Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33293 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13936/2018 R.G. proposto da:

Ipoh s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, P.K. e B.I., tutti rappresentati e difesi dagli avv. Federico Casa e Giuseppe Marini, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, sito in Roma, via di Villa Sacchetti, 9;

– ricorrenti, controricorrenti in via incidentale –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente, ricorrente in via incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano, n. 95/2017, depositata il 27 ottobre 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 maggio 2021 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

RILEVATO

CHE:

– la Ipoh s.r.l., P.K. e B.I. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano, depositata il 27 ottobre 2017, che, in parziale accoglimento dell’appello erariale, ha ritenuto fondati i recuperi fiscali operati a seguito della qualificazione quali compensi per amministratori delle somme corrisposte dalla prima in favore dei secondi e fatturate quali provvigioni per attività di vendita, escludendo, invece, la debenza delle sanzioni irrogate per la sussistenza dell’esimente di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10;

– a fondamento della sua decisione il giudice di appello evidenzia il ruolo rivestito dai sigg. P. e B. di “dirigenti supremi” di un’impresa commerciale di notevoli dimensioni e la conseguente inconfigurabilità dello svolgimento da parte di questi di compiti esecutivi di vendita a domicilio, nonché la circostanza che, in relazione a tale asserita attività, i due contribuenti avevano presentato richieste di rimborso di spese di viaggio nella loro qualità di amministratori;

– il ricorso è affidato a sette motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, la quale spiega ricorso incidentale;

– avverso tale ricorso incidentale i contribuenti resistono con controricorso;

– con nota del 5 giugno 2019, P.K. comunica di aver presentato domanda di definizione agevolata della controversia ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, n. 118, art. 6.

CONSIDERATO

CHE:

– sulla base del contenuto di tale nota, il giudizio deve essere dichiarato estinto, limitatamente al rapporto controverso interessante P.K.;

– quanto al regime delle spese, le stesse rimangono a carico delle parti che le hanno anticipate, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 13;

– in merito ai residui rapporti processuali, con il primo motivo del ricorso principale i contribuenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul motivo del ricorso originario, asseritamente non esaminato dal giudice di primo grado, concernente la natura di provvigioni delle somme in oggetto;

– con il quarto motivo si censura la sentenza di appello, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente nella parte in cui ha omesso di esplicitare l’iter logico giuridico che ha condotto alla decisione, non consentendo il controllo sulla correttezza e logicità del ragionamento seguito;

– con il quinto motivo si muove analoga critica in relazione alla esclusione della ricorrenza di un’attività di vendita a domicilio;

– i motivi, esaminabili congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati;

– la Commissione regionale non si è limitata ad escludere la natura di provvigioni relativa all’attività di vendita a domicilio, ma ha affermato espressamente che “le somme erogate dalla società ai soggetti menzionati (hanno natura di) compensi per attività di direzione come ritenuto dall’Amministrazione finanziaria”;

– pertanto, sia pure indirettamente, hanno escluso che tali somme potessero avere natura diversa da quella indicata;

– ha, poi, argomentato la sua conclusione con la considerazione per cui, in relazione alla notevole dimensione dell’impresa, avente fatturato annuale che si aggira intorno ai dieci milioni di Euro, “e’ impensabile che i dirigenti supremi di una struttura di tale dimensione si possono dedicare a compiti esecutivi di vendita a domicilio”;

– ha aggiunto che anche il ricorso al calcolo della retribuzione per provvigione appariva un espediente diretto più che altro a creare l’apparenza di una partecipazione alle attività di vendita a domicilio e a beneficiare perciò dello speciale regime favorevole di tassazione, risolvendosi in un meccanismo idoneo ad attribuire il guadagno realizzato dalla società agli amministratori;

– in tal senso, sono ritenute significative le circostanze che la percentuale attribuita ai componenti attivi del consiglio di amministrazione era variabile e stabilita in modo arbitrario, che gli emolumenti erano sostanzialmente pari agli utili realizzati dalla società e che le provvigioni erano commisurate sulle vendite complessive;

– la Commissione regionale evidenzia, altresì, quale ulteriore elemento rivelatore della natura non provvigionale delle somme la circostanza della presentazione da parte degli amministratori di richieste di rimborso di spese di viaggi inerenti all’attività svolta in tale loro qualità;

– una siffatta argomentazione consente di individuare l’iter logico argomentativo seguito dal giudice e, per tale ragione, si sottrae alla critica di apparenza;

– con il secondo motivo i ricorrenti principali deducono l’omesso esame di fatti decisivi e controversi del giudizio, in relazione alla mancata considerazione sia della documentazione relativa al calcolo delle provvigioni, sia al parere pro veritate del prof. V., prodotto in giudizio;

– il motivo è infondato, in quanto l’esame della sentenza consente di rilevare che la Commissione regionale ha preso in esame tali elementi istruttori, ma li ha ritenuto inidonei a dimostrare la natura provvigionale delle somme in oggetto;

– con il terzo motivo i contribuenti si dolgono, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, della nullità della sentenza per vizio della motivazione nella parte in cui contiene un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”;

– evidenzia, sul punto, che la Commissione regionale avrebbe annesso alle somme in esame, contemporaneamente, natura di utili distribuiti in modo dissimulato, provvigioni e compensi per attività di amministratore;

– il motivo è infondato, in quanto, come rilevato in precedenza, dall’esame della sentenza si evince in modo inequivocabile che tali somme sono state ivi qualificate quali compensi per attività di direzione e non già quali provvigioni, per cui va esclusa l’allegata situazione di irriducibile contraddittorietà delle affermazioni contente nella sentenza;

– con il sesto motivo i contribuenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione del T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 49,50 e 55, e artt. 1742 e 1748 c.c., per aver la sentenza impugnata escluso che le somme in oggetto fossero provvigioni, benché fossero state erogate in relazione allo svolgimento di attività che aveva condotto alla conclusione di singoli affari;

– con l’ultimo motivo allegano la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 25-bis, comma 6, e D.P.R. 17 agosto 2005, n. 173, art. 1, comma 1, lett. b), per aver il giudice di appello escluso che le somme in oggetto fossero provvigioni per attività di vendita a domicilio, benché fossero state erogate in relazione allo svolgimento di attività di raccolta di ordinativi di acquisto presso consumatori;

– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;

– la doglianza poggia sull’assunto dell’esistenza di una relazione tra la conclusione di singoli affari per conto della società e la prestazione da parte dei soggetti beneficiari delle somme di attività strumentale e funzionale a tale attività giuridica;

– tale assunto è del tutto indimostrato e, anzi, riceve smentita dalla sentenza di appello, la quale sostiene che l’erogazione delle somme sia da ricondurre all’esercizio di attività di direzione, negando, in tal modo, che i soggetti interessati abbiano svolto attività finalizzata alla conclusione di affari;

– orbene, il vizio di violazione o falsa applicazione di legge non può che essere formulato se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe a trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);

– con l’unico motivo cui è affidato il ricorso incidentale l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8,D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, e L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, per aver la sentenza impugnata escluso la legittimità dell’irrogazione per incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria;

– il motivo è fondato;

– in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, né all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass., ord., 1 febbraio 2019, n. 3108; Cass. 23 novembre 2016, n. 23845);

– tale condizione ricorre quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, contenga una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente (cfr. Cass. 14 gennaio 2015, n. 440; Cass. 14 marzo 2012, n. 4031);

– l’incertezza normativa oggettiva tributaria si risolve, dunque, in una situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie (così, Cass. 24 giugno 2015, n. 13076);

– orbene, la Commissione regionale ha ritenuto sussistente l’esimente in esame in ragione dell’insolita strutturazione dell’impresa, della non univoca interpretazione della nozione di incaricato alla vendita diretta a domicilio, nonché della difficoltà di inquadramento dei redditi in oggetto;

– così argomentando, ha non fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, in quanto ha posto a fondamento della decisione la mera difficoltà nella ricostruzione del fatto storico e nella interpretazione del dato normativo, circostanze inidonee, in quanto tali, a integrare gli estremi della impossibilità (o estrema difficoltà) per il giudice di individuare e interpretare il precetto normativo applicabile;

– pertanto, il ricorso principale della Ipoh s.r.l. e di B.I. va respinto, mentre va accolto quello incidentale dell’Agenzia delle Entrate;

– la sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento al ricorso incidentale accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito, rigettando l’originario ricorso;

– appare opportuno disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese dei gradi del giudizio di merito, mentre quelle relative al presente giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali Ipoh s.r.l. e B.I., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara estinto il giudizio vertente tra P.K. e l’Agenzia delle Entrate; rigetta il ricorso principale proposto dalla Ipoh s.r.l. e B.I. e accoglie quello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate; cassa e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso; compensa integralmente tra la Ipoh s.r.l., B.I. e l’Agenzia delle Entrate le spese dei gradi di merito e condanna la Ipoh s.r.l. e B.I., in solido tra loro, alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali Ipoh s.r.l. e B.I., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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