Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33269 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2896-2020 proposto da:

A.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO GOTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SIRACUSA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

avverso il decreto del Tribunale di Caltanisetta indicato in atti;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di ud consiglio del 26/05/2021 dal Consigliere Dott. PONTERIO Carla.

RILEVATO IN FATTO

che:

1. Il Tribunale di Caltanissetta ha respinto il ricorso proposto A.M., cittadino pakistano, avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, che aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. Il richiedente aveva raccontato, dinanzi alla Commissione, di aver lasciato il paese d’origine nel 2010, dopo che il padre e il fratello erano stati uccisi dai parenti di una ragazza con cui il fratello era fuggito per qualche giorno; che il padre gestiva una fabbrica per la produzione di stoviglie che era stata chiusa subito dopo la morte del predetto a causa dei debiti accumulati e per l’impossibilità e incapacità dello stesso ricorrente di condurla da solo; che egli era fuggito dal Pakistan perché minacciato e anche perché era l’unico uomo della famiglia e come tale avrebbe dovuto occuparsi anche da lontano della madre, della moglie e dei suoi quattro figli rimasti nel paese d’origine.

3. Aveva aggiunto, in sede di audizione dinanzi al Tribunale, di essere stato minacciato dai parenti della ragazza anche per il possesso di alcune proprietà, di cui però la famiglia della ragazza si era già impossessata al momento della partenza del richiedente.

4. Il Tribunale ha giudicato non verosimile il racconto rilevando una serie di incongruenze nella narrazione e plurime discrepanze temporali riguardanti la morte dei congiunti e la chiusura della fabbrica. Ha rilevato come l’intera vicenda narrata presentasse profili stereotipati e apparisse poco plausibile in base alla circostanza, riferita dallo stesso ricorrente, secondo cui la sua famiglia vive da nove anni in un’altra cittadina, distante da G., senza aver mai subito minacce o ritorsioni. Ha osservato come i fatti narrati risalissero comunque a nove anni fa e che non fosse pertanto attuale il pericolo paventato dal ricorrente.

5. Il Tribunale ha escluso, utilizzando fonti affidabili e aggiornate (Easo 20182019), che ricorressero i presupposti per la protezione internazionale ed ha accertato l’assenza di integrazione socio lavorativa del ricorrente in Italia, quale requisito per la protezione umanitaria.

6. Avverso il provvedimento del Tribunale il richiedente la protezione ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.

7. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

8. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14 lett. c), nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente in Pakistan e all’omessa attività istruttoria, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

9. Si assume che il Tribunale non abbia svolto un’adeguata attività istruttoria in ordine alle condizioni socio-politiche dell’area di provenienza del ricorrente, il Punjab, e si cita un procedimento tenuto dinanzi al Tribunale di Firenze in cui il pubblico ministero ha espresso parere favorevole alla concessione della protezione sussidiaria nei confronti di un cittadino proveniente dalla medesima regione.

10. Il motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità, in quanto si limita a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle fonti specificamente consultate in relazione alla domanda di protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), senza tuttavia evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate.

11. Questa Corte (Cass. n. 4037 del 2020; n. 23999 del 2020; n. 26728 del 2019) ha chiarito che, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria.

12. Nel caso in esame, il Tribunale ha richiamato e riportato fonti attendibili e aggiornate, peraltro riferite alla specifica regione di provenienza del richiedente, e le censure mosse col ricorso in esame non contengono alcun riferimento a fonti alternative né puntuali e motivate critiche alla idoneità delle fonti utilizzate.

13. Per le ragioni esposte, il ricorso va dichiarato inammissibile.

14. Nulla va disposto sulle spese atteso che il Ministero non ha svolto attività difensiva.

15. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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