Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33275 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5083-2020 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GABRIELE CAMOZZI 9, presso lo studio dell’avvocato STEFANO ROSSI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CRISTIANO PRESTINENZI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. 6580/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il 30/12/2019 R.G.N. 7346/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/09/2021 dal Consigliere Dott. PICCONE VALERIA.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

– S.B. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Bologna depositata il 30 dicembre 2019, di reiezione della impugnazione del provvedimento emesso dalla Commissione Territoriale che aveva respinto la sua domanda per il riconoscimento della protezione internazionale e della protezione umanitaria;

– dall’esame della decisione impugnata emerge che a sostegno della domanda il richiedente aveva allegato che era originario del Bangladesh e di essersene allontanato in cerca di migliori condizioni di vita aggiungendo di essere stato truffato e rapito in Libia e che non sarebbe stato in grado di far fronte ai debiti contratti dalla propria famiglia per liberarlo ove avesse fatto rientro nel Paese d’origine;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– il Ministero dell’Interno ha presentato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

– con il primo motivo la parte ricorrente deduce la violazione della L. n. 46 del 2017, artt. 1 e 2 istitutiva delle sezioni specializzate in tema di protezione internazionale;

– con il secondo motivo si allega l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;

– con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 5, nonché motivazione apparente;

– con il quarto motivo si deduce la violazione della D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32;

– il primo motivo è infondato alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte sulla costituzione del giudice ed in considerazione della recente pronunzia delle Sezioni Unite n. 5425 del 2021 che, riferendosi al caso peculiare di delega a magistrato onorario, hanno affermato che non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale, su delega del giudice professionale designato per la trattazione del ricorso, abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, commi 10 e 11, tale attività rientra senza dubbio tra i compiti delegabili al giudice onorario in considerazione della analogia con l’assunzione dei testimoni e del carattere esemplificativo dell’elencazione ivi contenuta;

in ordine, poi, all’omesso esame di un fatto decisivo, consistente nell’esame delle risultanze istruttorie acquisite in ordine alla tratta e ai debiti usurari, giova evidenziare che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appelio o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);

relativamente, poi, alla denunziata motivazione apparente, va rilevato che questa Corte, proprio in tema di protezione internazionale, ha affermato che in caso di censura per motivazione mancante, apparente o perplessa, spetta al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass. n. 13578 del 02/02/2020) e, d’altra parte, per aversi motivazione apparente occorre che la stessa, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (sul punto, fra le altre, Cass. n. 13248 del 30/06/2020) e tale ipotesi non ricorre senza dubbio nel caso di specie;

deve, piuttosto rilevarsi, avuto riguardo al complesso delle censure avanzate nei motivi di ricorso – da riguardarsi congiuntamente per ragioni logico sistematiche – che le stesse, pur ponendosi in termini di violazioni di legge, mirano, in realtà, ad una diversa valutazione della vicenda, inammissibile in sede di legittimità in assenza di determinati presupposti;

in particolare, le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di ” vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, salvo che emerga il difetto di tutela da parte delle competenti Autorità, non rientrando né nelle forme dello “status” di rifugiato (art. 2, lett. e), né nei casi di protezione sussidiaria (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave solo ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (sul punto, fra le altre, Cass. n. 23281 del 2020);

– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso va, quindi, respinto;

– non sono dovute spese, atteso che il ricorso viene deciso in adunanza camerale, in relazione alla quale – assente la discussione orale – l’atto di costituzione del Ministero risulta irrilevante ex art. 370 c.p.c., comma 1;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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