LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Mar – Consigliere –
Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 25003 del ruolo generale dell’anno 2013, proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
Contro
T- Banner S.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv.to Donatella Maria Ines Geromel elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore in Roma, alla Via Ildebrando Goiran 23;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 45/46/2013, depositata in data 10 aprile 2013, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 maggio 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.
RILEVATO
che:
-con la sentenza n. 45/46/2013, depositata in data 10 aprile 2013, la Commissione tributaria regionale della Lombardia aveva rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di T- Banner S.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 122/04/11 della Commissione tributaria provinciale di Varese che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti dalla società avverso gli avvisi di accertamento n. ***** e n. *****, con i quali l’Ufficio aveva recuperato maggiore Iva, per gli anni 2004-2005, in relazione a operazioni, considerate dalla contribuente come cessioni intracomunitarie non imponibili ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 41 e riqualificate dall’Ufficio come imponibili essendo risultato il codice Iva della società acquirente francese cessato il 31 dicembre 2003, antecedentemente all’effettuazione delle operazioni medesime;
-in punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che: 1) avverso gli avvisi n. ***** e n. ***** – con i quali l’Ufficio di Varese aveva recuperato nei confronti della società di diritto svizzero T-Banner S.A., maggiore Iva, negli anni 2004-2005, in relazione a cessioni effettuate da quest’ultima nei confronti della società francese “Euro Portables Azur” erroneamente considerate dalla contribuente intracomunitarie e riqualificate come imponibili dall’Ufficio, essendo risultato cessato il codice Iva della società acquirente francese prima dell’effettuazione delle operazioni medesime
– la contribuente aveva proposto separati ricorsi dinanzi alla CTP di Varese che, con sentenza n. 122/4/2011, previa riunione, li aveva accolti ritenendoli tempestivi, dovendosi assumere come dies a quo il giorno del 23 gennaio 2010 di effettivo ritiro degli avvisi, notificati a mezzo posta, presso l’ufficio postale e, nel merito, fondati, stante l’emersa erroneità del codice Iva comunicato dal cliente francese nel 2003; 2) avverso la sentenza di primo grado, l’Ufficio aveva proposto appello ribadendo l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi introduttivi per tardività, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 e, nel merito, la legittimità della pretesa tributaria, stante la documentata cessazione del codice Iva suddetto accertabile agevolmente anche da parte della società; 3) aveva controdedotto la società contribuente chiedendo la conferma della sentenza di primo grado;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse – ha osservato che: 1) l’atto di appello dell’Agenzia risultava privo di un petitum ben preciso, avendo l’Ufficio, semplicemente non concordando sull’assunto dei giudici di prime cure, riproposto, i motivi già esposti nell’atto di costituzione in primo grado, senza proporre “alcuna specifica censura” alla sentenza della CTP; 2) andava confermata la sentenza di primo grado, sia per quanto concerneva la ritenuta tempestività dei ricorsi introduttivi che per quanto atteneva la ritenuta illegittimità della pretesa tributaria, non risultando dal certificato camerale alcuna data di cessazione della società francese ed essendo state le operazioni commerciali in questione effettuate, pur in presenza di un codice Iva errato, alla stregua di “scambi intracomunitari” di cui al D.L. n. 331 del 1993;
– avverso la suddetta sentenza, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo, cui ha resistito, con controricorso, la contribuente;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
CONSIDERATO
che:
– preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevata dalla controricorrente per non avere l’Agenzia impugnato la statuizione del giudice di appello circa l’inammissibilità del gravame ex art. 342 c.p.c. per difetto di un preciso petitum; in particolare, la contribuente muovendo dal presupposto che, nella specie, la sentenza impugnata contenga due, distinte ed autonome, rationes decidendi, l’una, in rito, sull’a-specificità dei motivi di appello, contenente una almeno implicita pronuncia di inammissibilità dello stesso, l’altra riguardante il meritum causae (previo rigetto della riproposta eccezione preliminare di inammissibilità per tardività dei ricorsi originari), sostiene che avendo la ricorrente censurato soltanto la seconda, il suo ricorso risulterebbe appunto inammissibile (per difetto di interesse) poiché l’omessa impugnazione della prima avrebbe come conseguenza la definitività della pronuncia in rito del giudice tributario di appello, con passaggio in giudicato della sentenza della CTP; al riguardo, va ribadito che “E’ inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione con il quale si contesti esclusivamente l’avvenuto rilievo in motivazione, da parte del giudice di appello, dell’inammissibilità dei motivi di impugnazione per difetto di specificità, ove tale rilievo sia avvenuto “ad abundantiam” e costituisca un mero “obiter dictum”, che non ha influito sul dispositivo della decisione, la cui “ratio decidendi” e’, in realtà, rappresentata dal rigetto nel merito del gravame per infondatezza delle censure” (Cass., n. 30354 del 18/12/2017, Rv. 647172 – 01; successive conformi, ex pluribus, Cass. nn. 29305/2018, 32736/2019; Cass. sez. 5, n. 23872/2020). Tale principio di diritto ben si attaglia alla sentenza impugnata, posto che, nella medesima, la CTR, in esordio di motivazione, si riferisce appunto al difetto di specificità delle censure dell’appellante Ufficio, ma non solo non ne ha tratto la conseguente statuizione di inammissibilità del gravame, del tutto assente nella motivazione e nel dispositivo della sentenza medesima, meramente confermativo della sentenza appellata, ma anzi, rigettando l’eccezione di inammissibilità per tardività dei ricorsi originari, è entrata direttamente nel merito dell’appello, argomentandone e statuendone l’infondatezza. Da ciò, dunque, deriva che il punto della decisione di appello circa la genericità dell’atto di gravame (privo di un petitum preciso) contiene una ratio decidendi meramente apparente, essendo meramente strumentale alla pronuncia di infondatezza del gravame e concretantesi l’unica ratio decidendi della sentenza impugnata in quella – previa ritenuta tempestività dei ricorsi introduttivi – di rigetto, nel merito, dell’appello medesimo. Non è pertanto applicabile alla presente fattispecie il principio dettato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 3840 del 20/02/2007 (e ribadito da Cass. Sez. un., n. 24469 del 2013 e, ancora di recente, sez. I, ord. n. 11675 del 2020; Cass. sez. un. 2155/2021) secondo cui “qualora il giudice dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata”), in quanto tale principio, valido per il caso in cui la Corte territoriale abbia dichiarato inammissibile l’appello ed abbia, altresì, in motivazione ritenuto l’appello anche non fondato, con argomentazioni ad abundantiam, non vale nel caso opposto, qui ricorrente, in cui la Corte del gravame abbia rigettato l’appello, nel merito, per infondatezza dei motivi ed abbia altresì nella motivazione – senza peraltro statuire l’inammissibilità del gravame – svolto argomenti ad abundantiam circa il difetto di specificità dei motivi di appello, intendendo con ciò rafforzare la propria decisione di mancato accoglimento del gravame con una ragione alternativa ad abundantiam, che tuttavia è rimasta fuori dalla decisione finale di rigetto, nel merito, dell’impugnazione (cfr. negli stessi termini, Cass. n. 22782/2018; Cass. sez. 5, n. 23872/20);
– con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 149 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 e della L. n. 890 del 1982, per avere la CTR, confermando la sentenza di primo grado, erroneamente rigettato l’eccezione, sollevata nei gradi di merito, di inammissibilità per tardività dei ricorsi introduttivi proposti in data 22.3.2010, sull’erroneo presupposto che la notifica degli avvisi si fosse perfezionata – con conseguente decorrenza del termine di cui all’art. 21 cit. – con il ritiro degli stessi presso l’ufficio postale in data 23 gennaio 2010 e non già con il decorso di dieci giorni (26.10.2009) dalla spedizione con raccomandata dell’avviso di deposito presso l’ufficio postale;
– il motivo è fondato;
– nella sentenza impugnata, il giudice di appello ha confermato la statuizione di primo grado sia con riguardo alla ritenuta infondatezza della eccezione preliminare dell’Agenzia di intempestività dei ricorsi introduttivi – coincidendo il dies a quo per la decorrenza del termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 non già, come ritenuto dall’Ufficio (trattandosi di notifica a mezzo servizio postale degli atti impositivi ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 8 nel caso di c.d. irreperibilità relativa) con la data del 26 ottobre 2009, di decorso di dieci giorni dalla spedizione – con raccomandata con relativo avviso di ricevimento – dell’avviso di deposito presso l’ufficio postale degli avvisi, ma con quella del 23 gennaio 2010 di ritiro degli stessi da parte della contribuente – e sia con riguardo alla ritenuta illegittimità della pretesa impositiva, essendo state le operazioni commerciali in questione effettuate, pur in presenza di un codice Iva errato, alla stregua di “scambi intracomunitari” di cui al D.L. n. 331 del 1993;
– ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 1, “il ricorso deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro sessanta giorni dalla notificazione dell’atto impugnato”;
– nel comporre un contrasto giurisprudenziale in ordine alla prova del perfezionamento della notifica postale “diretta” in caso di c.d. irreperibilità relativa (rifiuto di ricezione/di firma del registro di consegna; assenza temporanea del destinatario o di persone idonee al ritiro), le sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 10012 del 15/04/2021 hanno affermato il seguente principio di diritto: “In tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite servizio postale, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per sua temporanea assenza ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento del procedimento notifica torio può essere data dal notificante – in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata (art. 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 2) della L. n. 890 del 1982, art. 8 esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (cd. C.A.D.), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informativa”; nella detta pronuncia, la Corte, dando seguito ad un più recente orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 5077 del 21 febbraio 2019; nello stesso senso cfr. Cass., 16601/2019, 6363-21714-2392125140-26078/2020), ha evidenziato, anche alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 346/98 e n. 3/2010, che “nel sistema della notificazione postale, in caso di mancata consegna del plico contenente l’atto notificando, la comunicazione di avvenuto deposito abbia un ruolo essenziale al fine di garantire la conoscibilità, intesa come possibilità di conoscenza effettiva, dell’atto notificando stesso”; in particolare, si è affermato che ” nel caso della L. n. 890 del 1982, art. 8, (e dell’art. 140, c.p.c.), non si realizza alcuna consegna, ma solo il deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale (ovvero nella notifica codicistica presso la Casa comunale). Ed è per tale, essenziale ragione, che la legge, con maggiore rigore, prevede che di tale adempimento venga data comunicazione dall’agente notificatore al destinatario, del tutto ignaro della notifica, secondo due distinte e concorrenti modalità: l’affissione dell’avviso di deposito nel luogo della notifica (immissione in cassetta postale) ed appunto la spedizione di lettera raccomandata con avviso di ricevimento” e che “la produzione dell’avviso di ricevimento della CAD costituisce l’indefettibile prova di un presupposto implicito dell’effetto di perfezionamento della procedura notificatoria secondo le citate previsioni della L. n. 890 del 1982, art. 8, commi 4 e 2, che, qualora ritenuta giudizialmente raggiunta, trasforma tale effetto da “provvisorio” a “definitivo”. Il che corrisponde alla configurazione strutturale, perfettamente aderente al dettato normativo de quo, di una fattispecie subprocedimentale a formazione progressiva, secondo un’interpretazione conforme a Costituzione nei richiamati principi”;
– nella specie, la CTR non si è attenuto al suddetto principio di diritto, avendo – confermando la statuizione del giudice di primo grado rigettato l’eccezione preliminare di inammissibilità per tardività dei ricorsi originari, ritenendo erroneamente che il dies a quo di decorrenza del termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 per proporre ricorso in primo grado (nella specie, incontestabilmente depositato il 22.3.2010) coincidesse – trattandosi di notifica degli avvisi a mezzo servizio postale, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 8 nel caso di temporanea assenza del notificatario (c.d. “irreperibilità relativa”) – con la data (23.1.2010) di avvenuto ritiro degli stessi da parte della contribuente presso l’ufficio postale dove erano stati depositati, invece che con lo spirare del termine di dieci giorni successivo alla spedizione della c.d. “raccomandata informativa” (CAD), con relativo avviso di ricevimento (riprodotto in ricorso); infatti, nella medesima logica dell’irreperibilità (relativa) del destinatario va, altresì, intesa la previsione secondo cui “la notificazione si ha per seguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma 2 ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore”, necessaria per evitare che il perfezionamento dell’iter si collochi anch’esso in un tempo futuro ed indefinito; il sistema è dunque ben delineato dalla disciplina positiva della fattispecie: 1)qualora vi sia ritiro del piego prima dei dieci giorni di giacenza, la notifica sarà da considerare perfezionata in quel momento ed il notificante otterrà avviso di ricevimento dell’originaria raccomandata di notifica, con l’indicazione della sua avvenuta consegna e delle modalità di essa; 2)dopo lo spirare dei dieci giorni di giacenza, invece, il notificante, come previsto dall’art. 8 cit., comma 3 (ora comma 6), otterrà la restituzione dell’originario piego con “l’indicazione “atto non ritirato entro il termine di dieci giorni””; in quest’ultima ipotesi non è necessaria, per determinare il perfezionamento della notificazione ed il momento in cui essa si ha per eseguita, la verifica sul concreto ritiro di quel piego originario o dell’avviso di avvenuto deposito, perché la conoscenza “legale” per il destinatario (anche ai fini di cui all’art. 149 c.p.c., u.c.) si determina per il solo spirare del termine di dieci giorni successivo alla spedizione della raccomandata di avviso; tali ritiri qualora si verifichino – verranno certamente documentati, ma la norma, dopo la predetta giacenza, non attribuisce di regola rilievo ad essi, di cui non fa menzione al fine del perfezionamento della notifica, quanto al fatto che, in caso di assenza anche al momento della comunicazione dell’avviso di deposito, siano state osservate le formalità di affissione alla porta o immissione in cassetta; è dunque all’osservanza di tali formalità che deve avere riguardo il controllo da eseguirsi sull’avviso relativo alla C.A.D., al fine di verificare l’avvenuto ingresso dell’attività notificatoria nella “sfera di conoscibilità dell’interessato”, secondo i presupposti a tal fine delineati dalla legge (Cass., sez. lav., n. 23921 del 2020);
-in conclusione, il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, avendo la contribuente eccepito in controricorso (pag. 8) la sussistenza di ulteriori questioni (concernenti la esecuzione della notifica a mezzo posta presso il destinatario effettivamente abilitato a ricevere l’atto) che sarebbero rimaste sostanzialmente “assorbite”, il cui accertamento, anche in ordine alla rituale proposizione delle stesse, è rimesso al giudice del merito.
PQM
la Corte:
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021