LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –
Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 9814/20374/R.G. proposto da:
Tikal S.p.A. in liquidazione, in qualità di incorporante di For House s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giancarlo Zoppini, Giuseppe Pizzonia e Giuseppe Russo Corvace, presso cui è
elettivamente domiciliata in Roma alla via della Scrofa n. 57;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 1075/20/14, pronunciata in data 20 gennaio 2014, depositata in data 21 febbraio 2014 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 aprile 2021 dal consigliere Andreina Giudicepietro.
RILEVATO
CHE:
Tikal S.p.A. in liquidazione, in qualità di incorporante di For House s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, ricorre con tre motivi contro l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 1075/20/14, pronunciata in data 20 gennaio 2014, depositata in data 21 febbraio 2014 e non notificata, che ha accolto l’appello dell’ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’atto di contestazione delle sanzioni per l’omesso versamento dell’Iva relativa all’anno di imposta 2005;
con la sentenza impugnata, la C.t.r., a differenza dei giudici di prime cure, riteneva regolare la notifica dell’atto di contestazione, con la relativa relata apposta in calce all’atto;
inoltre, la C.t.r. sosteneva che l’incompetenza territoriale veniva a configurarsi come vizio meramente formale che non incideva sul contenuto dell’atto impositivo, trattandosi dell’ambito dell’operatività di due Uffici (Roma 4 e Roma 6) contigui nell’organizzazione tributaria della stessa città (ove il primo degli stessi era quello che si era occupato compiutamente dell’istruttoria afferente al rapporto d’imposta ed aveva quindi proceduto alla notifica dell’atto di contestazione);
infine, per quanto riguardava il merito dell’atto di contestazione emesso dall’Ufficio – concernente l’errata determinazione da parte dello stesso Ufficio delle sanzioni che avrebbe condotto alla triplicazione dell’importo richiesto -, la C.t.r. riteneva che l’esame in appello di detta eccezione era impedito per effetto della preclusione derivante dall’art. 345 c.p.c., in quanto detta doglianza non era contenuta nell’originario ricorso della For House alla C.t.p. di Roma, la quale aveva svolto solo questioni puramente procedurali, quali la nullità dell’atto di contestazione per l’incompetenza territoriale dell’ufficio emittente e la nullità della notifica di detto atto per apposizione della relata di notifica sul frontespizio anziché in calce allo stesso;
secondo i giudici di appello non poteva assumere rilievo la circostanza che la doglianza concernente la misura delle sanzioni fosse stata introdotta con successiva memoria depositata in primo grado, atteso che tale memoria aveva solo la funzione di illustrare le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fondavano le domande già ritualmente e compiutamente proposte nell’originario ricorso introduttivo;
a seguito del ricorso, l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;
il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 16 aprile 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.
CONSIDERATO
CHE:
con il primo motivo, la ricorrente denunzia l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui è stato rigettato il motivo di doglianza riguardante l’illegittimità dell’atto di contestazione delle sanzioni in quanto emesso da ufficio incompetente;
secondo la ricorrente, la sentenza sarebbe viziata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16, comma 1, e art. 31, comma 2, L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 octies e D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 58, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
deduce la ricorrente che la C.t.r., pur avendo riconosciuto il difetto di competenza territoriale dell’ufficio emittente, non avrebbe tratto la conclusione che l’atto di contestazione emesso dall’ufficio incompetente era affetto da nullità assoluta;
la ricorrente, fin dal primo grado di giudizio, aveva evidenziato che la propria sede legale, al momento della presentazione della dichiarazione contestata (30 ottobre 2006), era in via *****, ossia nella circoscrizione di competenza dell’allora ufficio di Roma 6, non nell’ufficio di Roma 4, che aveva emesso l’atto impugnato;
contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di appello, secondo cui l’atto impugnato non era annullabile per un vizio solo formale e non incidente sul suo contenuto, la ricorrente sostiene che, trattandosi di nullità assoluta ed inderogabile, non avrebbe potuto trovare applicazione la norma di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 octies;
inoltre, la ricorrente ritiene che fosse irrilevante la mancata indicazione del domicilio fiscale da parte della contribuente, in quanto l’ubicazione della sede legale risultava dalla tempestiva indicazione nel registro delle imprese;
il motivo è infondato e va rigettato;
il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16 prevede che “1. La sanzione amministrativa e le sanzioni accessorie sono irrogate dall’ufficio o dall’ente competenti all’accertamento del tributo cui le violazioni si riferiscono”;
ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, comma 2, la competenza territoriale per gli accertamenti e i controlli riguardanti le imposte sui redditi “spetta all’ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata”;
analogamente, per quanto riguarda l’IVA, competente “ad ogni (…) effetto di cui al (…) D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 “e’ l’Ufficio provinciale dell’imposta sul valore aggiunto nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del contribuente ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 58 e 59” (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 40, comma 1, primo periodo);
a norma dell’art. 58, comma 3, dello stesso decreto, “(i) soggetti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si trova la loro sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa; se anche questa manchi, essi hanno il domicilio fiscale nel comune ove è stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione e in mancanza nel comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività”;
pertanto, per l’emanazione dell’atto di contestazione delle sanzioni, sussiste la competenza territoriale dell’ufficio distrettuale ove il contribuente ha il domicilio fiscale;
tale domicilio, per i soggetti diversi dalle persone fisiche ed in mancanza di una diversa indicazione, si trova nel comune ove il contribuente ha la sede legale;
nel caso in esame la società ha dedotto che nell’ottobre del 2006 aveva la propria sede legale in *****, in una circoscrizione diversa (quella di competenza dell’allora ufficio di Roma 6, oggi direzione provinciale di Roma II) da quella dell’ufficio che aveva emanato l’atto (all’epoca Roma 4, oggi direzione provinciale di Roma III);
dunque, la ricorrente sostiene la nullità assoluta ed inderogabile dell’atto emesso dall’ufficio territorialmente incompetente, richiamando sul punto risalente giurisprudenza di questa Corte;
i principi giurisprudenziali citati dalla ricorrente (ex multis, Cass. n. 8017/1992; n. 2414/1994) trovano il loro precedente in sentenze di questa Corte “secondo cui il difetto di potere dell’organo, che ha proceduto all’accertamento tributario, costituisce un vizio sostanziale e radicale che importa la nullità assoluta rilevabile di ufficio in ogni stadio del processo tributario””(Cass. 1977/4462 e 1969/1139);
le pronunce richiamate dalla ricorrente si riferiscono ad un sistema di tutela tributaria non più vigente, in cui l’atto impositivo poteva essere impugnato avanti al giudice, soltanto previo esperimento dei ricorsi amministrativi avanti le Commissioni distrettuali e la Commissione centrale, e che aveva fatto sorgere la questione della proponibilità, per la prima volta avanti l’Autorità giudiziaria, della eccezione di incompetenza dell’Ufficio non precedentemente sollevata con i motivi del ricorso amministrativo, come chiarisce lo stesso precedente del 1977 secondo cui “in tema di imposte dirette, sotto il vigore del D.P.R. n. 645 del 1958, il difetto di competenza dell’organo che ha proceduto all’accertamento configura un vizio radicale e sostanziale che importa nullità assoluta dell’atto, deducibile e rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento tributario avente per oggetto l’atto medesimo e, quindi, anche per la prima volta davanti al giudice onorario, adito dopo l’esperimento dei ricorsi alle Commissioni tributarie”;
mutato il sistema tributario, con una pronuncia recente, questa Corte ha inteso dare continuità ad un indirizzo diverso, secondo cui “nell’attuale sistema di giustizia tributaria, nel quale non è più prevista la necessità di esperire il ricorso amministrativo prima di adire l’autorità giurisdizionale, l’incompetenza (anche territoriale) dell’ufficio che ha emesso l’avviso di accertamento costituisce tipico vizio di legittimità di tale atto, che deve essere dedotto dalla parte ricorrente tra i motivi di impugnazione dello stesso, senza che possa essere rilevato d’ufficio dal giudice, secondo quanto desumibile anche dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 61, comma 2, per il quale l’eventuale nullità deve essere eccepita a pena di decadenza nel primo grado di giudizio” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18425 del 12/07/2018, che richiama ex multis, Cass. n. 12699/2017; n. 15769/2017; n. 11223 del 2016; n. 13126 del 2016; n. 10802 del 2010);
secondo la citata ordinanza n. 18425 del 12/07/2018, l’eccezione di incompetenza (anche territoriale) dell’ufficio emittente evidenzia un tipico vizio di legittimità dell’atto impositivo, che deve essere dedotto mediante specifico motivo di ricorso dal contribuente;
i vizi di legittimità che inficiano l’atto impositivo ne determinano la mera annullabilità in quanto, in difetto di impugnazione rivolta a far valere tale vizio, l’atto, che è comunque idoneo a produrre effetti giuridici, si stabilizza divenendo intangibile;
nel caso in esame, la società contribuente ha indubbiamente impugnato l’atto di contestazione delle sanzioni, deducendo l’incompetenza territoriale dell’ufficio dell’Agenzia delle entrate che lo ha emesso, ma la censura, per quanto sopra evidenziato, riguarda un vizio di legittimità, che determina l’annullamento dell’atto stesso solo se non ricorrono le condizioni di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 octies che può trovare applicazione in caso d’incompetenza relativa, come, da ultimo, ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato sez. III, 4 settembre 2020, n. 5355);
ai sensi del citato art. 21 octies, “1. E’ annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.
2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”;
pertanto, può condividersi il rilievo del giudice di appello, che ha escluso l’invalidità dell’atto impugnato, ritenendo che il vizio derivante dall’incompetenza territoriale dell’ufficio emittente fosse di natura solo formale, senza alcun riflesso sul contenuto vincolato dell’atto di contestazione delle sanzioni;
ciò a maggior ragione considerando che, come si vedrà nell’esame dei successivi motivi di ricorso, la censura sull’errata determinazione dell’entità delle sanzioni risulta inammissibilmente avanzata per la prima volta con le memorie illustrative depositate nel primo grado di giudizio;
invero, con il secondo motivo, la ricorrente denunzia l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto l’inammissibilità della doglianza relativa all’errata determinazione delle sanzioni irrogate con l’atto impugnato, per la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
sostiene la ricorrente, che il giudice di appello non avrebbe potuto rilevare l’inammissibilità della censura contenuta in una memoria illustrativa depositata in primo grado, in quanto i giudici di primo grado non ne avevano dichiarato l’inammissibilità;
con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto l’inammissibilità della doglianza relativa all’errata determinazione delle sanzioni irrogate con l’atto impugnato, per la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;
sostiene la ricorrente, che il giudice di appello non avrebbe potuto rilevare l’inammissibilità della censura contenuta in una memoria illustrativa depositata in primo grado, in quanto l’ufficio non l’aveva eccepita, né in primo grado, né in appello;
i motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono infondati e vanno rigettati;
in primo luogo, deve rilevarsi che “nel processo tributario d’appello, la nuova difesa del contribuente, ove non sia riconducibile all’originaria “causa petendi” e si fondi su fatti diversi da quelli dedotti in primo grado, che ampliano l’indagine giudiziaria ed allargano la materia del contendere, non integra un’eccezione, ma si traduce in un motivo aggiunto e, dunque, in una nuova domanda, vietata ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 24 e 57" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13742 del 03/07/2015);
pertanto, costituisce domanda nuova, vietata in appello, ogni questione che amplia il thema decidendum e non sia stata ritualmente introdotta con l’originario ricorso;
si è anche detto che “nel processo tributario, caratterizzato da una domanda impugnatoria dell’atto del fisco per vizi formali o sostanziali, l’oggetto del giudizio è circoscritto dai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente deve dedurre specificamente nel ricorso introduttivo di primo grado che può modificare o integrare solo con motivi aggiunti, consentiti, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 24 nella limitata e peculiare ipotesi di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione”, mentre la possibilità di depositare documenti, fino a venti giorni prima dalla data di trattazione, e memorie illustrative sino a dieci giorni prima, ha lo scopo di illustrare ed argomentare i motivi di ricorso, senza modificarne il “thema decidendum”” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19337 del 22/09/2011; conf. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23326 del 15/10/2013);
dunque, nel rito tributario, “il divieto di proporre domande nuove nel corso del giudizio di primo grado, di cui è espressione il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24 è in funzione dell’accelerazione del procedimento e, in quanto rispondente ad esigenze di ordine pubblico, esorbita dalla tutela del privato interesse delle parti, sicché la proposizione della nuova domanda non può essere sanata dall’accettazione del contraddittorio ad opera della controparte e la sua inammissibilità è rilevabile anche d’ufficio” (Cass. n. 23123/2009, in motivazione);
come questa Corte ha avuto modo di chiarire, nel processo tributario, mediante le memorie illustrative (di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32), non possono essere proposte domande nuove, ma solo specificate quelle già contenute nel ricorso introduttivo, in ragione della natura impugnatoria del giudizio (vedi Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 1161 del 17/01/2019);
con la sentenza impugnata la C.t.r. ha rilevato che l’esame della doglianza relativa all’entità delle sanzioni irrogate era impedito per effetto della preclusione derivante dall’art. 345 c.p.c., in quanto la censura non era contenuta nell’originario ricorso della For House alla C.t.p. di Roma, ma era stata introdotta solo con le memorie illustrative depositate nel corso del giudizio di primo grado e reiterata in appello;
la C.t.p. aveva accolto il ricorso della contribuente ritenendo fondate le originarie doglianze, relative alla nullità della notifica dell’atto di contestazione (ritenuta invece valida dal giudice di appello, con una statuizione che non è stata oggetto di impugnazione in questa sede) ed all’incompetenza territoriale dell’ufficio;
secondo i giudici di appello non poteva essere esaminata la doglianza concernente la misura delle sanzioni, in quanto era stata introdotta con memoria depositata nel corso del processo di primo grado, atteso che tale memoria poteva avere solo la funzione di illustrare le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fondavano le domande già ritualmente e compiutamente proposte nell’originario ricorso introduttivo;
il divieto di proporre domande nuove nel corso del giudizio di primo grado, come si è detto, non può essere superato dall’accettazione del contraddittorio ad opera della controparte e l’inammissibilità della censura è rilevabile anche d’ufficio;
nel caso di specie, il giudice di primo grado non si era pronunciato in alcun modo sull’ammissibilità della censura in questione, il cui esame era rimasto evidentemente assorbito dall’accoglimento dei motivi di ricorso sulla nullità dell’atto di contestazione delle sanzioni per l’invalidità della notifica dell’atto stesso e l’incompetenza territoriale dell’ufficio che lo aveva emesso;
dunque, non si era formato alcun giudicato interno, che avrebbe potuto impedire al giudice di appello il rilievo d’ufficio dell’inammissibilità della domanda, introdotta solo con le memorie illustrative nel primo grado di giudizio;
in conclusione il ricorso va complessivamente rigettato;
le spese seguono la soccombenza di parte ricorrente e si liquidano in dispositivo.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021