Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33285 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – M. –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA F – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9568/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– ricorrente –

contro

F.E., (C.F.: *****), nato a *****, rappresentato e difeso dall’Avv. Cristina Flaccomio, con domicilio eletto presso il citato difensore (con studio in Roma, via G. La Farina n. 6);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per l’Umbria n. 625/01/2014), pronunciata il 23 settembre 2014 e depositata il 13 ottobre 2014;

udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 23 marzo 2021 dal Consigliere Fabio Antezza.

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate (“A.E.”) ricorre, con due motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di rigetto dell’appello dalla stessa proposto avverso la sentenza n. 93/01/2013, emessa dalla CTP di Terni, che aveva accolto l’impugnazione dell’avviso di accertamento IVA, IRPEF e IRAP, per l’anno 2006.

2. Il Giudice di primo grado, in particolare, dichiarò nullo l’atto impositivo, emesso anche all’esito di un accesso domiciliare nel corso del quale fu rinvenuta documentazione bancaria fonte di successive indagini finanziarie, per la violazione del termine dilatorio di sessanta giorni di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, (c.d. “statuto dei diritti del contribuente”), con conseguente assorbimento delle altre questioni ed eccezioni.

3. La CTR, con la sentenza oggetto di attuale impugnazione, rigettò l’appello dell’A.E. confermando la statuizione impugnata.

Nel dettaglio, sempre per quanto emerge dalla sentenza impugnata e dagli atti di parte, il Giudice d’appello ritenne violato il contraddittorio endoprocedimentale, sotto il profilo del rispetto del termine dilatorio di cui innanzi, in quanto, a fronte di un PVC consegnato al contribuente il 24 ottobre 2011 all’esito anche di accesso domiciliare, l’avviso di accertamento fu sottoscritto (emanato) il 21 dicembre 2011, quindi ante tempus ed in assenza di particolare e motivata urgenza.

Diversamente da quanto prospettato dall’A.E., la Commissione ritenne difatti ininfluente, ai fini del rispetto del termine in oggetto, che nella specie la notificazione dell’atto impositivo fosse avvenuta oltre il sessantesimo giorno dal rilascio del PVC (in particolare, il 28 dicembre 2011) ed escluse la sussistenza di un caso di particolare e motivata urgenza, non potendosi identificare esso nella mera imminente scadenza del termine decadenziale con riferimento all’adozione dell’avviso di accertamento (perché non annoverabile tra gli eventi imprevedibili).

4. Come premesso, avverso la sentenza di secondo grado l’A.E. ha proposto ricorso fondato su due motivi, sostenuto da memoria, ed il contribuente si è difeso con controricorso (sostenuto da memorie), con il quale prospetta anche profili di “inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso” oltre che inammissibilità dei singoli motivi.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Priorità logico-giuridica ha la disamina della questione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’eccezione è inconferente in ragione della esposizione sommaria dei fatti di causa che, anche per ragioni di specificità in termini di “autosufficienza”, ha necessitato della riproduzione, nelle loro parti essenziali, tanto della relazione di notificazione dell’avviso di accertamento quanto della sentenza impugnata, ed in merito al prospettato passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

1.1. Infondata è altresì l’eccezione di giudicato della sentenza di primo grado.

Il contribuente, in sostanza, deduce l’inammissibilità dell’appello, alla quale conseguirebbe il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, in forza del mancato deposito della fotocopia della ricevuta di spedizione del ricorso in appello per raccomandata a mezzo del servizio postale, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 e art. 16, comma 3, (applicabili al processo d’appello anche in forza dell’art. 53, medesimo D.Lgs.). L’appellante, in particolare, a detta dello stesso controricorrente, avrebbe depositato, nei termini di cui al citato art. 22, solo la fotocopia del relativo avviso di ricevimento (pag. 5 del controricorso).

Il rilievo non è pertinente anche se, differentemente da quanto prospettato dal ricorrente, con riferimento ad esso non si pone, nella specie, questione d’inammissibilità, potendo questa Corte comunque rilevare d’ufficio una causa d’inammissibilità dell’appello che il Giudice di merito non abbia riscontrato, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza di secondo grado, non potendosi riconoscere al gravame inammissibilmente spiegato alcuna efficacia conservativa del processo di impugnazione (ex plurimis, limitando i riferimenti solo alle statuizioni più recenti: Cass. sez. 2, 19/10/2018, n. 26525, Rv. 650843-01; Cass. sez. 1, 07/07/2017, n. 16863, Rv. 644842-01).

Come emerge dagli atti processuali, conoscibili da questa Corte in ragione della natura processuale della questione in esame, oltre che dal ricorso e dal controricorso (comprese le depositate memorie), nella specie trattasi di notificazione diretta eseguita da “messo notificatore speciale” ( F.D.) dell’A.E. a mezzo posta, L. n. 890 del 1982, ex art. 14 (sulla legittimità costituzionale del citato art. 14 si vedano, in termini generali, Corte Cost., n. 104 del 2019 e Corte Cost., n. 2 del 2020; per l’utilizzabilità del procedimento di notificazione diretta anche con riferimento al ricorso in appello innanzi alle CTR, si vedano, ex plurimis: Cass. sez. 5, 13/07/2016, n. 14273, Rv. 640538-01; Cass. sez. 5, 30/12/2015, n. 26053, Rv. 638459-01; Cass. sez. 5, 18/11/2011, n. 24245, Rv. 620276-01).

Nella specie, la relata apposta dal messo attesta, facente piena prova fino a querela di falso (Cass. sez. 5, 13/02/2008, n. 3433, Rv. 601914-01), la notificazione a mezzo del servizio postale in data 25 novembre 2013. A ciò deve aggiungersi, peraltro, che l’avviso di ricevimento, depositato già in sede di merito e, come esplicitato dallo stesso controricorrente, nei termini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 oltre ad indicare la detta data di spedizione in forma manoscritta (quindi giuridicamente irrilevante per i presenti fini), reca il timbro postale relativo alla consegna del plico a familiare convivente del destinatario (con successiva emissione della CAN) indicante la data del successivo 26 novembre 2013.

Sicché, in relazione alla sentenza di primo grado depositata il 7 maggio 2013 (per quanto emerge da ricorso e controricorso), il rispetto dei termini per impugnare (considerato anche il periodo di sospensione feriale) nella specie emerge in forza di plurime circostanze.

Esso, difatti, risulta in forza dell’attestazione di cui alla relata del messo autorizzato dall’A.E. (cfr. Cass. n. sez. 5, 13/02/2008, n. 601914-01), in quanto recante la data del 25 novembre 2013, ma anche dalla data di ricezione del plico emergente dall’avviso di ricevimento (depositato nei termini di cui al citato art. 22), perché certificata dall’agente postale come avvenuta il 26 novembre 2013 (conformemente a quanto statuito, ex plurimis, da Cass. Sez. U, 29/05/2017, n. 13452, Rv. 644364-03, e, tra le successive conformi, da Cass. sez. 6-5, 11/05/2018, n. 11559, Rv. 648380-01, oltre che da Cass. sez. 5, 08/10/2020, n. 21683, in motivazione, la quale, riprendendo le argomentazioni di cui alle citate Sezioni Unite, ribadisce la necessità che la produzione di copia dell’avviso di ricevimento avvenga, a pena di inammissibilità, nei termini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 per la costituzione del ricorrente).

2. Nel merito (cassatorio) il ricorso è infondato.

3. Con i due motivi di ricorso, suscettibili di trattazione congiunta in ragione della connessione delle questioni inerenti i relativi oggetti, si deducono, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, nonché (motivo n. 1) del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42.

Ci si duole (motivo n. 1), in sostanza, dell’interpretazione data dalla CTR alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, nel senso per cui l’emanazione del provvedimento impositivo, alla quale si riferisce il termine dilatorio in oggetto, coinciderebbe con l’emissione dell’atto e, quindi, con la sua sottoscrizione, e non con la sua successiva notificazione. Per l’A.E., in sintesi, l’atto sottoscritto e non notificato (e, con esso, la pretesa erariale) non avrebbe data certa; esso, in termini maggiormente categorici, non potrebbe considerarsi atto “perfetto”.

In subordine, per l’ipotesi di infondatezza della censura di cui innanzi, con il motivo n. 2 la ricorrente prospetta una rivisitazione dell’approdo costituito da Cass. Sez. U, 29/07/2013, n. 18184, Rv. 627474-01, ravvisante, quale ipotesi di nullità del provvedimento impositivo, l’omesso rispetto del termine dilatorio, qualora lo si legga nel senso dell’irrilevanza, ai fini di essa, della prova che “la mancata partecipazione al procedimento del contribuente avrebbe portato alla enunciazione di un atto diverso (in ulteriore subordine, si sollecita questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia ex art. 267 TFUE).

Le prospettazioni di cui innanzi sono argomentate in ragione di principi costituzionali (collaborazione, buona fede, buon andamento e imparzialità dell’attività amministrativa), in forza di statuizioni della Corte di giustizia (Corte giust., sentenza 3 luglio 2014, in cause riunite C-129/13 e C-130/13) nonché, a dire della ricorrente, dall’ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 156 del 9 luglio 2014.

3.1. I motivi in esame sono infondati anche se ammissibili, differentemente da quanto prospettato dal controricorrente che, invece, difendendosi in ordine al motivo n. 1 di ricorso, inammissibilmente, mira sostanzialmente a sindacare, con controricorso, la decisione d’appello per non aver rilevato una presunta novità della domanda tradottasi in motivo d’appello che, peraltro, neanche prospetta di aver dedotto in secondo grado. La risoluzione della questione di cui alla seconda doglianza, invece, al momento della decisione da parte della CTR (e finanche al momento della proposizione del ricorso per cassazione) era ancora in fieri nella giurisprudenza di legittimità, con conseguente non operatività, nella specie, dell’art. 360 bis c.p.c..

3.2. Nel merito cassatorio, occorre muovere da Cass. Sez. U, 29/07/2013, n. 18184, Rv. 627474-01, per la quale l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus. Ciò in quanto trattasi di termine posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante, come chiarito dalle Sezioni Unite, non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio.

Successivamente, Cass. Sez. U., 09/12/2015, n. 24823 ha chiarito che l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. Non sussiste, poi, alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino” (e sempre che, nella specie si sia effettivamente trattato di tale tipo di indagini).

3.3. Premesso il quadro normativo di riferimento, in merito all’ambito di operatività del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, anche in rapporto alla c.d. “prova di resistenza”, il collegio ritiene di dare continuità ai principi di recente sanciti e ribaditi da questa Corte (ex plurimis: Cass. sez. 5, 15/01/2019, n. 701, Rv. 652456-01, Cass. sez. 5, 15/01/2019, n. 702, in motivazione, e Cass. sez. 5, 11/09/2019, n. 22644, Rv. 655048-01), alla luce di una lettura dei citati approdi delle Sezioni Unite nel quadro costituzionale ed Eurounitario di riferimento e, quindi, in applicazione dei due principi cardine del diritto comunitario regolanti il diritto fondamentale al contraddittorio endoprocedimentale (con conseguente insussistenza dei presupposti del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sollecitato dalla ricorrente). Tali sono il principio di equivalenza, in virtù del quale le modalità previste per l’applicazione del tributo armonizzato non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi procedimenti amministrativi per tributi di natura interna, ed il principio di effettività, non dovendo la disciplina nazionale rendere in concreto impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, derivandone che il contribuente deve essere posto nelle condizioni di esercitare il contraddittorio (si vedano: CGUE 18 dicembre 2008 C-349/07 Soprope’ – Organizagoes de Calgado Lda contro Fazenda Pública; CGUE 3 luglio 2014 C-129 e 130/13 Kamino International Logistics BV e Da tema Hellmann Worldwide Logistics BV contro Staatssecretaris van Financien, p. 75; CGUE 8 marzo 2017, Euro Park Service C-14/16 p. 36, in materia di rimborsi; CGUE 9 novembre 2017, Ispas C-298/16 p.p. 30,31, resa proprio sull’IVA; CGUE 20 dicembre 2017, Preqù Italia srl C-276/16, p. 45 sul diritto al contraddittorio in materia doganale).

3.4. Orbene, proprio dando continuità ai principi giurisprudenziali sopra esposti, ai fini dell’interpretazione dell’art. 12, comma 7, in oggetto questa Corte ha osservato, in primo luogo, che la norma non a caso non distingue tra tributi armonizzati e non. In via generale, infatti, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria espressa di nullità dell’atto impositivo nel caso di mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria, a far data dalla conclusione delle operazioni di controllo.

Tale disciplina nazionale, quindi, già a monte, ingloba la “prova di resistenza”, nel pieno rispetto della giurisprudenza della CGUE (Kamino, cit., p. 80; Soprope’, cit., p. 37).

Siffatta interpretazione è al tempo stesso rispettosa anche dei principi generali dell’ordinamento giuridico nazionale civile, amministrativo e tributario, secondo cui la regola della strumentalità delle forme, ai fini del rispetto del contraddittorio, viene meno in presenza di un’espressa sanzione di nullità comminata dalla legge per la violazione in questione.

In secondo luogo, coerentemente con quanto precede, è stato evidenziato da questa Corte, con le statuizioni innanzi già citate, che l’operatività della “prova di resistenza”, di cui alle citate Sezioni Unite del 2015, non può che essere circoscritta al caso di assenza di un’espressa previsione del legislatore nazionale di nullità per violazione del contraddittorio. Solo in assenza di un’espressa sanzione di nullità introdotta dal legislatore per il caso di violazione del contraddittorio, vi può difatti essere spazio per il giudice affinché possa operare una valutazione ex post, caso per caso, sull’intervenuto rispetto del contraddittorio o meno.

A quanto innanzi si è aggiunta, quale ulteriore logica conseguenza, che, anche per i tributi armonizzati, scatta la prova di resistenza ai fini del contraddittorio endoprocedimentale nel solo caso in cui la normativa interna non preveda la sanzione della nullità.

Specularmente, ove il legislatore già preveda tale sanzione non opera il riferimento alla prova di resistenza.

In conclusione, ai fini delle imposte armonizzate, la prova di resistenza non opera nelle tre ipotesi in cui nei confronti del contribuente sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, dovendosi applicare solo nel caso di verifiche a tavolino.

Ne consegue in definitiva che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, effettua, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio già operata dal legislatore, attraverso la previsione espressa di una nullità per mancato rispetto del termine dilatorio che già, a monte, ingloba la “prova di resistenza”, sia con riferimento ai tributi armonizzati che in ordine a quelli non armonizzati (non effettuando la norma alcuna distinzione in merito alle conseguenze sanzionatorie).

Sicché, anche per i tributi armonizzati, tra i quali, come nella specie, l’IVA, scatta la prova di resistenza, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, solo nel caso di mancata previsione da parte della normativa interna della sanzione della nullità, invece prevista dal citato art. 12, comma 7, per l’ipotesi della violazione del termine dilatorio.

3.5. L’applicazione alla fattispecie concreta dei principi di cui innanzi implica che correttamente la CTR ha ritenuto operante il termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, quindi non necessaria la prova di resistenza (anche per l’IVA), trattandosi di provvedimento impositivo, avviso di accertamento IVA (tributo armonizzato), IRPEF e IRAP (tributi non armonizzati), emesso all’esito di accesso domiciliare.

Parimenti infondata è la censura che si incentra sull’interpretazione del riferimento che il citato comma 7 fa all’emanazione dell’atto ante tempus, in continuità all’orientamento di legittimità attualmente consolidatosi ed in linea con il descritto quadro normativo di riferimento (in forza del consapevole superamento del precedente difforme costituito da Cass. sez. 5, 09/07/2014, n. 15648, Rv. 632232-01).

L’atto impositivo sottoscritto dal funzionario dell’ufficio in data anteriore alla scadenza del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, ancorché, come nella specie, notificato successivamente alla sua scadenza, è difatti illegittimo, atteso che la norma tende a garantire il contraddittorio procedimentale consentendo al contribuente di far valere le sue ragioni quando l’atto impositivo è ancora in fieri, integrando, viceversa, la notificazione una mera condizione di efficacia dell’atto amministrativo ormai perfetto e, quindi, già emanato (in termini si vedano anche Cass. sez. 5, 31/07/2018, n. 20267, Rv. 650151-01; Cass. sez. 6-5, 12/07/2017, n. 17202, Rv. 644932-01; Cass. sez. 6-5, 07/03/2016, n. 5361, in motivazione; Cass. sez. 6-5, 28/05/2015, n. 11088, in motivazione).

3.6. La lettura del citato art. 12, comma 7, innanzi evidenziata, emergente tanto delle ripercorse Sezioni unite del 2015 quanto dall’ulteriore sintetizzata elaborazione di questa Corte, implica, in questa sede, per la rilevanza con riferimento alla fattispecie, il necessario superamento di quanto statuito da Cass. sez. 5, 26/11/2014, n. 633378-01.

Per tale ultima decisione (comunque antecedente agli approdi di legittimità innanzi riportati), “in tema di contenzioso tributario, deve considerarsi inammissibile per carenza d’interesse concreto del ricorrente la censura relativa al mancato rispetto del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, qualora, in caso di avviso di accertamento emanato prima, ma notificato successivamente alla sua scadenza, il contribuente non abbia formulato alcuna osservazione nei sessanta giorni successivi al rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, attesa l’assenza di un effettivo pregiudizio all’esercizio dei mezzi di tutela accordati dalla legge e, cioè, della possibilità di far valere le proprie ragioni nella fase amministrativa dell’accertamento” (cfr., massima ufficiale).

Da un lato, difatti, tale statuizione implicitamente accede all’orientamento, ora prevalente, consolidato ed in questa sede ribadito, per il quale rileva, ai fini del rispetto del termine dilatorio, il momento dell’emissione del provvedimento inteso in termini di sottoscrizione di esso.

Per altro verso, però, la detta decisione, facendo derivare l’inammissibilità (per carenza d’interesse) della censura relativa alla violazione del citato art. 12, comma 7, dalla mancata formulazione di osservazioni nel termine dilatorio, non si mostra in linea con il suesposto orientamento, pacifico, per il quale, in caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, il mero non rispetto del termine dilatorio implica nullità, cosi reintroducendo la c.d. “prova di resistenza”.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità, anche in ragione del descritto consolidarsi degli orientamenti oggetto delle questioni prospettate dalla ricorrente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso, spese compensate.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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