LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. CASTORINA R.M. – rel. Consigliere –
Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22521/2015 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
B.E., rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro Romano e dall’avv. Mario Brancadoro, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Federico Cesi, 72, per procura speciale in calce al controricorso.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 463/30/15 depositata il 12.2.2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26.5.2021 dal Consigliere Rosaria Maria Castorina.
RITENUTO IN FATTO
L’amministrazione finanziaria, sulla scorta delle risultanze di un p.v.c. redatto dalla G.d.F. a carico della Desi Costruzioni s.r.l., all’esito di indagini che individuavano la società come coinvolta in un meccanismo fraudolento tendente alla formazione e al successivo utilizzo di crediti di imposta inesistenti, recuperava a tassazione maggiori imposte a fini IVA, IRES ed IRAP con riferimento agli anni di imposta 2005, 2006 e 2007, notificando tre avvisi di accertamento a B.E., quale amministratore di fatto della predetta società; a seguito di impugnazione proposta da quest’ultimo, la CTP di Milano, previa riunione, accoglieva i ricorsi.
La CTR, adita dall’Agenzia delle entrate, confermava la sentenza di primo grado sul presupposto che non era stato allegato, all’avviso di accertamento, il processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F., in violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7.
Avverso la pronuncia l’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione con un motivo, cui replica l’intimato con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il motivo di ricorso l’Ufficio deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 censurando la sentenza impugnata per avere la CTR ritenuto “ineludibile” l’allegazione all’avviso di accertamento notificato al contribuente del p.v.c. della G.d.F., nonostante fosse stato riprodotto, nell’atto impositivo, il contenuto essenziale.
La censura è fondata.
2. La giurisprudenza di questa Corte, che riconosce la legittimità della cd. “motivazione per relationem”, ha definito le condizioni che rendono positiva la verifica del rispetto del diritto del contribuente ad avere contezza delle ragioni della pretesa erariale. Al contempo, ha puntualizzato cosa debba intendersi per “motivazione per relationem” e quali oneri incombano sul contribuente che richieda l’annullamento dell’atto dell’amministrazione finanziaria. Con costante indirizzo questa Corte ha rilevato, già con riferimento alla disciplina anteriore alla L. n. 212 del 2000, art. 7 che, in tema di accertamento tributario “per relationem”, la legittimità dell’avviso postula la conoscenza o la conoscibilità da parte del contribuente dell’atto richiamato, purché il suo contenuto serva ad integrare la motivazione dell’atto impositivo, con esclusione quindi dei casi in cui essa sia già sufficiente e il richiamo ad altri atti abbia pertanto solo valore narrativo o il contenuto di ulteriori atti sia già riportato nell’atto noto. Anche con specifica attinenza al regime instauratosi con l’entrata in vigore del cd. Statuto del contribuente, da applicare nel caso di specie ratione temporis, si è statuito che in tema di motivazione degli avvisi di accertamento l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto.
Sotto tale profilo appare opportuno precisare che le disposizioni la cui violazione è contestata non richiedono che nell’atto impositivo notificato al contribuente sia riportato il contenuto integrale dell’atto cui si fa rinvio, ma soltanto il suo contenuto “essenziale”, inteso come “l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione permette al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento” (cfr. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 9323 del 11/04/2017, Rv. 643954).
2.1. Va inoltre ricordato che l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo è soddisfatto, ai sensi della disposizione censurata (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 in materia di imposte dirette e, in materia di IVA, del D.P.R. n. 633 del 1972, omologo art. 56), ogni qualvolta l’Amministrazione, “abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, e, quindi, di contestarne efficacemente l'”an” ed il “quantum debeatur”” (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9008 del 06/04/2017).
Nella specie l’ufficio in ossequio del principio di autosufficienza ha riprodotto la motivazione degli avvisi nei quali era riportato il contenuto del PVC.
Ha, pertanto errato la CTR ad affermare che “l’allegazione degli atti richiamati in accertamento è ineludibile e non surrogabile dalla conoscibilità in concreto”.
Il ricorso deve essere, conseguentemente, accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla CTR della Lombardia anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021