, Cass. nn. 29857/2020; 4455/2018); elementi, tutti, circa i quali il ricorrente non ha fornito alcun supporto delibatorio;

5. per le considerazioni innanzi svolte, il ricorso va dichiarato inammissibile;

6. nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio, non essendo stata svolta attività difensiva dal Ministero intimato;

7. avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali (cfr. Cass., SS.UU. n. 4315/2020) di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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