Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33266 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 196-2017 proposto da:

MONTEBIANCO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI, 57, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO ALIBERTI, rappresentata e difesa dall’avvocato PATRIZIA CASTIGLIONI;

– ricorrente –

contro

C.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 874/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 18/07/2016 R.G.N. 1766/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/01/2021 dal Consigliere Dott. BALESTRIERI FEDERICO.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

Con sentenza n. 94/13, il Tribunale di Lodi respingeva la domanda di declaratoria di illegittimità del licenziamento per ragioni organizzative intimato il 1.3.10 dalla s.p.a. Montebianco al suo dirigente C.S. (in sostanza direttore della produzione).

Con sentenza depositata il 18.7.16, la Corte d’appello di Milano riteneva invece illegittimo il recesso e condannava la società a pagare l’indennità supplementare in misura di 20 (su di un massimo di 21) mensilità di retribuzione.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a tre motivitcui resiste il C. con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1) con primo motivo la società denuncia la violazione dell’art. 434 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto rituale il gravame proposto dal C..

Il motivo è infondato.

La Corte osserva infatti che il nuovo testo dell’art. 434 c.p.c., non prevede che l’appellante debba proporre “un ragionato progetto alternativo di decisione”, quanto piuttosto di individuare, senza l’adozione di formule particolari, in modo chiaro ed esauriente il “quantum appellatum”, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata (Cass. 5.2.2015 n. 2143).

Non è dunque più applicabile il principio, esposto da qu2sta Corte con riferimento alla precedente formulazione dell’art. 434 c.p.c., secondo cui la valutazione dell’osservanza dell’onere di specificità de motivi di impugnazione spetti al giudice di merito, mentre il giudice di legittimità può solo indirettamente verificare tale profilo avuto riguardo alla correttezza giuridica del procedimento interpretativo e alla logicità del suo esito (Cass. 27.5.2014 n. 11828); deve invece oggi ritenersi, valutato il tenore della novella e l’espressa riconducibilità alla categoria dell’inammissibilità dell’atto difforme al modello legale prescritto dal legislatore, che questa Corte possa valutare, quale giudice del fatto processuale (Cass. sez. un. 8077/12, Cass. n. 24481/14), la conformità del ricorso in appello alla luce dei nuovi requisiti.

E’ tuttavia pur vero, come evidenziato dalla medesima pronuncia n. 8077/12, che tale attività da parte della S.C. è subordinata alla condizione che la censura sia stata proposta in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito, ed in particolare dell’art. 366 c.p.c.. A tal fine occorre evidenziare che la ricorrente neppure produce l’atto di gravame, limitandosi a lamentare che esso non era conforme al modello legale.

In tale contesto questa Corte non può che confermare quanto al riguardo congruamente osservato dalla corte di merito, e cioè che il gravame del C. era sufficientemente specifico, contestando chiaramente le affermazioni contenute nella sentenza di primo grado. Dall’altro lato, occorre rilevare (come evidenziato da Cass. S.U. n. 5700 del 2014 e Cass. S.U. n. 9558 del 2014), che la Corte di Strasburgo afferma che le limitazioni all’accesso alla tutela giurisdizionale per motivi formali non devono pregiudicare l’intima essenza di tale diritto; in particolare tali limitazioni non sono compatibili con l’art. 6, comma 1 CEDU qualora esse non perseguano uno scopo legittimo, ovvero qualora non vi sia una ragionevole relazione di proporzionalità tra il mezzo impiegato e lo scopo perseguito (v. tra le altre Corte EDU Walchli c. Francia 26 luglio 2007, Faltejsek c. Repubblica Ceca 15 maggio 2008). La stessa Corte EDU ha poi affermato che il vincolo del rispetto del diritto ad un processo equo imposto dall’art. 6, comma 1 della CEDU si applica anche ai provvedimenti di autorizzazione all’impugnazione (Corte EDU, Hansen c. Norvegia, 2 ottobre 2014, Dobric c. Serbia, 21 luglio 2011, punto 50).

2. Con secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1375 c.c. e art. 41 Cost., per avere la Corte di merito escluso la giustificatezza del recesso intimato al C. senza considerare che la soppressione della sua posizione lavorativa era stata determinata sia da esigenze organizzative, sia da motivi economici stante l’evidente riduzione dei ricavi netti d’impresa, come già accertato dal giudice di prime cure.

Il motivo è fondato.

Deve infatti considerarsi che la sentenza d’appello ha ritenuto il licenziamento de quo, pur intimato ad un dirigente, privo di una effettiva ragione obiettiva-organizzativa, invece indicata dall’azienda a fondamento del licenziamento. La Corte di merito ha anzi ritenuto, in base all’esame di taluni testimoni, che tale recesso fosse pretestuoso essendo emerso che la “catena di comando” (la cui modifica era stata posta a base del recesso e quo) non era nella sostanza mutata, pur avendo accertato che nelle funzioni di responsabile di stabilimento il C. era stato sostituito da tal R. e pur avendo accertato (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) che vi era l’esigenza di ridurre il costo aziendale.

La Corte d’appello non ha in sostanza considerato che per il licenziamento di un dirigente è sufficiente una qualsiasi ragione obiettiva (organizzativa, economica, etc.) non sindacabile dal giudice di merito, tanto, meno sotto il profilo della sua adeguatezza (come mostra di ritenere la sentenza impugnata) (Ndr: testo originale non comprensibile) che spetta solo all’azienda valutare. Il motivo deve essere in definitiva accolto, la sentenza impugnata cassata sul punto con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della controversia e per la regolazione delle spese, comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

3. Il terzo motivo, inerente il quantum dell’indennità supplementare riconosciuta dalla sentenza impugnata, resta evidentemente assorbito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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