LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21528-2018 proposto da:
N.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIA 88, presso lo studio dell’avvocato STEFANO VINTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA TERESA GRASSI;
– ricorrente –
contro
CONSORZIO TOSCANO COOPERATIVE C.T.C. SOCIETA’ COOPERATIVA IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 11/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 09/01/2018 R.G.N. 537/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/09/2021 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA, ha depositato conclusioni scritte.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. con sentenza 9 gennaio 2018, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., la Corte d’appello di Firenze dichiarava N.A. decaduta dall’impugnazione del licenziamento intimatole dal Consorzio Toscano Cooperative (CTC) s.c., attualmente in liquidazione coatta amministrativa ed improseguibili le domande dalla medesima proposte: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece condannato il Consorzio al pagamento, in suo favore, delle somme di Euro 50.000,00 per prestazioni professionali, di Euro 120.000,00 per risarcimento del danno conseguente ad anticipata risoluzione del rapporto, di Euro 50.000,00 per ulteriore risarcimento del danno e di Euro 12.720,00 per rimborso spese di noleggio;
2. a motivo della decisione, essa riteneva tardiva l’impugnazione del licenziamento (tale qualificata la comunicazione di risoluzione del rapporto dalla professionista, che ne aveva allegato la natura di subordinazione, nonostante la sua formale modulazione in una serie di incarichi professionali), intimatole il 7 marzo 2012, con lettera del 3 maggio 2012 e quindi con ricorso giudiziale del 30 gennaio 2013, oltre i duecentosettanta giorni prescritti, a pena di decadenza, dal L. n. 183 del 2010, art. 32. Quanto alle domande di condanna al pagamento di somme a titolo retributivo e risarcitorio, la Corte fiorentina ne riteneva l’improseguibilità, per l’apertura della procedura concorsuale nelle more del giudizio;
3. con atto notificato il 9 luglio 2018, la lavoratrice ricorreva per cassazione con tre motivi, mentre il Consorzio in liquidazione coatta amministrativa, ritualmente intimato, non svolgeva difese;
4. il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis inserito da L. conv. n. 176 del 2020.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. la ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 132,156 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., per violazione del diritto di difesa, per contrasto tra dispositivo e motivazione e per vizio di motivazione, per l’erronea pronuncia di riforma, in luogo di conferma, della sentenza del Tribunale, che già aveva dichiarato la decadenza della professionista dall’impugnazione del licenziamento e dovendo la dichiarazione di improseguibilità di “tutte le… domande poste dalle parti in via principale ed in via incidentale”, essere intesa in riferimento al solo grado d’appello e non anche al primo, concluso prima della collocazione del Consorzio in l.c.a. (primo motivo); nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 92,132 e 156 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., per violazione del diritto di difesa, per contrasto tra dispositivo e motivazione e vizio di motivazione, in assenza di illustrazione delle ragioni di decisione: tanto degli effetti dell’apertura della procedura concorsuale in corso di appello (e non prima della pronuncia del giudice, cui relativi gli arresti di legittimità richiamati); tanto di decadenza dall’impugnazione, senza dare conto delle argomentazioni della professionista appellante incidentale; tanto di compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio, per insufficienza del riferimento alla “eccezionalità del procedimento” (secondo motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
3. è noto che sussista nullità della sentenza quando non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione, non risultando identificabili gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass. 10 novembre 2010, n. 22845; Cass. 20 gennaio 2015, n. 920; Cass. 15 novembre 2019, n. 29721); sicché ricorre detto vizio per omessa (o apparente) motivazione allorché essa sia priva dell’esposizione dei motivi in diritto a fondamento della decisione (Cass. 16 luglio 2009, n. 16581; Cass. 10 agosto 2017, n. 19956);
3.1. nel caso di specie, deve essere escluso il vizio di nullità denunciato, per la coerenza del dispositivo di riforma della sentenza di primo grado (recante condanne risarcitorie del Consorzio in favore della lavoratrice), in quanto di improseguibilità delle domande da questa proposte in primo grado e con impugnazione incidentale in appello, con argomentazione (al terz’ultimo e penultimo capoverso della parte motiva di pg. 2) succinta, ma adeguata in ordine agli effetti della liquidazione coatta amministrativa pendente, in applicazione del “principio di diritto enunciato da Cass. 15066/2017 e Cass. 19271/2013” (ancora al terz’ultimo capoverso detto);
3.2. la Corte territoriale ha parimenti giustificato adeguatamente l’applicazione della compensazione, ai sensi dell’art. 92, c.p.c., comma 2 (la cui valutazione spetta al giudice di merito: Cass. 17 ottobre 2017, n. 24502; Cass. 26 novembre 2020, n. 26912), in ragione della “eccezionalità del procedimento che ha trovato soluzione in limine in ragione della sopravvenuta liquidazione coatta amministrativa” (così all’ultimo capoverso di pg. 2 della sentenza);
4. la ricorrente deduce quindi violazione e falsa applicazione degli artt. 299 e 300 c.p.c., L.Fall., artt. 96,200 e 201, per l’avvenuta prosecuzione del giudizio d’appello dal commissario liquidatore della procedura concorsuale, comportante la sua definizione con una pronuncia (non già di improseguibilità, come in caso di apertura della procedura nel corso del giudizio di primo grado, ma) di decisione nel merito, anche tenuto conto del richiamo della L.Fall., art. 201, alla L.Fall., art. 96, comma 2, n. 3, riguardante la facoltà di prosecuzione del curatore del giudizio di impugnazione relativo a crediti accertati con sentenza non definitiva (terzo motivo);
5. esso è fondato;
6. in via di premessa, giova ribadire che, nell’ipotesi in cui una società di capitali sia messa in liquidazione coatta amministrativa nel periodo intercorrente tra il deposito dell’atto di appello e la scadenza del termine previsto per la costituzione dell’appellato, il processo è automaticamente interrotto, ai sensi dell’art. 299 c.p.c., applicabile anche nel giudizio di appello, a prescindere sia dalla conoscenza che dell’evento abbiano avuto l’altra parte o il giudice, sia da qualsiasi attività diretta a determinare l’interruzione (avendo il provvedimento giudiziale di interruzione funzione meramente dichiarativa, non integrativa della fattispecie interruttiva), con la conseguenza che il procedimento si estingue se non viene proseguito o riassunto entro il termine perentorio di sei mesi dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo (Cass. 4 maggio 2010, n. 10714);
6.1. nel caso di specie, la liquidazione coatta amministrativa è stata aperta dopo l’impugnazione della sentenza di primo grado dal Consorzio in bonis (quinto e sesto capoverso di pg. 2 della sentenza; secondo capoverso di pg. 6 del ricorso), con la costituzione in giudizio del commissario liquidatore per la sua prosecuzione;
6.2. deve allora essere richiamato il principio, secondo cui la sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria della società datrice di lavoro, anche se impresa bancaria, determina l’improponibilità o l’improseguibilità, per tutta la durata della procedura, delle azioni del lavoratore dirette ad ottenere una condanna pecuniaria, benché accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale; dovendo, viceversa, essere proposte o proseguite davanti al giudice del lavoro le diverse azioni volte ad impugnare il licenziamento, a prescindere dalla tutela applicabile ed incluso dunque il licenziamento del dirigente, per le quali la possibilità dell’insinuazione nello stato passivo dei relativi crediti risarcitori del lavoratore presuppone che ne siano stati determinati l’an e il quantum (Cass. 19 giugno 2017, n. 15066, in riferimento ad ipotesi di apertura di l.c.a. in primo grado);
6.3. l’assoggettamento di una impresa a liquidazione coatta amministrativa, ovvero all’amministrazione straordinaria di cui al D.L. 30 gennaio 1979, n. 26 (convertito, con modificazioni, in L. 3 aprile 1979 n. 95), comporta, con riguardo alla controversia promossa contro detta impresa per l’accertamento e il soddisfacimento di un credito, e per il caso in cui l’indicato evento si verifichi prima della introduzione della domanda o nel corso del giudizio di primo grado, una situazione di temporanea improponibilità della domanda stessa (non di difetto temporaneo di giurisdizione del giudice ordinario, dato che questi mantiene il proprio potere giurisdizionale e resta impedito soltanto nel concreto esercizio di esso), in considerazione della necessità di far valere la pretesa creditoria in via amministrativa, davanti al commissario liquidatore, salvo restando il successivo intervento del giudice per eventuali opposizioni ed impugnazioni dello stato passivo. Qualora, invece, il predetto evento sia successivo ad una sentenza di primo grado, da cui risulti il credito, quella improponibilità non si verifica: e ciò in applicazione del disposto della L.Fall., art. 95 (applicabile alla liquidazione amministrativa e quindi anche all’amministrazione straordinaria in forza dell’equiparazione contemplata dall’art. 1 del citato decreto), il quale contempla l’impugnazione di tale sentenza con i mezzi ordinari, e nemmeno si determina, per il caso della sopravvenienza dell’evento stesso nel corso del giudizio di legittimità, un ostacolo alla proseguibilità del procedimento, stante l’inoperatività dell’istituto della interruzione del processo in sede di legittimità (Cass. 22 marzo 2004, n. 5699); analogamente, lo scioglimento d’ufficio della società cooperativa, disposto, ai sensi dell’art. 2545septiesdecies c.c., qualora penda nei suoi confronti un giudizio di appello, non comporta l’improcedibilità del gravame, ma (in applicazione delle norme dettate per la liquidazione coatta amministrativa, ivi compreso la L.Fall., art. 96, comma 2, n. 3, nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006) la sua prosecuzione e decisione nei confronti del nominato commissario liquidatore (Cass. 21 gennaio 2016, n. 1083);
6.4. d’altro canto, il regime di ammissione dei crediti con riserva è applicabile anche nello stato passivo della liquidazione coatta amministrativa (ritenuto in via di principio configurabile da: Cass. 19 novembre 2003, n. 17526), con particolare riferimento all’ipotesi prevista (già dalla L.Fall., art. 95, comma 3 e, dopo la riforma del 5/2006) dalla L.Fall., art. 96, comma 2, n. 3 (ricorrente nel caso di specie: di apertura della l.c.a. in grado di appello, dopo la sentenza di primo grado di condanna del Consorzio in bonis al pagamento di crediti della lavoratrice e pertanto accertati con sentenza del giudice ordinario non definitiva): e ciò per effetto del richiamo indiretto (non già ad opera della L.Fall., art. 201, regolante gli effetti della liquidazione per i creditori e sui rapporti giuridici preesistenti, ma) dell’art. 209 (riguardante la formazione dello stato passivo, attraverso il richiamo, al comma 2 degli artt. 98 e 101) e della L.Fall., art. 212, u.c., (relativo alla ripartizione dell’attivo, attraverso il richiamo dell’art. 113);
6.5. né, infine, il recente arresto relativo a l.c.a. in materia bancaria (D.Lgs. n. 385 del 1993, artt. 83 ss.), aperta nel corso del giudizio di cassazione, per il quale: “nelle procedure concorsuali opera il principio secondo il quale tutti i crediti vantati nei confronti dell’imprenditore insolvente devono essere accertati secondo le norme che ne disciplinano il concorso, sicché la domanda formulata da chi si afferma creditore in sede di cognizione ordinaria, se proposta prima dell’inizio della liquidazione coatta amministrativa, diviene improcedibile e tale improcedibilità sussiste anche se la procedura concorsuale sia stata aperta, dopo una pronuncia di condanna nei confronti dell’impresa insolvente, nel corso del giudizio in Cassazione”(Cass. 22 maggio 2020, n. 9461), si pone in contrasto con i principi affermati in riferimento alla liquidazione coatta amministrativa regolata dalla legge fallimentare (artt. 194 ss.): in mancanza, nell’ambito della procedura di liquidazione coatta amministrativa specificamente disposta per il settore bancario, di alcun richiamo dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 83, neppure indirettamente, della L.Fall., art. 96, comma 2, n. 3, (così espressamente la sentenza citata, al p.to 5 della motivazione);
7. pertanto il terzo motivo di ricorso deve essere accolto, con rigetto dei primi due, la cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati i primi due; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 14 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021